IL TEATRO E LA CULTURA DOPO L’EMERGENZA. GABRIELE VALENTINI: “QUANTO E’ DIFFICILE FARSI CONSIDERARE LAVORATORI!”

martedì 21st, aprile 2020 / 12:32
IL TEATRO E LA CULTURA DOPO L’EMERGENZA. GABRIELE VALENTINI: “QUANTO E’ DIFFICILE FARSI CONSIDERARE LAVORATORI!”
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Una settimana fa, su queste stesse colonne abbiamo avviato una riflessione sugli effetti dell’emergenza Covid sull’economia e sulla vita sociale, anche in questo territorio. Nell’articolo si parlava anche di settori non esattamente economici, ma che coinvolgono centinaia di persone, producono reddito e soprattutto producono “qualità della vita”, come lo sport, il teatro, la musica… E in conclusione si facevano anche alcune proposte, non tanto per la ripresa o ripartenza che verrà, quanto per sopravvivere in questa fase di “clausura” e magari per sfruttarla per allenarsi e sperimentare linguaggi e modalità diversi che potrebbero rivelasi utili anche una volta tornati alla normalità. Tutto ciò per non disperdere un patrimonio, per non vedere squadre sportive o compagnie teatrali, band musicali,costrette al rompete le righe e al si salvi chi può…  Qualcuno tra gli interessati ha risposto a margine dell’articolo in questione (Carlo Pasquini, per esempio), altri lo hanno fatto con messaggi privati o conversazioni telefoniche… Qui sotto pubblichiamo oggi la riflessione di Gabriele Valentini, regista teatrale sarteanese. Un addetto ai lavori. Una delle tante “eccellenze” del territorio che da anni producono intrattenimento e cultura. E che ha già sperimentato oltre al teatro e al palcoscenico, anche altre forme di espressione come il cortometraggio, ad esempio…
Ecco cosa scrive Valentini:
Carlo Marco,
ho letto l’articolo sul futuro del teatro che pubblicato qualche giorno fa da primapagina, volevo rispondere tra i commenti poi mi sono reso conto che sarebbe uscito fuori “un pippone” e ho desistito. Tuttavia mi è rimasto un ronzìo in testa, al quale proverò a dare forma. Il problema del teatro, e più ampiamente, dei mestieri legati all’aggregazione ai tempi del corona virus, esiste, sono perfettamente d’accordo con te, non sappiamo ancora quali saranno “le regole” alle quali dovremo sottostare, ma sicuramente cambieranno non di poco le nostre abitudini. Nel tuo articolo fai un invito a inventare nuove forme, magari utilizzando lo streaming come forma di diffusione, rendendolo meno amatoriale ovviamente, e questo è uno stimolo al quale, personalmente, sto lavorando, in questo periodo di stop forzato. Alla tua riflessione generale, però, mi viene da aggiungerne un pezzo: da quando è iniziata l’emergenza Covid, sulla rete è stato un proliferare, quasi immediato, di dirette, piccoli filmati, letture, esibizioni musicali, ecc… tutte iniziative, come dici tu, lodevoli, non sempre belle dobbiamo ammetterlo, ma comunque con una funzione “sociale”, almeno nelle intenzioni. 
Dico questo perché, a tratti, soprattutto all’inizio dell’emergenza ho avuto come l’impressione che ci fosse una corsa a non farsi dimenticare, da parte di noi artisti (non mi piace questo termine, ma per convenzione lo userò), quasi come se avessimo paura di cadere in un oblìo che la pandemia minacciava, è solo un’impressione che può essere sbagliata, lo so, ma tuttavia non è da escludere, perché diciamolo, noi, chi vive di questo mestiere, siamo precari per definizione e chi può essere gettato nel dimenticatoio meglio di un precario?
Questo interrogativo mi porta dritto dritto verso un’altra riflessione, solo apparentemente slegata, che riguarda il mondo del lavoro, di questo lavoro intendo, che, chiariamoci non è molto diverso dal lavoro di qualsiasi altro artigiano, con la differenza però che ad altri artigiani , che so, tipo il falegname, non viene chiesto “si, ma di mestiere che fai?” Il tavolo, la libreria ecc. li vedi, li tocchi e quindi è più semplice capire. Gli operatori nel mondo dell’arte, che siano registi, attori, scrittori, musicisti, pittori, fanno parte di una categoria che spesso non viene identificata come un vero e proprio lavoratore, questa emergenza ha però evidenziato l’importanza di questo settore (avrei voluto vedere una quarantena, senza libri, musica, film ecc.) e questa forse è l’occasione per farlo capire.
La grande generosità che questo settore sta dimostrando nel mettere a disposizione gratuitamente il proprio materiale è indubbia, ma la domanda che mi faccio io è: non è che questa generosità, questo mettere a disposizione il proprio materiale, questo inventarsi velocemente, il proliferare di clip, di letture, di esibizioni, recitative o musicali, siano alla fine controproducenti? Perché se siamo noi per primi a lanciare il messaggio che basta mettersi di fronte ad una telecamera di un telefono, poi alla fine non ci lamentiamo se qualcuno a fine emergenza continuerà a non capire e a chiederci che mestiere facciamo. La penso così. Con una  piccola precisazione: quando scrivo che spesso non veniamo identificati come lavoratori non intendo solo da “l’opinione generale” ma anche da chi avrebbe il dovere di tutelarci in quanto lavoratori, magari non era chiaro o forse sì.
Grazie per la pazienza e per aver sollevato l’argomento nel tuo articolo.
Gabriele Valentini
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