IL “TROPICO DI GALLINA” DI MATTIA NOCCHI: LA VALDORCIA CHE ASPETTA ANCORA L’ARMATA ROSSA

venerdì 05th, luglio 2019 / 14:42
IL “TROPICO DI GALLINA” DI MATTIA NOCCHI:  LA VALDORCIA CHE ASPETTA ANCORA L’ARMATA ROSSA
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E’ il mese di luglio, il caldo incombe e arriva il momento delle vacanze, del riposo, del relax. E’ il momento di regalarsi del tempo, anche lungo, per noi stessi e pochi eletti. Che siano passeggiate, serate all’aria aperta, cene tra amici, notti fresche a guardare le stelle si faccia in modo che siano di qualità, così come le lunghe letture che in questo periodo, liberi da vincoli lavorativi, si possono godere ad oltranza.

Una proposta interessante per superare queste temperature afose e torride potrebbe essere TROPICO DI GALLINA, scritto da uno scorrevole Mattia Nocchi, pubblicato il 4 maggio scorso da ExCogita.

Va da sé che il titolo ci riporti indietro nel tempo, anno 1934, Henry Miller pubblica il suo  TROPICO DEL CANCRO, romanzo a sfondo erotico sessuale che negli anni ’60, negli Stati Uniti,  gli costò un processo per oscenità.

Ecco,  il libro di Mattia Nocchi  non rischia così grosso, tutt’altro! Dal titolo si potrebbe pensare ad una parodia del testo milleriano ma non è così. Non c’ è nessun richiamo al romanzo dello scrittore inglese tranne uno, forse.

La storia è ambientata non a Parigi come in Miller, ma a Gallina (sì, Gallina esiste davvero e non si tratta solo di un pennuto…), un minuscolo fazzoletto di terra immerso tra le colline della Val d’Orcia, con pochissimi abitanti. Laddove però passa il 43° parallelo.  E c’è pure un cartello ad indicarlo…

Il racconto di Nocchi prende quota lentamente, sembra seguire i ritmi lenti e precisi  tipici degli abitanti di quei luoghi, dove il tempo riecheggia con ostinata pazienza  negli animi di chi vive la vita nella sua essenza più che altro biologica e naturale. Il lavoro fisico è il  punto cardine dell’esistenza, il motore che rende l’individuo forte, rispettabile e dignitoso. La parola non è un dono apprezzabile ma piuttosto uno scomodo strumento che distoglie dalle fatiche quotidiane, parola è pensiero e quando c’è da lavorare non è mai bene pensare troppo che tanto non serve a niente.

Questi sono i toni in cui si muovono i personaggi del libro, diversi spesso per carattere o ideologia, ma simili nel profondo come Nilo e Orlando, i giocatori di briscola che aprono il racconto. Entrambi incarnano quei valori che sottendono la cultura contadina della valle fatta di buon cibo, onestà lavorativa e di una fede politica che viene portata avanti ad oltranza senza interrogarsi nel tempo se sempre giusta o no.

Gli altri personaggi si affacciano delicatamente alla narrazione, entrano con discrezione, quasi marginalmente e nessuno detiene la scena per un tempo lungo. Ognuno ha il suo ruolo ma nessuno è dominante sull’altro, soltanto Anna, la strega del  paese ha questa facoltà; il suo personaggio si lascia intravedere, si lascia raccontare, la sua è una storia di bambina sola, cresciuta da un padre taciturno e dedito al lavoro, rimasta incinta giovanissima e custode di un potere paranormale: è in grado di udire le voci dei morti da una vecchia radio. Lei è l’unico personaggio che si lascia conoscere, forse perché è l’unica che non ha nulla da perdere,  poiché ha già perso tutto. Lei è un outsider è una donna che ha cresciuto un figlio da sola e non si sa bene con chi l’abbia avuto, è una donna che non ha mai avuto una madre e parla con i morti; ricorda un po’ la Ester Prinn della Lettera Scarlatta N.Howthorne che alla fine del libro finì, per le sue stravaganze, sul palco della gogna. Ecco a Gallina, nel racconto di Nocchi, il palco non c’è più,  ma la gogna è rimasta ed è rappresentata da tutte le malelingue che non riescono a guardare più in là del proprio naso, da tutti coloro che non riescono a calarsi nelle vite degli altri per arricchire la propria percezione delle cose ma restano ancorati alla loro idea di verità pensando che sia la sola possibile.

La vita a Gallina scorre così, facendo un passo avanti e poi, per paura della crescita che implica distacco, facendone tre indietro; le persone inconsapevolmente rassegnate ad un destino precostituito conferiscono alla narrazione toni di desolata malinconia.

I giovani in tutto ciò ascoltano la musica sognando di scappare a Londra,  ma il mancato talento non consente loro di andare molto lontano e per assicurarsi un futuro economico dignitoso escogiteranno un piano criminale dall’epilogo fallimentare.

A  scombussolare la quiete delle morbide colline arriva anche una troupe cinematografica per girare un film sull’allunaggio portando gli abitanti del paese a credere che sia tornata l’Armata Rossa,  un paradosso che Mattia Nocchi terrà in piedi per quasi l’intera narrazione forse quasi a sottolineare l’ingenuità di un sogno, per molti mai sopito…

Il punto dolente dell’ensamble infatti sembra essere proprio questo, gli uomini e le donne che abitano quei luoghi non hanno la percezione del tempo che passa e dell’evoluzione che avviene. Sembrano vivere in uno spazio senza tempo dove le cose rimangono immote, invariate, così come i pensieri che restano cristallizzati in un’aura di remoto passato senza nessuna possibilità di futuro.

L’unica analogia che è possibile cogliere con TROPICO DEL CANCRO di Miller, è  forse proprio questa, ovvero la valenza del tempo, diversa ma centrale in entrambi.

Per  Miller è una sorta di  cancro che corrode, poiché viene vissuto intensamente dal protagonista attraverso le sue avventure intellettuali e sessuali,  mentre per  Nocchi assume una connotazione dai toni fortemente dismessi, è quasi irrilevante il suo scorrere e in altrettanto modo finisce per essere deleterio per le persone stesse poiché non è vissuto.

Il non riconoscere il tempo e la sua finitudine significa in sostanza non vivere; il tempo a Gallina pare essersi fermato e questo forse non è sempre un bene.

Un invito sottile quello di  Nocchi ad afferrare tutto ciò che è possibile qui e ora, perché per quanto possiamo impegnarci prima o poi la sabbia che abbiamo a disposizione nella clessidra finirà e, nel frattempo, se vogliamo infilarci sotto la testa non basterà.

Afferriamo i giorni quindi, ma soprattutto seguiamo il loro fluire con tutto quello che comporta:  idee nuove, progresso, movimento, confronto, orizzonti diversi poiché è l’unico modo che abbiamo per vivere una vita che vada verso una crescita e la conquista di qualcosa piuttosto che verso il perpetuo ristagno che conduce al vuoto.

Mattia Nocchi ha pubblicato nel 2017 per Effigi: Come cerbiatti sulle strisce pedonali, lavora a Milano nel mondo delle emittenti nazionali RTL 102,5, Radio 24, Il Sole 24 Ore.

Paola Margheriti

 

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