LA VALNESTORE NON E’ UNA TERRA DEI FUOCHI: “NESSUN NESSO TRA CENERI E TUMORI”. I MAGISTRATI CHIEDONO LA’RCHIVIAZIONE

lunedì 26th, agosto 2019 / 15:44
LA VALNESTORE NON E’ UNA TERRA DEI FUOCHI: “NESSUN NESSO TRA CENERI E TUMORI”. I MAGISTRATI CHIEDONO LA’RCHIVIAZIONE
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PANICALE – «Non può dirsi sussistente il nesso causale tra le condotte contestate agli indagati e gli eventi di morte e lesioni personali per malattie tumorali». E così la Procura dela Repubblica di Perugia chiede l’archiviazione sul caso della presunta “terra dei fuochi” in Valnestore.  Il che vorrebbe dire chiudere il sipario sulle ipotizzate pesantissime accuse di omicidio colposo e lesioni contestate a nove indagati tra cui gli amministratori e i responsabili di Enel Produzione e gli amministratori della Valnestore sviluppo Srl relativamente alla posa in opera di centinaia di migliaia di tonnellate di ceneri di carbone della centrale di La Spezia e il presunto interramento, in mezzo alle ceneri, anche di altri rifiuti. Il tutto avvento tra metà degli anni ’80 alla fine dei ’90.

Inquinamento ambientale, omessa bonifica e connessioni con molti casi di tumore e malattie varie, i reati ipotizzati.  Ma il nesso non ci sarebbe.

Scrivono infatti, il 22 agosto, i magistrati Abbritti e Milani a proposito dell’omicidio colposo e delle lesioni: «Gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari depongono per l’infondatezza della notizia del reato o comunque appaiono inidonei a sostenere l’accusa nel corso del giudizio». Gli stessi Abbritti e Milianiproseguono: «Le doglianze e i fatti riportati dalle persone offese appaiono difficilmente idonee alla luce delle risultanze degli approfonditi accertamenti effettuati dall’Usl Umbria 1 a rendere configurabili condotte causali ad attribuire l’evento lesivo morte o lesioni personali agli indagati in precedenza individuati».

Nelle recentissime carte della Procura si legge che “gli accertamenti particolarmente complessi per il numero elevato di persone offese, per l’arco temporale intercorso e per la specificità tecnico scientifica della materia, non sono in grado di provare oltre ogni ragionevole dubbio il nesso causale tra le condotte poste in essere e l’evento morte o lesione negli anni delle persone offese. I risultati degli accertamenti medico scientifici – prosegue l’atto – hanno consentito di individuare che alcune attività a rischio cancerogeno sono state espletate sia in centrale che in miniera fino agli anni ’90 e rappresentate dalle attività di escavazione in miniera con terreno argilloso, alla presenza di materiali contenenti amianto e fibre ceramiche refrattarie come coibentanti, guarnizioni o parti di macchine e attrezzature, ad attività di saldatura svolte sia in officina che in ambiente esterno. Si tratta di agenti e lavorazioni associati a particolari tipi di tumore tra cui in primo luogo, per frequenza, i tumori dell’apparato respiratorio che sono quelli che ci si dovrebbe attendere anche nella popolazione lavorativa interessata. La relazione dell’Usl Umbria 1 rileva che, in assenza di documenti certi, non è possibile per alcuno esprimersi in termini di mortalità e morbosità per patologie neoplastiche nella popolazione lavorativa in questione. Le attività svolte dagli anni ’90 in poi, perlomeno per quanto attiene agli obblighi documentali e le attività di sorveglianza sanitaria, appaiono essere state condotte nel rispetto della normativa di salute e sicurezza vigenti, tenendo anche conto delle informazioni scientifiche disponibili al momento».

Quanto all’inquinamento ambientale i magistrati perugini scrivono: «Sebbene sia stato rilevato il superamento di alcune soglie di Csc (Concentrazioni soglia di contaminazione) la sola rilevazione dello stesso non è significativa dell’effettiva compromissione della matrice ambientale. Ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale è richiesto un deterioramento significativo e misurabile dell’ambiente, nella specie acqua, aria, suolo, sottosuolo ed ecosistema».

Anche in questo caso è stata avanzata richiesta di archiviazione.

Duplice smacco, dunque per i comitati e per tutti i soggetti che hanno orchestrato una pesantissima campagna politica e mediatica su questa questione ovvero sulla Valnestore come novella terra dei fuochi”. Va detto che qualche mese fa, in un ampio servizio sull’incidenza dei tumori in Umbria pubblicato da Corriere dell’Umbria, giornale capofila della campagna di stampa sulla terra dei fuochi, la Valnestore non figurava nemmeno. C’era la conca Ternana, c’era la Valtiberina, ma non l’area intorno alla centrale di Pietrafitta.

I Comitati, rappresentati dall’avvocato Valter Biscotti (uno di quelli del caso Meredith Kercher) e dai suoi colleghi Valeria Passeri e Marcello Volpi, annunciano ricorso contro l’archiviazione del caso, e una “class action” contro Eenel, come quella di Erin Brockovich nel film di Soderbergh con Julia Roberts. contro la multinazionale Pacific Gas and Electric Company…

I Comitati sostengono che non siano sufficienti le analisi fatte da Arpa e Asl, e che servirebbero verifiche fatte da enti terzi .

Ma Asl e Arpa sono gli enti preposti. Se viene meno la fiducia in essi viene meno la fiducia nello Stato, nella capacità dello Stato di fare verifiche. Il nodo è cruciale. I Comitati e i loro legali hanno parlato più volte di analisi e risultati diversi da quelli citati dai magistrati, ma non hanno mai fornito riscontri oggettivi.

Va anche detto che finora i “giustizialisti” erano loro, in contrapposizione alle amministrazioni locali accusate di voler nascondere scomode verità. Adesso con la richiesta di archiviazione da parte della magistratura inquirente, cade un argomento, si sgonfia il pallone. Il re è nudo, come si suol dire.

Chi per anni ha pigiato sul tasto della terra dei fuochi, adombrando senari apocalittici è rimasto con il cerino in mano. Questo è indubbio.

Noi di Primapagina (e prima con testate precedenti) siamo stati tra i primi e tra i pochi a puntare il dito, 30 anni fa, sull’operazione ceneri, che fu un bel business per alcuni. E una operazione molto discutibile sul piano ambientale e politico. Contribuimmo in modo sostanziale a farla approdare in parlamento (nel 1986 con L’Agorà, poi nei primi anni ’90 con Primapagina relativamente alla zona industriale di Fabro). Siamo anche convinti che certi episodi oscuri come la morte dell’imprenditore Massimo Dolciami, trovato carbonizzato nella sua auto andata a fuoco nel 2012, non siano estranei ad una vicenda, come quella delle ceneri,  che lo aveva fatto diventare un boss dei trasporti… Ma, detto questo, non abbiamo mai pensato che la Valnestore o la zona industriale di Fabro, o certi campi sportivi di Città della Pieve fossero, solo per l’uso delle ceneri, delle fonti di tumori e malattie rare.

Siamo anche convinti che su questi temi l’attenzione non sia mai troppa, che sia giusto e doveroso tenere alta la guardia, senza però fare campagne terroristiche, senza alimentare paure e senza aizzare la gente contro le istituzioni. Cosa che invece sembra abbastanza di moda…

Renato Casaioli e Marco Lorenzoni

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