MOIANO, QUEL RAGAZZO ACCUSATO DI ESSERE IL CUSTODE DELLE ARMI DELLE BR

MOIANO, QUEL RAGAZZO ACCUSATO DI ESSERE IL CUSTODE DELLE ARMI DELLE BR
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MOIANO – Venerdì scorso, 10 settembre, si è tenuta a Moiano, all’esterno della Casa del Popolo, la presentazione del mio libro “Voce del verbo tradire”. Come già a Villastrada, poi a Cetona, a Città della Pieve e a Chiusi Scalo, anche questa volta in uno dei “luoghi del delitto”, cioè precisamente, fisicamente, in uno dei luoghi teatro di una o più storie raccontate nel libro. Nel caso specifico due storie: quella sui tentativi di colpo di stato del 1970 e del ’74 e, soprattutto quella sulla vicenda giudiziaria, ma anche umana e politica di Luigino Scricciolo, il sindacalista arrestato con l’accusa di essere un brigatista rosso, una spia bulgara e uno degli artefici dell’attentato al papa del 1981 con la scoperta che proprio a Moiano c’era una cellula brigatista composta da giovani cresciuti dentro quella Casa del Popolo e che in un podere nei pressi di Moiano si riuniva addirittura la Direzione strategica delle Br…

Uno degli assunti del libro è che la storia, anche la Storia con la S maiuscola, è passata spesso in questo territorio, vi ha lasciato segni indelebili e che la storia è un passato che non passa, che ogni tanto riaffiora e che talvolta ti viene anche a cercare, magari per fare o rifare conti rimasti in sospeso, mai fatti fino in fondo…

A pag. 190 del libro si legge: “E il 6 febbraio 1982 con un altro blitz la Digos individua il podere e in una buca trova 7 bombe anticarro, un lanciarazzi, ottocento cartucce, una P38, gelatina, maschere antigas. Poco lontano, un mitra, una Beretta 7/65, 60 proiettili, due bombe a mano, documenti in bianco, timbri rubati. E arresta tre giovani del posto: i due coniugi Federico Ceccantini e Daniela Bricca, che si dichiarano prigionieri politici, più Silvano Favi, un ventenne iscritto al Pci. Quest’ultimo è il custode delle armi”Il custode delle armi, questa l’accusa per la quale il giovane comunista che lavorava come apprendista in una fabbrichetta a Po’ Bandino finì in manette e per un paio d’anni in vari carceri di massima sicurezza.

Bene, alla presentazione del libro non c’era, ma il giorno prima, giovedì 9 settembre, Silvano Favi mi ha chiamato al telefono e insieme ad un amico comune ci siamo incontrati per parlarne: sia del libro che della sua vicenda di 40 anni fa… La storia che ritorna e ti viene a cercare.

Oggi Silvano Favi, il ventenne di allora accusato di essere il custode dell’arsenale delle Br, ha sessant’anni, pochi capelli e ormai ingrigiti. E’ da molto tempo un uomo libero. Vive a Torino, è un dirigente dei Trasportatori della Cna, dice di non essere più nemmeno di sinistra.  E’ vicino al movimento di Calenda, Azione.  Parla come un fiume in piena, racconta di quando la Digos venne a prenderlo, proprio alla Casa del Popolo, mentre giocava “a boccette” e agli amici disse “aspettatemi, torno subito”. Ovviamente non tornò se non dopo molti anni. Perché il capo di imputazione era pesante. Parla della durezza del carcere di massima sicurezza dove si ritrovò, “senza aver mai visto né toccato un’arma”. Perché lui aveva avuto sì in custodia dei sacconi con dentro qualcosa, ma non sapeva di cosa si trattasse, dice. E dice che tentò anche di disfarsene, senza però riuscirci, con un amico che per poco non finisce nei guai come lui…

Non nega oggi, come non negò allora i contatti con gli amici e compagni moianesi che al momento dell’arresto si dichiararono prigionieri politici, né di aver avuto contatti anche con esponenti romani delle Br. Ma lui era una ragazzo semplice – racconta -, un operaio, che viveva con la madre in una casa povera, anzi decisamente malmessa, senza neanche il gabinetto, faceva una “vita agra”, di quelle senza speranze, e  quell’idea di fare la rivoluzione gli sembrò un modo per andare oltre rispetto a ciò che faceva il Pci… Racconta che provò anche a sganciarsi, dicendo che voleva andare a lavorare in Iraq, dove poteva guadagnare bene, ma non fece in tempo, la Digos arrivò prima che partisse. E poi, si sa, da certe storie non è facile uscirne…

“In carcere mi hanno trattato come un assassino, ma io non avevo mai sparato un colpo, ho toccato con mano, sulla mia pelle, i teoremi degli inquirenti Sica, Priore, Imposimato che facevano equazioni molto semplicistiche…”.

Silvano Favi racconta anche della fuga in Francia, violando la libertà vigilata. Cosa che gli valse una ulteriore condanna, fino all’assoluzione arrivata nel 1989, perché riconosciuto se non estraneo ai fatti contestatigli, sicuramente una figura marginale.

Ne ha voluto parlare con me e con l’amico comune che è Palmiro Giovagnola, anche lui prodotto di quella medesima Casa del Popolo, quasi per chiudere quel capitolo cupo. Non gli è piaciuto il termine “custode delle armi” usato nel libro (ma quello fu ciò che era scritto nei verbali della Digos e nei comunicati stampa che seguirono all’arresto), per il resto dice di aver apprezzato la ricostruzione dei fatti e anche la “lettura” del caso increscioso di Luigino Scricciolo, un episodio di malagiustizia clamoroso durato 20 anni…

A differenza di Silvano Favi, che custodiva le armi a sua insaputa e qualche contatto con le Br lo aveva avuto, Luigino non c’entrava proprio niente e per vedersi prosciolto da ogni accusa ha dovuto aspettare il 2001, per poi morire di “crepacuore” nel 2009…

Luigino io lo conoscevo bene e conoscevo anche Loris, suo cugino, il Br che lo aveva tirato in ballo; Silvano Favi, no, lo conoscevo solo di vista, come giovane compagno della Casa del Popolo che frequentavamo tutti, all’epoca, anche noi giovani comunisti chiusini…

Sapevo che Favi non sarebbe venuto alla presentazione del libro, certe storie non si raccontano in pubblico, troppo alto il rischio di fraintendimenti, di equazioni troppo facili, però confesso che la sua chiamata e la chiacchierata di giovedì mi hanno sorpreso. Non me l’aspettavo. Non sapevo nemmeno dell’assoluzione del 1989. Credo sia bene che si sappia. Senza con questo “assolvere” la scelta scellerata, consapevole o meno, che fece allora, insieme ad altri moianesi. Credo anche che sia stato un bene che Silvano Favi non riuscì nell’intento di far sparire quei “sacconi” bruciandoli in un forno… Visto quello che contenevano poteva scapparci un bel botto, con conseguenze tragiche. E a Moiano un bel botto c’era già stato il 23 aprile del ’74, quando una bomba di due kg e mezzo di tritolo fece saltare l’ingresso e il bar della Casa del Popolo.

Alla presentazione del libro, si è parlato anche di altro, delle altre storie ignobili che hanno segnato questa strana “terra di mezzo”, ma la chiacchierata preventiva con Silvano Favi, è stata un piccolo colpo di teatro, la conferma che quelle storie ci riguardano tutti, le più lontane nel tempo e le più vicine… perché, alla fine dei conti, la storia siamo noi.

m.l.

Nella foto: la casa con “murale” a Caioncola, dove abitava il Br Loris Scricciolo

 

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