LA RACCOLTA DELLE OLIVE: RITO EGUALITARIO, QUASI COMUNISTA
Fateci caso, di cosa parla di più in questi giorni la gente? Dei Dpcm di Conte? delle elezioni americane? delle partite della Juve e del’Inter in Champion league? degli ospedali pieni e delle file davanti ai centri medici per ottenere qualsiasi prestazione? No, in questi giorni la maggior parte della gente comune, quella che sta in fila con la mascherina davanti agli ambulatori o davanti ai supermercati, parla della raccolta delle olive. Che è un rito che si ripete ogni anno di questi tempi. Soprattutto in zone vocate alla produzione di “olio bono” come lo sono queste, a cavallo tra Toscana e Umbria. E dove tantissima gente un piccolo oliveto ce l’ha o comunque conosce qualcuno che ce l’ha e a novembre va a dargli una mano nella raccolta, in cambio di un po’ d’olio per il consumo di famiglia.
Anche sui social, non si contano i post di persone che si fanno selfie sotto agli ulivi, con il rastrellino in mano. Magari quello con il braccio lungo, meccanizzato.
Gli stessi redattori, i collaboratori e gli amici di primapagina non sfuggono al rito. Ettore Serpico, Renato Casaioli, Elda Cannarsa, Vincenzo Bologna, Haude Bezat Coradini, hanno pubblicato belle immagini che possono sembrare bucoliche, ma invece sottintendono giornate faticose. Di quelle che alla sera crolli sul divano e non ti accorgi nemmeno di cosa parlino in Tv. Ti fanno male le braccia, la schiena, le gambe, le mani… Primo perché non tutti sono abituati al lavoro “bracciantile” in campagna, secondo perché raccogliere le olive, anche se è un rito, non è una passeggiata. E fortuna che non fa freddo.
Qualcuno accompagna le foto con qualche commento, anche autoironico, ma che calza a pennello con la situazione complicata indotta dalla pandemia sul fronte dell’economie familiari.
Qualcuno ha scritto che “un tempo la chiamavano economia di guerra”… E la nostra Elda Cannarsa ha precisato: “Io la chiamerei legge della comunità. Se non contribuisco con il lavoro pagato, devo contribuire con il lavoro retribuito in libagioni. Perlomeno, di fame non moriamo… Poi, oltre ad avere un contatto diretto con la natura, sono attività terapeutiche. Tengono la mente impegnata, hanno risultati di produttività soddisfacenti e quasi immediati, ti insegnano sempre qualcosa sull’ecosistema che non necessariamente conoscevi”…
Questo ragionamento, tra il serio e il faceto, mi ha fatto tornare in mente la teoria di Marx secondo cui “Una società comunista è caratterizzata da una proprietà comune dei mezzi di produzione con libero accesso ai prodotti finali, senza sfruttamento del lavoro altrui”.
Ecco nella raccolta delle olive, nei propri oliveti, con mezzi propri e con l’unico ricavo dell’olio per il consumo di famiglia, senza sfruttamento del lavoro altrui, si realizza in pratica la teoria di Marx. O ci si avvicina molto.
E il termine “legge della comunità” usato da Elda Cannarsa richiama quello che facevano anche i frati nel medioevo e più tardi i gesuiti che in Sudamerica impiantarono delle “comunità” di tipo “comunista” (prima che il comunismo fosse inventato). E la “comunità” accomuna tutti coloro che raccolgono, in qualche caso pure il proprietario dell’oliveto, delle casse, dei teloni e dei rastrelli, ovvero dei mezzi di produzione che vengono messi a disposizione per l’obiettivo finale. La raccolta delle olive come si fa adesso, con lo scambio lavoro per l’olio, non è l’equivalente della mezzadria, in cui il padrone prendeva comunque la metà del prodotto… La raccolta fatta in proprio o nell’oliveto di amici e parenti è alla pari, cioè per ottenere il frutto del lavoro prestato. Questo, alla fine, è un principio comunista.
Non tutti se ne renderanno conto, o ci faranno caso, ma raccogliere le olive per avere l’olio (buono) da consumare durante l’anno è davvero una applicazione sul campo della teoria marxiana. E prima ancora, di Marx ed Engels, delle teorie egualitariste dei francescani e dei gesuiti…
Quando un tempo si diceva “socialismo realizzato” si pensava a quei Paesi con regime a partito unico che stavano di là della cortina di ferro, sotto l’egida dell’Unione Sovietica. Che poi di socialismo vero avevano poco o nulla. Qualcuno mi prenderà per matto o rincoglionito, ma a me fa piacere, oggi, pensare invece che il socialismo si realizzi in un rito che da queste parti si fa da sempre: la raccolta delle olive. E la cosa mi torna in mente ogni volta che mangio una bruschetta.
Marco Lorenzoni
Bellissimo titolo, azzeccatissimo, bello anche il riferimento alla teoria di Marx, però qui da noi questo bellissimo rito è svolto completamente al nero, e grazie alla capacità di continuare a fare ancora nel 2020 la lotta di classe, non abbiamo un marchio comune dei mostri prodotti d’eccellenza o un consorzio dei produttori e facciamo circolare un’economia sommerza che arricchisce semprei soliti sfruttatori di valori che mentovano ma non praticano.
Nell’articolo si fa riferimento solo a particolari situazioni: “nella raccolta delle olive, nei propri oliveti, con mezzi propri e con l’unico ricavo dell’olio per il consumo di famiglia, senza sfruttamento del lavoro altrui”, quindi non alla raccolta in generale fatta anche dalle aziende agricole… La raccolta in proprio, con l’aiuto di amici e parenti, non può essere considerata “lavoro al nero” o sfruttamento del lavoro altrui”… ed è solo in quella particolare condizione che si realizza la teoria marxiana e se vogliamo anche la prassi che usavano i frati francescani e i gesuiti…
Si esatto il problema sovviene quando i proprietari sono iscritti ai coltivatori diretti, e oltre che a continuare a fare la lotta di classe usufruiscono di sgtavi fiscali iva agevolata e manodopera sottopagata al nero, ma è molto facile per renderi conto realmente di ciò basta conteggiare quanti litri di olio escono dai nostri mulini, e contare gli amici che ci aiutano nella raccolta, la differenza è il lavora al nero,e per questo che non esiste un marchio dei nostri prodotti d’eccellenza, buon fine settimana.