IMMIGRATION BLUES, QUANDO GLI ITALIANI (EMIGRATI) VENDEVANO GELATI QUASI AL POLO NORD

giovedì 18th, ottobre 2018 / 14:54
IMMIGRATION BLUES, QUANDO GLI  ITALIANI (EMIGRATI) VENDEVANO GELATI QUASI AL POLO NORD
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Si parla molto in questi giorni della vicenda di Mimmo Lucano, il sindaco di Riace, prima mandato ai domiciliari, per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e poi, dopo la revoca degli arresti, inviato praticamente al confino come gli antifascisti nel Ventennio. Libero, ma con divieto di dimora a Riace. Esiliato. Come Dante da Firenze. E appunto come i Fratelli Rosselli e gli antifascisti costretti a scappare e a trovare albergo in Francia per sfuggire alle persecuzioni mussoliniane.

Si parla molto di questo sindaco trattato peggio degli ‘ndranghetisti che infestano la sua Calabria. E si parla di immigrati e accoglienza. Di immigrazione che alcuni vedono come il problema dei problemi, e altri invece come una opportunità, una risorsa. Come il sindaco Lucano, che con gli immigrati era riuscito a rivitalizzare e a dare speranza al suo paese, agli stessi abitanti del posto non più costretti ad emigrare…

Sfogliando notizie e commenti sull’argomento mi sono imbattuto in un brano del musicista inglese Chris Rea, intitolato Immigration Blues, inciso nel 2005. Un bel blues con qualche digressione latina e addirittura “balcanica”. Un bel pezzo. “Sono venuto qui per lavorare… per dare il mio contributo in questa terra di speranza. Io sanguinerò per il tuo re, morirò per la tua regina, darò tutto e di più per il tuo sogno occidentale, chiuso nel ghetto, aspettando notizie…  ” .  Ascoltandolo mi sono ricordato che Chris Rea (pronuncia Ria) in effetti si chiama Rèa. Cognome italianissimo, molto diffuso in particolare a Napoli e in Campania.  Domenico Rea, Salvatore Rea, Ermanno Rea, Francesco Rea sono scrittori e giornalisti famosi, per esempio.

Anche Chris Rea è mezzo italiano. Suo padre infatti era emigrato in Gran Bretagna da Arpino, in provincia di Frosinone, che da Napoli non è poi tanto lontana… Aveva sposato un’altra immigrata, arrivata dall’Irlanda, e insieme gestivano un chiosco di gelati a Middlesbrough, una cittadina del nord est dell’Inghilterra, sul mare del Nord, famosa anche perché ci andò a giocare Ravanelli nel ’96. Insomma anche Chris Rea è un immigrato, di seconda generazione, perché è nato proprio a Middlesbrough, ma sempre un inglese che in realtà è mezzo italiano e mezzo irlandese.

Questa storia del chiosco di gelati della sua famiglia mi ha fatto tornare in mente un’altra cosa. Un viaggio che feci insieme a mia moglie e ad altri amici in Scozia, nel 1986, con una Volkswagen Golf usata, targata Perugia e acquistata a rate.

Arrivammo fino ad Inverness e anche un po’ più su, dove la strada è stretta e se incontri una macchina che procede in senso opposto devi sperare che nei pressi ci sia una piazzola. Se no son dolori.

Facemmo quasi 7.000 km tra andata e ritorno. A ferragosto faceva freddo, a Inverness. Ad Edimburgo c’era una nebbia che da noi neanche a novembre. Ci fermammo a dormire in vari posti, anche cittadine piccole. Ovunque però trovammo degli italiani. E tutti facevano lo stesso mestiere: i gelatai. Come il padre e la madre di Chris Rea.

Visitammo anche un circolo ricreativo della comunità italiana a Kilmarnock, la città del Johnny Walker. Avevano facce tristi quegli italiani senza sole. Si erano ormai inglesizzati anche nell’incarnato. Mi colpì il fatto che facessero tutti i gelatai. Anche a Inverness, dove anche il nome fa venire brividi di freddo. Erano evidentemente dei geni del commercio, perché vendere gelati lassù, non proprio al Polo Nord, ma quasi, con quel clima, era (è) come vendere impermeabili nel Sahara. Meglio un whisky. O un thè caldo. Il gelato a Inverness mi suonava strano. Ma gli italiani sono imprevedibili, venderebbero di tutto, anche nei posti più impensati. Scoprimmo, parlando con quei connazionali emigrati in Gran Bretagna che la maggior parte di loro veniva dalla lucchesia. E in effetti da quelle parti si narra che quando Cristoforo Colombo sbarcò in America con la Nina la Pinta e la S. Maria, ci trovò sì gli indios, ma anche i lucchesi che vendevano loro le collanine…

Ecco, i gelati nel nord della Scozia, in quelle cittadine grigie dove fa notte tardi, ma i lampioni si accendono da soli alle 10 di mattina perché il cielo raramente è blu, mi sembrarono un po’ come le collanine della storiella dei lucchesi  più svegli di Colombo.  Quei toscani erano andati lassù negli anni ’50 e ’60, qualcuno era già, come Chris Rea che è nato nel ’51, di seconda generazione. Parlavano con accento britannico, ma ancora l’italiano e il toscano non lo avevano dimenticato. La cosa mi fece piacere, lì per lì, ma anche tristezza. Perché faceva pensare allo sradicamento, alla necessità di andare via, alla ricerca di un “sogno occidentale” fosse anche alla fine del mondo, alla nostalgia che ti attanaglia a 10 come a 3.000 km di distanza, quando lasci casa tua.

Era il 1986, piena era Tatcher. L’Inghilterra era una macelleria sociale a cielo aperto. Stava peggio di noi, all’epoca. Privatizzazioni selvagge, disoccupazione alle stelle, gioventù marginalizzata ed espulsa dai processi produttivi, con un piede nella rivolta, anche violenta, e l’altro nella fuga verso il baratro oscuro della droga, dell’alcol, verso l’inferno insomma.

La colonna sonora, che ci accompagnò in quel viaggio era la musica dei Clash , ma anche della “Gang of Four” e dei Wire che recentemente abbiamo avuto modo di ascoltare dal vivo anche al Lars Rock Fest d Chiusi. Era roba incendiaria, allora. Roba che accompagnava le barricate. E le partite di calcio dell’Arsenal o del Liverpool o dei Glasgow Rangers…

Il brano di Chris Rea mi ha fatto ripensare a tutto questo. Ad un viaggio, agli italiani andati a cercar fortuna in Inghilterra vendendo gelati dove non c’è mai il sole. Roba da matti furiosi.  Ci vuole fantasia da vendere, più che crema, cioccolato e fragola…

E pochi di loro sono diventati Chris Rea o hanno avuto un figlio cantante famoso. Pochi, ma qualcuno sì. Paolo Nutini, per esempio. Mai sentito? è un cantante scozzese piuttosto famoso. Molto bravo. Il padre era originario di Barga, Lucca. Ma guarda un po’. Non vendeva gelati, ma fish & chips. Immigrato anche lui lassù, alla fine dell’Europa, ma qualche anno dopo i… gelatai. Una generazione successiva. Anche Nutini suona il blues.  E sempre di “immigration blues” si tratta…

Marco Lorenzoni

 

 

circa 6.000 km,

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