CHIUSI, VOCE DEL VERBO CHIUDERE (2). UN ALTRO NEGOZIO STORICO DELLO SCALO DECIDE DI ABBASSARE LA SARACINESCA

CHIUSI – Tra due giorni a Chiusi Scalo ci sarà la tradizionale Fiera alla Stazione, quest’anno prolungata anche al lunedì 8, che è giorno festivo. Due giorni di fiera a salutare l’arrivo dell’inverno e anche l’imminenza del Natale.
Ma mentre si accendono le luminarie e si aspetta l’invasione di bancarelle, su facebook è comparso stamattina un annuncio. Che a prima vista sembra un banale annuncio promozionale. Di quelli che, appunto, annunciano sconti da non perdere. Poi, leggendo meglio, ti accorgi che in quel messaggio c’è scritto “CHIUDE e SVENDE TUTTO”. Sopra, l’intestazione del negozio. Che non è un negozio qualsiasi. Ma uno dei negozi “storici” di Chiusi Scalo: Casmar. Una delle prime “boutiques” , se non la prima in assoluto. Nata quando ancora anche l’abbigliamento si vendeva nei negozi tradizionali, un po’ lugubri, o nei “bottegoni” che erano una specie di discount del pantalone e del cappotto… Ma dove trovare un paio di jeans era un’impresa ardua…
Una scommessa, quella delle boutiques che Chiusi Scalo giocò per prima nella zona e che per anni è stata vinta. Ora l’epoca d’oro è finita. Chiusi, da polo commerciale di qualità e non solo di “quantità” sta tornando ad essere solo una “voce del verbo chiudere”. I tempi cambiano certo. Ora ci sono gli outlet, i grandi centri commerciali come quello aperto da poco ad Ellera. Le ’boutiques’ che nell’epoca delle vacche grasse avevano sconfinato anche fuori dell’ambito -abbigiamento per avventurarsi tra macellerie, gommisti, mesticherie e gelatai (ve le ricordate “la boutique della bistecca, la buotique della brugola…”…. Il settimanale satirico Cuore si inventò addirittura una apposita rubrica per segnalarle: “Botteghe oscure” si chiamava… ) sono un po’ in disarmo, se non sono a Via Condotti o a Via Montenapoleone…
Però il fatto che a Chiusi, annunci la chiusura uno dei negozi storici, non è certo una bella notizia. E diciamolo: è anche il segno che il vento non è cambiato per niente. “Chiusi, voce del verbo chiudere” infatti fu il titolo di un articolo di primapagina con cui si segnalavano i tanti cartelli “vendesi” o “affittasi” affissi sulla saracinesche dei negozi. Era il 2010…
Il problema è che non sarà l’unico negozio a chiudere con la fine dell’anno. Almeno altri 4 nel centro di Chiusi Scalo stanno per gettare la spugna… Altro che cambio di verso… Qui la discesa è sempre la stessa avviata qualche anno fa e adesso sta diventando rovinosa…
Beh, relativamente a guardare il passato forse la Casmar è stata una delle prime boutiques di Chiusi senza dubbio ,ma precedentemente a quella ”,i bui ed oscuri negozi” -come li hai chiamati – impostati diversamente nella vendita delle confezioni sono stati ” Casa e Bimbi” della famiglia Vetralla e la Camilloni, poi a seguire ”Mello” e la Dina Venturi che aveva l’insegna con le iniziali della stessa titolare (Di.Ve.)..Loro non vendevano Jeans perchè questi ultimi si sono diffusi in italia verso al fine degli anni ’50 ma in detti negozi si potevano acquistare maglioni, sciarpe, cravatte e camicie.cappotti ed anche altro, e non erano tanto ”bui” come negozi, almeno per l’epoca…..La tipologia della boutique si diffuse agli inizi degli anni 70 e si caratterizzò con la presenza di diversa natura di confezioni di marche conosciute e di pregio.Sembra che siano trascorsi secoli ed oggi la concorrenza spietata in tale settore merceologico- diciamolo pure- ha fatto sì che nei paesi specialmente i negozianti non abbiano più la forza di contrastare quelli che oggi si chiamano ”Outlet”.Una grossa mano a tale fine l’ha fornita l’incremento della mobilità dei consumatori, che andando o transitando nelle città si rendono conto che la diversificazione delle merci è tale che con estrema facilità si possono trovare tutti i tipi di marche,tipologie di vestiti e loro accessori.Prima la mobilità esisteva in scala ridotta e quindi anche le boutiques di paese erano un punto di riferimento per la gente che veniva a Chiusi per acquistare.ed il negozio locale rappresentava quindi un punto di riferimento.Il fenomento delle ”Griffes” è un po’ successivo alla nascita delle boutiques ed anche quello è entrato nel comportamento della gente ed è emblematico e segna un modo di pensare che è figlio dei tempi attuali.Tuttavia se si guarda bene durante le manifestazioni di”Chiusi in Vetrina” i prodotti più presenti sono le confezioni tanto che appare che vi siano solo quelle che possano determinare la vita delle persone e che l’album della scelta di un prodotto o dell’altro non venga mai fatto per vera necessità ma per ottemperare e seguire bisogni indotti.L’italiano e quindi anche il chiusino basa le sue scelte creandosi artificialmente il bisogno di acquistare anche se della tipologia del capo che andrà a comperatre ne ha molte altre dentro l’armadio.Il pompaggio di questo tipo di consumismo è noto ormai da anni e porta molte persone ad intraprendere una attività basata sulla tipologia di capi od oggetti che già esistono a tonnellate.Ecco un limite grandissimo allo sviluppo, perchè la gente tendenzialmente compra sempre quello che conosce e cambia idea solo se vede.osserva oggetti o comunque dei prodotti nuovi e diversificati.Con 80 banchi e 15 negozi che vendono magliette e 30 banchi o 10 negozi che vendono scarpe o maglioni non si va davvero lontano.Credo che occorra una nuova cultura,incentrata anche sì sui prodotti locali, ma soprattutto una cultura che faccia preferire prodotti non di consumo di massa e dove le aziende investono somme enormi in pubblicità veicolandola ai nostri cervelli e che fa ritenere tali prodotti siano al top della produzione e della qualità, ma credo che possa essere auspicabile la valorizzazione artigianale dei prodotti del territorio, non solo formaggio o vino o pici, ma anche altri che aiutino ad incrementare l’idea che ”piccolo e locale” è bello, conviene, dura di più, e fa anche più bene a chi lo consuma.Questo tanto per far rendere conto alle Associazioni preposte al commercio ed alla sue organizzazioni ,insieme a chi come autorità pubblica rilascia le licenze, che se non si cambia si diventa più asfittici ed alla fine si soccombe, perchè in periodo di crisi ogni piccolezza pesa oltre ogni limite,Ci sono degli aspetti che secondo me fanno anche male alla vista e che si riscontrano durante il mercatino mensile a Chiusi Città per esempio, dove vi sono dei banchi che vendono, anzi che NON VENDONO MAI, perchè ciò che vendono è inutile, fattostà che non lo compera proprio nessuno e quegli ambulanti alla fine suscitano anche il rammarico ed un senso di pena, proprio perchè diventa evidente a tutti che non ostante gli sforzi che facciano la materia che vendono è incomprabile.Parlo dei banchi che vendono pupazzetti, portachiavi, orecchini di ogni tipo esposti a decine di chili, come se vi fosse una base che possa acquistare tutta quella roba.Infatti chi è che vende guarda caso sono solo i banchi alimentari, gli altri potrebbero chiudere anche appena aperto l’ombrellone.In definitiva i dati e la realtà sono quelli che sono ma se non si cambia strada alla svelta il participio passato del verbo chiudere e la città saranno un tutt’uno.Ma cambiare strada sottintende una cultura diversa da quella applicata fino ad oggi.significa conoscenza,comprensione dei fenomeni ed adattabilità a questi,cercando di ridurli da passeggeri a permanenti,che si possa investire somme di denaro per cose che durano, che siano di qualità,e che rispecchino le vere necessità della gente, non le vere necessità di chi le produce e che pompa parallelamente con politiche di mercato esigenze fatue e volubili, soggette il giorno dopo a cambiamenti ed all’instabilità e che soprattutto che non esistono, in pratica il superfluo che diventa necessario e che fa comportare la gente in maniera dissociata, spesso soprattutto nel campo della moda ad avere proprio dei comportamenti di natura anche da consumo compulsivo.Ultimamente nonostante la crisi tale categoria sembra essere in crescita esponenziale, proprio perchè sempre più spesso se non consumi un certo prodotto nell’ambito sociale attiguo e che frequenti, ti fa sentire escluso, quasi non degno del gradino sociale di appartenenza.Tutto questo in menti più labili e dipendenti dalla pubblicità è quasi uno status permanente.Conosco famiglie di basso reddito che fanno ogni sforzo economico per dare ai figli o l’ultima tipologia di smartphone o il capo firmato pagandolo il triplo di quello normale, diversamente il figlio rischia di sentirsi ”out”..Questa è la cultura diseducativa che produce alla fine la dissociazione e l’alienazione che viviamo oggi.
Chissà se i vari corrieri di siena e giornaletti simili sbandiereranno le chiusure con la stessa enfasi con cui annunciano le aperture di nuove attività scodinzolando dietro i comunicati stampa dell’amministrazione comunale.