FABIO DI MEO: LA REGOLA DELLA MAGGIORANZA, GIUSTO PROCEDERE SEMPRE COSI’ NEL PD?

giovedì 22nd, dicembre 2016 / 11:58
FABIO DI MEO:  LA REGOLA DELLA MAGGIORANZA, GIUSTO PROCEDERE SEMPRE COSI’ NEL PD?
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CETONA – Fabio Di Meo fa parte dell’assemblea Nazionale del Pd e fa parte della “minoranza” non renziana. Era dell’area Civati, ma lui è rimasto nel partito. Con un post su facebook, pone una questione non secondaria rispetto alle scelte del Pd. Quella della modalità di discussione e decisione.  E si domanda se non ci sia un abuso delle decisioni prese a maggioranza, con tutto ciò che ne consegue. Ecco il testo della riflessione di Di Meo:

In un partito si presentano occasioni in cui le decisioni vanno prese a maggioranza, e chi non è d’accordo, dopo il voto, deve adeguarsi. Se non lo si facesse, si finirebbe per non decidere mai nulla, e si attribuirebbe alle minoranze un diritto di veto permanente. E in un partito quale è oggi il PD, ci piaccia o meno, queste occasioni possono presentarsi molto frequentemente.
Però non si può utilizzare la “regola della maggioranza” sempre e comunque, e poi pretendere ogni volta disciplina da chi dissente.
Ma soprattutto la regola della maggioranza deve presupporre il tentativo preliminare, in ogni occasione, di giungere ad una sintesi tra le posizioni in campo, che sia la più ampia possibile. Non trovarla è una sconfitta, e decidere a maggioranza una necessità, non un valore.
Perché altrimenti le minoranze potrebbero anche non partecipare alla vita del partito, se tanto la maggioranza decide sempre da sola ciò che ritiene meglio.
Quale è il senso della partecipazione agli organismi dirigenti da parte di chi esprime una sua visione alternativa, se quella visione non ha mai alcuna rilevanza nel processo decisionale?
Aggiungo che ci sono casi, limitati ed estremi, in cui non solo occorre lavorare per cercare una sintesi, ma la sintesi diventa un obbligo imprescindibile, una precondizione della decisione, se non si vuole dividere irreparabilmente la comunità politica, anzi se si vuole esserlo davvero comunità.
Mi riferisco a quei casi, estremi e circoscritti, in cui una determinata decisione del partito rappresenti per alcuni la messa in discussione dei propri principi politici, e della ragione profonda del proprio impegno pubblico.
Se invece, al contrario, si ritiene giusto decidere sempre e comunque a maggioranza, perché la maggioranza ha i numeri per farlo, allora il modello di partito è un altro, basta accettarlo in toto però: il modello del partito del leader, in cui chi ha vinto il congresso decide sempre tutto, e tira dritto per la sua strada fino al Congresso successivo.
Però poi in Parlamento, nei Consigli Regionali e nei Consigli comunali i voti hai l’onere di conquistarteli uno ad uno, anche i tuoi, senza rivendicare disciplina.
Il Segretario Nazionale del PD nell’ultima Assemblea Nazionale ha affermato che c’è la necessità di passare dall’io al noi, e ciò mi pare sia interpretabile nel senso che la strada da intraprendere sia ritenuta la prima.‎

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