BIMBO UCCISO A PO’ BANDINO: LA MADRE ACCUSATA DI OMICIDIO VOLONTARIO. GESTO DI VENDETTA VERSO IL COMPAGNO? PARLA IL PROCURATORE CAPO DI PERUGIA CANTONE
CITTA’ DELLA PIEVE – Primi sviluppi nella vicenda del bimbo ucciso e portato in un supermercato di Po’ Bandino. Pesanti indizi a carico della madre. Il cui fermo è stato convalidato con l’accusa di omicidio volontario.
Così il Procuratore della Repubblica di Perugia, Raffaele Cantone riassume il quadro:
«Nella notte il pm di turno, titolare delle indagini, ha emesso un decreto di fermo con l’imputazione di omicidio volontario aggravato relativamente alla morte del piccolo di 2 anni avvenuta ieri nel primo pomeriggio a Po’ Bandino, frazione del Comune di Città della Pieve. La misura – spiega Cantone – si è resa necessaria visti i numerosi e significativi elementi emersi nelle immediate investigazioni avviate a seguito dei fatti. La mole degli indizi raccolti propende, infatti, per una presunta responsabilità della madre, una 44enne di nazionalità ungherese, la quale sarebbe l’unica ad aver trascorso le ore antecedenti all’evento delittuoso con il piccolo. Il dato emerge sia dai filmati estrapolati dalle telecamere della zona, sia da altri elementi raccolti anche di natura dichiarativa raccolti. Fra l’altro, durante le ricerche, avviate in maniera certosina dai carabinieri coordinati dal magistrato di turno, e nello specifico concentrate nell’area antistante il supermercato dove è stato portato il bambino, sono stati rinvenuti numerosi oggetti appartenuti ad entrambi. In primo luogo il passeggino, tra l’altro sporco di macchie al momento non meglio identificate che potrebbero essere di sangue; alcuni giocattoli, tra cui un peluche, un pannolino usato, e tracce di alimenti. Molto significativi sono pure altri oggetti rinvenuti nelle pertinenze di un casolare abbandonato nelle vicinanze; lì sono stati raccolti altri giocattoli, sempre di probabile appartenenza del piccolo, oltre ad una maglietta sporca di sangue con dei tagli sulla parte anteriore ed una felpa della madre. Un ulteriore, importante elemento emerso – prosegue il procuratore capo di Perugia – è stato l’invio di una foto ritraente il bambino insanguinato trasmessa molto presumibilmente dalla donna al padre del piccolo in Ungheria, tramite una piattaforma social che, alla vista della tragica immagine, ha allertato tutte le autorità competenti. Tutti gli elementi indiziari sono stati contestati alla donna con un interrogatorio in presenza del difensore, svoltosi presso il comando Compagnia carabinieri di Città della Pieve, nel corso del quale l’indagata ha fornito versioni confuse e contraddittorie che hanno corroborato il quadro indiziario e hanno ulteriormente fatto propendere per l’emissione del decreto di fermo».
I comandante dei Carabinieri di Città della Pieve, in una dichiarazione rilanciata dat Tg Regionale della Rai andato in onda alle 19,30 di oggi ha sostanzialmente confermato quanto detto dal Procuratore Cantone, aggiungendo che la fotografia del bimbo ferito inviata al padre in Ungheria, farebbe pensare ad un gesto dettato da propositi di vendetta verso l’uomo.
Una ipotesi questa che aggiunge sconcerto allo sconcerto, rabbia alla rabbia, dolore al dolore. Perché si tratterebbe di un gesto “egoistico” legato a problemi relazionali tra la donna e il compagno. E anche questo, però è un classico, un film visto e rivisto in decine di casi di cronaca nera: un bambino, innocente, che diventa suo malgrado vittima sacrificale con la cui uccisione un componente di una coppia intende punire l’altro… Un bambino pugnalato come fosse un peluche, straziato per avvertimento…
Gli inquirenti, che anche oggi – sabato – hanno setacciato la zona intorno alla vecchia cabina elettrica della Terni, dismessa e abbandonata da decenni, alla ricerca di ulteriori tracce ed elementi che possano portare a stabilire il luogo del delitto, stanno ricostruendo il percorso fatto dalla donna con il bambino, le ultime ore, prima del fattaccio.
Ma orami la dinamica e il contesto sembrano abbastanza chiari. Tanto per cominciare non ci sarebbe nessuna “terza persona” che può aver commesso l’omicidio o possa aver partecipato all’uccisione. Tutti gli elementi fin qui raccolti e messi in fila fanno propendere per un atto individuale, volontario della madre, non è ben chiaro però se si sia trattato di un atto deliberato e pianificato, per “vendetta” appunto, o se invece è stato un raptus improvviso… Così come è da stabilire se la donna fosse in sé, in grado di intendere e di volere, o se ha agito in stato confusionale e in una situazione mentale anomala.
Ovvio che tutto ciò non c’entra niente con il luogo in cui la tragedia si è consumata. Po’ Bandino è “un centro commerciale diffuso di giorno e un dormitorio di notte”, ma questo non ha alcuna attinenza con il fatto. Non c’entra nulla nemmeno il supermercato in cui la donna ha portato il corpicino straziato e che per alcuni giorni non vedrà clienti a causa del dramma e del ribrezzo che suscita… Così come non c’entra niente Chiusi, paese dove la donna e il bambino vivevano, ospiti, temporaneamente di un conoscente. A Chiusi la donna aveva pure lavorato alcuni anni fa, ma oggi è solo un paese trovatosi casualmente in mezzo a una tempesta.
L’omicidio del piccolo Alex Juhasz, un infanticidio, probabilmente per motivi legati al rapporto di coppia tra la madre e il padre residente in Ungheria, avrebbe potuto verificarsi ovunque. Sia nella zona che altrove. In questo caso il luogo è un elemento del tutto fortuito.
E’ normale, comunque che sia le comunità di Po’ Bandino e di Città della Pieve, così come quella di Chiusi, rimaste sconcertate e attonite per la brutalità del fatto, in queste ore si interroghino su come ciò sia potuto accadere, su cosa può scattare nella testa di persone in situazioni di difficoltà, sul perché nessuno si accorga mai dei segnali di disagio e di squilibrio che magari sono labili e e non eclatanti, ma ci sono…
Non si contano più i femminicidi e gli infanticidi che si verificano dopo lunghe e reiterate situazioni di tensione, talvolta anche violenta, tra coniugi, ex coniugi, conviventi…
In questo caso specifico sia Erzebet Kataliu, la donna accusata dell’omicidio, sia il compagno residente in Ungheria che la stessa avrebbe voluto “punire” con l’uccisione del figlio, come in una tragedia greca, sono di nazionalità straniera, ungherese per la precisione. Ma anche questa circostanza è del tutto ininfluente, e causale, esattamente come il luogo. Avrebbero potuto essere italiani, americani, russi, portoghesi…
La questione è la fragilità umana, spesso aggravata da solitudine, precarietà, marginalità, mancanza di riferimenti culturali e valori, non la nazionalità o il luogo in cui uno agisce, in preda al delirio…
m.l. e r.c.
Nelle foto (Il Format.it e Corriere dell’Umbria) la vecchia cabina elettrica e il supermercato di Po’ Bandino, teatro della tragedia.
Credo che sarebbe opportuno, prima di fare ipotesi, attendere la chiusura delle indagini. Immagino che sia già difficile per gli inquirenti riuscire a trovare la quadratura degli eventi – considerata anche l’assai probabile barriera linguistica -. Fare ipotesi aggiuntive, secondo me, è solo un fattore di disturbo. Attendiamo, sperando che il quadro proposto non sia vero.
La stampa ha il dovere di farle. E di raccontare tutto ciò che si sa. I processi sommari per via mediatica vanno evitati, ma le notizie vanno date. E infatti i giornali (tutti) le danno. Per quanto possibile, ovviamente.