CARI AMICI MUSICISTI E TEATRANTI, LA FASE DUE FACCIAMOCELA IN CASA. MA AL MASSIMO LIVELLO POSSIBILE
CHIUSI – La fase due non è dietro l’angolo, non ancora. Ci sarà ancora da soffrire e da star chiusi in casa. E le attività economiche cominceranno ad alzare bandiera bianca. Quando riapriranno non solo le fabbriche e le aziende artigiane, i negozi, ma anche bar, ristoranti, pub, cinema, teatri, ovvero i luoghi simbolo della “aggregazione sociale”, della vita che vale la pena di essere vissuta? Sì, perché diciamocelo: una cosa è il lavoro che deve essere garantito, tutelato, salvaguardato, ma che serve a sopravvivere, altra cosa sono tutte quelle cose che rendono la vita qualcosa di diverso dalla sopravvivenza. E queste cose sono la cultura, lo spettacolo, il piacere di una birra in compagnia, una cena al ristorante con gli amici o la famiglia, un concerto che sia in teatro, allo stadio, in un campo volo o in una campagna sconfinata come a Woodstock..
L’emergenza coronavirus sta mettendo in ginocchio tutta l’economia, sta azzerando la vita sociale, le relazioni e tutto quello che costituiva l’ossatura della società moderna, non solo quella Occidentale: la mobilità, la globalità, la promiscuità di culture, di storie, di razze.
E se ci sono dei settori che più di altri patiranno gli effetti dell’emergenza e della pandemia, sono proprio quelli legati più di altri a questi aspetti: il settore del turismo e quello degli eventi culturali, dove moltissimi operatori tra l’altro lavoravano già in condizioni di precariato o semiprecariato: affittacamere che vedono già adesso svanire prenotazioni e possibilità di incrementare Il proprio reddito familiare; agriturismi, alberghi, pensioni che non vedranno un cliente da qui a chissà quanti mesi. E musei, pinacoteche, siti archeologici e uffici turistici… Tutti al buio e in mezzo a una strada, come si suol dire. E inseme a loro le migliaia di persone che ruotano intorno ai festival estivi, ai concerti, alle feste paesane e rievocazioni storiche… Un business diffuso con un grande indotto che rischia di saltare del tutto.
Per non parlare dello sport, quello al massimo livello (la serie A di calcio, la Champions League, il Giro d’Italia, il Tour del France, le classiche del nord, la Formula 1, i campionati di volley, di rugby e di basket, i tornei di tennis o di golf, perfino le Olimpiadi che sono sate rinviate al 2021… ) ma anche quello minore, periferico, locale. Quanta gente lavora e ci campa, facendo l’allenatore, il massaggiare, il giocatore, o anche l’autista del pullman negli sport cosiddetti minori o nelle categorie inferiori degli sport principali? Pensateci.
Stesso discorso per il teatro. Per la musica. Quanti giovani artisti, quest’estate avrebbero potuto mettere in budget (o avevano messo in budget) concerti e serate per tirar su qualche soldo, magari per pagarsi gli studi o l’affitto di casa? Quanti altri avevano programmato l’uscita di un album da presentare in una serie di concerti dal vivo alle feste di paese o in qualche festival locale? Per tutti sarà un bagno di sangue.
E se anche, tra un mesetto, piano piano, si cominciasse a parlare di fase due, quante persone andrebbero a cuor leggero a fare un aperitivo al bar, a cena in pizzeria, o a teatro, o ad un concerto in piazza? Quindi anche se ufficialmente le maglie delle restrizioni si allargassero gradualmente, sarebbe comunque difficile ipotizzare una ripresa reale, perché la gente avrebbe comunque paura.
Qualcuno, nel cinema, nel teatro e nella musica, si sta attrezzando, proponendo film, concerti e performance sulle piattaforme web. Che è un po’ come la didattica a distanza nelle scuole. Può funzionare, ma non è la stessa cosa. E non tutti possono accedere e Netflix o a Rai Play…
Serviranno misure concrete di sostegno a questi settori e soldi per la sopravvivenza di artisti, tecnici, operatori vari della cultura del turismo e dello sport. Soldi che dovranno arrivare dallo Stato.
Anche nel territorio, in queste settimane di clausura in molti hanno postato video mentre suonano la chitarra, la tromba o il pianoforte, cantano, recitano, leggono… Sono cose belle, un modo per condividere una condizione di costrizione e regalare momenti di relax. Ma lo spettacolo vero è, anche in questo caso altra cosa. Forse le band locali – penso ai Dudes, ai Rivelati, ai Bangcok, ai Bob, alla Big Blue House, a Igor Abbas, Gianluca Meconcelli, Diego Perugini, Ugo Sani, Roberto Fabietti e la Hot Club Aurora ecc. – non appena sarà possibile tornare a suonare insieme (almeno tra loro), e in attesa di farlo dal vivo, dovranno provare a proporre concerti veri on line. Pensateci ragazzi! (e il ragazzi vale anche per chi ha passato i 60).
Così come i teatranti che sono parecchi e bravi (Carlo Pasquini, Gianni Poliziani, Alessandro Waldergan, Francesco Storelli, Martina Belvisi, Alessandro Manzini, Manfredi Rutelli, Silvia Frasson, Tommaso Ghezzi, Mascia Massarelli, Valentina Bischi, Francesca Carnieri, Alessandro Zazzaretta, Laura Fatini, Gabriele Valentini…) potrebbero proporre monologhi o cose simili, ma non improvvisate giusto per passare 5 minuti… Intendo dire che forse dovranno sperimentare format nuovi, in linea con il tempo del “distanziamento sociale”, ma senza perdere nulla della qualità, anzi, facendo una scatto in avanti con l’uso delle nuove tecnologie. Qualcuno già lo fa, ma serve qualcosa di meglio, di più strutturato. Perché il buio oltre la siepe potrebbe durare ancora un bel po’..
Ovvio che il teatro e la musica hanno bisogno sempre del contatto con il pubblico. Del calore del pubblico. E di luoghi in cui l’applauso sia come una pacca sulla spalla, come un abbraccio. Ma in tempi grami e duri, in cui non ci si può abbracciare e nemmeno stringere la mano, serve qualcosa che possa surrogare tale mancanza. E questo qualcosa può essere solo la qualità di performance vere al massimo livello possibile, anche se virtuali.
Potrebbe essere un modo per sentirsi tutti più vivi e non perdere l’abitudine alle prove, alla fatica del comporre e proporre cose nuove… Un modo per sperimentare cose utili anche per il dopo emergenza…
Il virus è feroce, può essere letale, non ci si può scherzare sopra, ma non può fermare, per quanto feroce sia, la fantasia e la forza dell’arte. Neanche in periferia, cioè in zone come questa. Qualche giorno fa scrivevamo, su queste colonne del Perugino, che morì di peste a Fontignano che è ne comune di Peugia, ma è più vicina a Panicale che al capoluogo umbro. Ebbene l’arte non sempre ti salva a vita, se arriva la peste, ma non muore. L’arte continua e spesso migliora. Dopo il Perugino, che era già un grandissimo, infatti arrivò Raffaello. Che fu ancora più grande. E poi Caravaggio, che con quei chiarascuri inventò il cinema, 300 anni prima dei fratelli Lùmiere.
Marco Lorenzoni
“Ovvio che il teatro e la musica hanno bisogno sempre del contatto con il pubblico.” L’hai già scritto tu. Per il teatro vale ancora di più che per la musica perché il teatro da 2500 anni è l’incontro in un luogo deputato tra attori e pubblico. Non per avere la pacca sulla spalla ma perché il teatro parla della vita attraverso la vita sulla scena. Possiamo fare qualcosa certo, ma non chiamiamolo teatro. Possiamo fare ottimi audiovisivi, cortometraggi, film, ma è un’altra cosa. E poi, caro Marco, abbiamo sempre lottato per avere una miseria figurati chi sarebbe disposto a sovvenzionare dei prodotti del genere con la penuria di adesso ? Personalmente preferisco prepararmi per quando tutto potrà riprendere come dio comanda. E provo a fare un’altra cosa: a tenere su il morale di quei giovani con i quali lavoro e che rischiano, loro sì, una delusione cocente nella loro crescita. Noi vecchi caproni abbiamo la pelle dura e se c’è una missione è quella di tirar su il morale perché ai malati ci pensano i sanitari ma chi pensa ai malati nel cuore ?