IL FATTO QUOTIDIANO: “I FANGHI DI DEPURAZIONE INQUINANO I CAMPI”. E QUINDI? IL PROBLEMA E’ SERIO E UNA SOLUZIONE VA TROVATA
CHIUSI – Ieri, sulla pagina facebook del Comitato ARIA di Chiusi, Lucia Lazzeri Contini ha pubblicato un post con cui rilancia un articolo del Fatto Quotidiano del 13 gennaio. L’articolo firmato da Pietro Mecarozzi parla di un tema di cui si è discusso molto a Chiusi negli ultimi due mesi: i fanghi di depurazione. Quelli che avrebbero dovuto essere trattati nell’impianto Acea, per intenderci. Titolo dell’articolo “I fanghi: da concime bio a pericoloso inquinante”. Chiaro che a prima vista sembra proprio la conferma dell tesi sostenute dal Comitato per contrastare il progetto Acea, poi come sappiamo ritirato dalla stessa Acea, con conseguente archiviazione del procedimento da parte della Regione Toscana.
Sul Fatto, Mecarozzi scrive:“I fanghi di depurazione, composti da feci umane, fertilizzanti dai depuratori, acque reflue urbane e agro industriali, per esempio, dopo trattamenti biologici-chimici di decontaminazione dovrebbero essere usati come concime per i terreni. Al momento invece sono tra gli agenti inquinanti più pericolosi per salute e ambiente”.
Il giornalista chiama poi in causa il Decreto Genova del 2018 (quello sul ponte Morandi) in cui l governo gialloverde di allora infilò anche nuove norme, più permissive, circa il dosaggio dei fanghi che possono essere sparsi in agricoltura e infine parla delle tecniche di trattamento dei fanghi stessi e cioè quelli che consentono “la separazione della fase solida da quella liquida” e comprendono l’estrazione di metalli pesanti e l’idrolisi alcalina”, processi finalizzati ad ottenere un composto che prende il nome di gesso di defecazione. Sono questi gessi che poi vengono sparsi nei terreni, spiega il giornalista. E se il Decreto prevede delle soglie di dosaggio degli idrocarburi nei fanghi, non prevede niente per i gessi che così diventano concime, pur essendo di fatto prodotti tossici.
A lanciare l’allarme – si legge ancora nell’articolo del Fatto – è il deputato del M5s Zolezzi il quale sostiene che “i campi di molte regioni sono inquinati da metalli pesanti e azoto in eccesso”, con conseguenze gravi come l’odore nauseabondo che segue lo spargimento, la lisciviazione nelle falde acquifere e a riduzione di fertilità dei terreni stessi. Il parlamentare cita i casi dell’Emilia Romagna e della Lombardia, le regioni che più usano i gessi di defecazione come concime sostenendo che “una filiera agroalimentare di eccellenza sta subendo l’attacco di una filiera amministrativa patologica”. Nella sostanza l’on. Zolezzi e con lui il giornalista de Il Fatto Quotidiano addebitano alle maglie larghe della normativa la colpa di tutto ciò. L’articolo cita anche il rischio conclamato (e i casi di cronaca che lo confermano) non solo che certi processi di decontaminazione dei fanghi in realtà non avvengano perché costosi, ma anche quello che il traffico dei fanghi venga gestito da organizzazione malavitose e dalle cosche mafiose attraverso ditte di comodo o compiacenti.
Dicevamo che a prima vista l’articolo sembra una conferma delle ragioni di chi ha osteggiato il progetto Acea a Chiusi, in realtà invece le cose scritte dal Fatto danno ragione alla Regione Toscana che lo spargimento dei fanghi di depurazione in agricoltura lo ha vietato e, implicitamente, anche a chi sta cercando soluzioni praticabili al problema, secondo criteri di economia circolare. Come poteva essere lo stesso Progetto Acea. Solo che Acea Ambiente ha presentato un progetto pieno di falle, pieno di incongruenze tecniche, molto dubbio circa la tecnologia prevista appunto per arrivare alla separazione della frazione liquida da quella solida e per l’eliminazione e recupero di metalli pesanti e componenti primari come il fosforo. E dubbio anche su molti altri aspetti.
L’articolo di Mecarozzi conferma che lo spargimento dei fanghi di depurazione in agricoltura sta diventando un problema serissimo anche per produzioni di eccellenza, si pensi ad esempio al Parmigiano che si produce nelle aree dove più forte e frequente è questa pratica e che qualche soluzione va al più presto trovata. Quella proposta da Acea andava nella direzione giusta, ma evidentemente, senza le giuste garanzie e con una tecnologia non testata a sufficienza, ancora sperimentale e senza riscontri certi, basata peraltro su un brevetto anch’esso dubbio.
E’ emerso anche dall’Inchiesta Pubblica Regionale, che secondo le stesse indicazioni della Regione Toscana sui criteri di dislocazione degli impianti, Chiusi non era la località più idonea. Ma… i fanghi che i depuratori producono vanno sicuramente trattati e trasformati, perché spargerli nei campi non è una “buona pratica” e può essere pericoloso, ma anche mandarli a discarica o bruciarli negli inceneritori non sembra la soluzione migliore. Qualcuno sostiene che ognuno dovrebbe trattare i suoi, il che vuol dire fare impianti piccoli per aree circoscritte (ambiti comunali, provinciali, o intercomunali) e non impianti che trattino fanghi di 3 regioni. Ovviamente impianti sicuri, testati sperimentati e sostenibili.
A Chiusi il progetto Carbonizzatore è stato stoppato, e date le premesse e le “falle del progetto” è un bene che sia andata così, ma di depuratori ce ne sono due. E ogni comune ha i suoi… Cosa fare dei fanghi di risulta è dunque un tema da affrontare alla svelta, anche per non trovarsi magari tra qualche mese di fronte a un “atto regionale deciso con poteri straordinari in situazione di emergenza”.
Nel nostro piccolo, noi abbiamo proposto una conferenza pubblica (l’abbiamo definita “conferenza di pace” perché arriverebbe dopo mesi di guerra politica e mediatica), promossa dal Comune per cominciare a parlarne. L’articolo del Fatto conferma che è necessaria…
m.l.
Certamente che una soluzione va trovata. Quello attuale è lo smaltimento in discariche specializzate del Nord Italia. Peccato che l’alternativa di ACESA (e della Regione) non funzioni. Purtroppo ACEA vuole insistere. Il giunco si china ora che c’è la piena (elezioni fregionali), ma ha già messo nero su bianco che ci riproverà.
Che il progetto Acea non funziona e che era pieno di falle è scritto anche in questo articolo (e in molti altri). Ma il problema resta. Ci sono anche brevetti diversi da quello di Ingelia, forse varrebbe la pena di verificare. Perché, appunto, una soluzione diversa dallo spargimento nei campi e dallo smaltimento in discarica va trovata. Che Acea possa riprovarci, con lo stesso progetto, magari aggiornato, visto l’esito della stessa Inchiesta Pubblica e la mole di osservazioni fatte in conferenza dei servizi, mi sembra improbabile, al di là di ciò che scrive nelle relazioni. Sarebbe una tattica suicida… Credo che abbia tentato di addolcire la pillola del ritiro di fronte ai propri soci, agli investitori. E’ una società quotata in borsa, certe ritirate non fanno salire il titolo.
Il testo della comunicazione della rinuncia il Comitato ARIA è riuscito ad ottenerlo dopo una richiesta di accesso agli atti alla Regione. In quel testo l’intenzione è esplicitamente dichiarata. C’è anche un “accordo per l’innovazione” sottoscritto da Regione, Ministero per lo Sviluppo Economico. ACEA ed altri soggetti. In quell’accordo la ricerca sui fanghi presuppone la costruzione dell’impianto a Chiusi. Per quella ricerca sono previsti circa 10 milioni di euro. Non sarà il caso di capire se quelle risorse sono ancora attive?