LA MORTE DI ARBASINO E LA LEZIONE DEL GRUPPO ’63: QUEL TENTATIVO DI RIPENSARE L’ITALIA PARTENDO DAL LINGUAGGIO PU0′ TORNARE UTILE ADESSO…

lunedì 23rd, marzo 2020 / 16:25
LA MORTE DI ARBASINO E LA LEZIONE DEL GRUPPO ’63: QUEL TENTATIVO DI RIPENSARE L’ITALIA PARTENDO DAL LINGUAGGIO PU0′ TORNARE UTILE ADESSO…
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Era l’anno scolastico 1974-75, liceo di Montepulciano,  quando sentii parlare per la prima volta del Gruppo ’63. Lo fece il professore di Italiano, un prof giovane venuto da Siena, capelli lunghi, camicia militare e trascorsi in Lotta Continua. Dal ’63 erano passati poco più di 10 anni… Non era roba stantìa. Era ancora merce fresca. Personalmente ne rimasi quasi affascinato. Perché quel gruppo letterario (ma non solo letterario) mi sembrò qualcosa da approfondire, da cercare. Allora non c’era Google e nemmeno wikipedia… cercare si poteva, ma si doveva fare sui libri, sui giornali dove alcuni dei componenti del Gruppo ’63 scrivevano, abbastanza regolarmente. Più che altro sul Corriere. Ma anche sull’Espresso. O su Rinascita, la rivista culturale del Pci. Magari su Linus…

A pensarci adesso viene da sorridere: dei ventenni (alcuni non ancora) che si appassionavano e discutevano degli articoli di Umberto Eco, Elio Pagliarani o Edoardo Sanguineti. Discutemmo molto su”Vogliamo tutto” di Nanni Balestrini, uno dei testi cult dell’autunno caldo del ’69, scritto in un italiano rivoluzionato anche nella punteggiatura.

Ecco, erano tutti esponenti del Gruppo ’63. Con loro anche Angelo Guglielmi che sarà il “patron” di Tele Kabul, ovvero della terza rete Rai, o Renato Barilli, Sebastiano Vassalli, Luciano Anceschi… Il gruppo criticava la letteratura commerciale mettendoci dentro anche autori come Cassola, Bassani, Pratolini, si rifaceva alle idee del marxismo e allo strutturalismo, proponendo opere talvolta improntate all’impegno sociale militante (come gli scritti di Pagliarani e Balestrini), ma che in ogni caso contestavano e respingevano i moduli tipici del neorealismo e della poesia tradizionale, perseguendo una ricerca sperimentale di forme linguistiche nuove e diverse e di diversi contenuti.

Sembravano testi un po’ cervellotici ed elitari, ma erano invece picconate al pensiero unico e anche all’ubriacatura capitalistica che si andava diffondendo sull’onda del boom economico… La chiamarono “neoavanguardia”. Una specie di futurismo rivisto e corretto, 50 anni dopo quello di Marinetti, ma coniugato al pensiero sociale, all’idea del socialismo, alla critica dell’economia e del sistema capitalistico e borghese, non certo al mito della guerra, del’industrialismo…

Uno degli esponenti di spicco di quel movimento è stato senza dubbio lo scrittore e giornalista Alberto Arbasino. Che è morto ieri dopo lunga malattia. A darne notizia è stato il quotidiano La Repubblica con cui Arbasino ha collaborato fin dalla fondazione nel 1976. Fu proprio nel ’63 che Arbasino pubblicò “Fratelli d’Italia” (non lo dite a Giorgia Meloni), un romanzo fiume scritto in un linguaggio assai sperimentale.

Quante volte abbiamo sentito parlare della “casalinga di Voghera” per indicare la persona comune, ma anche il senso comune e un po’ ottuso del tipico piccolo borghese italiano e lombardo in particolare? Tantissime volte. Qualcuno attribuisce l’espressione a Montanelli. No, fu proprio Alberto Arbasino a pronunciarla per primo, nel 1966. E non per caso. Era infatti nato a Voghera, nel 1930. E alla terra lombarda, oggi martoriata dal coronavirus, ha dedicato anche altri scritti, come “La bella di Lodi” o “L’anonimo lombardo“.

In queste serate di clausura o quarantena (volontaria o meno) da passare sul divano varrebbe la pena rileggerli. Così come “Ritratti Italiani” e “La vita bassa“.

A 90 anni ci sta che uno saluti e se ne vada. E Arbasino non stava nemmeno bene. Ma la sua uscita di scena è una perdita pesante. Per la letteratura, per il giornalismo e per l’Italia in genere.

In tre giorni se ne sono andati lui e Gianni Mura, altro cavallo di razza del giornalismo italiano. Un giornalismo letterario, applicato allo sport per lo più. Ma anche calcio e ciclismo sono letteratura, talvolta. Come le banalità ottuse di una semplice e borghesuccia casalinga di Voghera…

E oggi che dobbiamo in qualche modo attrezzarci tutti a ripensare la nostra vita quotidiana, a rivedere certezze e dubbi, per quando l’emergenza sarà finita (perché dovrà finire) quegli scritti un po’ strani, come quadri astratti, ma taglienti, possono tornare utili. In fin dei conti anche quelli del Gruppo 63, provarono a ripensare la società di allora, guardando a un orizzonte diverso. No?

Marco Lorenzoni

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