IL PAESE DEI “PORANNOI”. FRIGNONI SI NASCE O SI DIVENTA?

giovedì 14th, febbraio 2019 / 11:39
IL PAESE DEI “PORANNOI”. FRIGNONI SI NASCE O SI DIVENTA?
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Siamo un popolo di frignoni. Non ci va mai bene nulla tranne quello che fanno gli altri negli altri paesi. Siamo affetti dalla sindrome di Geremia o da un atavico complesso di inferiorità. O da tutti e due. O forse è solo che l’erba del vicino è sempre più verde, fosse anche la gramigna.

La lagna è preconfezionata, diciamo pure congenita, pronta per l’uso ad ogni protesta più o meno eclatante che scatti in Spagna, Francia, Germania o dove sia. Il paese è irrilevante ma nutriamo una certa predilezione per “il resto dell’Europa”, con cui amiamo paragonarci per difetto.

Per essere degna di gloria, la mobilitazione (o presunta tale) deve avvenire fuori dai nostri confini.  Ancora più meritevole di autoflagellazione se accompagnata da immagini di gruppi incazzati che sbruciacchiano cassonetti, che fa molto curriculum dell’impavido contestatore.

Ecco allora che più i  Gilet Gialli insorgono, bruciano, fracassano e navigano nel caos più totale, più noi li consacriamo al ruolo di eroi, lamentando a paragone la nostra indole ovina e sottomessa: “vedi i Francesi? Loro sì che… non come noi italiani, tutti pecoroni”. Qui e là qualche audace auspica l’arrivo di Baffone per darsi un tono propositivo oltre la lagna, ma sono attimi di trascurabile sporadicità.

In un’Europa che percepiamo popolata da leoni, siamo sempre i primi a sventolare il nostro primato di pecoronaggine. Ce lo siamo costruito nei secoli dei secoli, è parte di noi, del nostro modo di essere, lo esterniamo ad ogni occasione, (in)felici di poterci auto-commiserare una volta di più.

che meraviglia poterlo fare sui social, dove frigniamo tutti insieme appassionatamente, accorrendo in lacrimoso supporto del primo che scrive “vedi loro (francesi,inglesi,tedeschi,svedesi ecc.) che bravi? Noi italiani invece…”

Sempre pronti a tributare onori ad ogni cacatella di mosca dei popoli oltre confine, purchè animata da spirito pseudo-rivoluzionario, al minimo anelito di ribellione o resistenza che sfiora il nostro paese, ci ritiriamo in religioso silenzio, in attesa che sfumi come da copione pecorone. Non voglia mai che si debba mettere in discussione la nostra conclamata, consolidata, certificata indole ovina.

Accade dunque che se a iniziare la guerra del latte fossero stati gli allevatori irlandesi, avremmo immantinente tappezzato i social di bandiere irlandesi, foto di ribelli in lotta per la libertà, scritte solidali stile “I am irish “, in un tripudio di “vedi gli irlandesi? Loro sì che…mica come noi italiani, tutti pecoroni”.

Ma se la protesta avviene come avviene qui, nel paese di porannoi, ecco che, tra una considerazione e l’altra sulla vera nazionalità di Mahmood, rompiamo il religioso silenzio solo per notare lo spreco, e piangere per il latte versato. Letteralmente.

Il fatto è che il minimo segnale di protesta intestina ci strappa via dalla nostra zona di conforto. E la nostra vocazione al frigno vacilla. Perchè l’autocommiserazione non è una forma di sfogo  ma un modello di vita. Ci auto-flagelliamo per rimarcare che ogni azione è vana, qualunque resistenza è effimera; che oramai i giochi sono fatti  (e sono sempre già fatti, mai una volta che si arrivasse prima o durante). Insomma, per legittimare un’indolenza che ci piace spacciare per ineluttabilità.

Già, perchè l’ineluttabilità ci autorizza a non far nulla, a restare immobili nella nostra zona di confortevole piagnisteo, a non farci domande, partecipare, informarci. In un parola, agire.

Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare” (Giovanni Falcone)

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