MORTI PER DROGA A CHIUSI, OMICIDIO-SUICIDIO A CETONA, SUICIDIO A CITTA’ DELLA PIEVE (7 IN DUE ANNI)… CHE SUCCEDE IN QUESTO TERRITORIO?
E’ un’estate nera, nerissima, se si guarda dal punto di vista della cronaca. Dopo il 18enne morto a Chiusi Scalo per una overdose da coctail di droga e altro (eroina probabilmente tagliata male, il che significa che altre vite sono in pericolo) avvenuta il 29 giugno, un’altra serie di “fattacci” ha scosso l’opinione pubblica e la quiete di un territorio vissuto da molti come buen retiro.
Il 6 luglio, un uomo di 41 anni, titolare d un’azienda agricola a Cetona ha ucciso la moglie venezuelana, 40 anni, soffocandola con un cuscino, poi si è tolto la vita a sua volta impiccandosi ad un albero in una cava abbandonata. I due coniugi erano sposati da un anno e mezzo. Omicidio-suicidio, forse al termine di una lite. Una tragedia familiare che lascia il figlio dei due, di 9 anni, senza genitori e una intera comunità come quella cetonese, attonita, incredula. Il marito, Marco Del Vincio era conosciuto e stimato, la moglie, Ines Sanchez Tapperi lavorava da qualche giorno in un bar di Piazza Garibaldi, quindi era ugualmente conosciuta. Una storia amara e triste. Apparentemente un “dramma della gelosia”.
Il sindaco Eva Barbanera ha chiesto qualche giorno di silenzio, per rispetto del dolore di familiari, parenti e amici, prima di avventurarsi in riflessioni sociologiche. Nei capannelli di piazza però la gente non parla d’altro, naturalmente. La tendenza è ad avvalorare la tesi dell’uomo vittima dell’esuberanza della moglie, cosa che non è riuscito evidentemente a sopportare… C’è chi dice che lei volesse tornare in Venezuela portandosi via il figlio e questo abbia scatenato la reazione del marito… Ma sono congetture, ipotesi. E magari pesa anche il fatto che la donna fosse sudamericana e il marito cetonese doc…
“Certe cose purtroppo succedono, ma qui succedono un po’ troppo spesso” ha commentato un cetonese, su fb replicando all’appello del sindaco, facendo probabilmente riferimento ad un altro suicidio recente. Solo un mese e mezzo fa, il 20 maggio scorso, infatti un imprenditore cinquantenne arrivato anni fa dal nord Italia, si è sparato nel garage di casa, sempre a Cetona.
Era del nord Italia e aveva 50 anni anche Massimo Chimenti imprenditore agricolo che ieri si è tolto la vita a Città della Pieve. Un altro fulmine a ciel sereno. Chimenti era infatti persona attiva nell’associazionismo pievese ed era stato tra primi attivisti del Movimento 5 Stelle nella città del Perugino. Una scelta, quella di farla finita apparentemente inspiegabile se non con quella bestia nera che è il male di vivere…
E se due morti per droga a Chiusi Scalo nel giro di due mesi scarsi, due suicidi (uno con omicidio annesso) a Cetona a distanza di un mese e mezzo lasciano sgomenti e preoccupati, a Città della Pieve sembra tirare davvero una pessima aria. Lì di suicidi infatti ce ne sono stati 1 nel 2014, 5 dal l’inizio del 2016 alla fine del 2017. Più due tentativi falliti. Nel 2018 altri due... Un’ecatombe. Se si guarda l’età degli autori del gesto estremo: 6 su 7 sotto ai 50 anni, 3 di essi addirittura sotto ai 30, 4 sopra i 70…
Il male di vivere sembra essere trasversale. Colpisce tutte le fasce di età, ma in particolare quella di mezzo…
Ovviamente ogni caso è un caso a sé. Il suicidio è il gesto più individuale e individualista che ci sia. Chi lo compie merita rispetto e comprensione, ma quando le ragioni non si comprendono, non si intravedono, non sono chiare, è difficile da accettare per chi rimane. E’ altrettanto ovvio che non c’è connessione tra un caso e l’altro. E forse nemmeno “emulazione”. C’è però un malessere diffuso, evidentemente. Più diffuso di quanto emerge a pelo d’acqua, più diffuso di quanto si possa immaginare. Probabilmente è anche un caso che una decina di episodi si siano verificati a Città della Pieve, ma una decina di casi in due anni sono un numero esorbitante rispetto a una realtà di 7 mila abitanti. Quindi, senza voler fare i sociologi per forza, una riflessione seria andrà pur fatta. Senza reticenze, senza timore di fare “cattiva pubblicità” alla città e senza il finto pudore che ammanta il perbenismo…
Città della Pieve, così come Cetona e Chiusi hanno un argomento serissimo, doloroso e complicato, da discutere e da affrontare. Ma lo devono fare, perché quando i numeri diventano una “massa” non più trascurabile non è più un fatto ineluttabile e fisiologico. E’ un problema.
m.l.
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Credo che ci vorrebbe una riflessione psicologica molto lunga, senza entrare nel personale e nel particolare,che divergono come è sempre da persona a persona. Tu l’hai chiamato ”male di vivere” e probabilmente è la cosa che più si avvicina al significato.Ma oltre all’individuale di significati, c’è anche quello sociale che credo che dovrebbe essere la prima cosa da prendere in considerazione e posta sotto la lente d’ingrandimento,soprattutto perchè il mondo dove viviamo fatto anche di ”altri”, anzi soprattutto ”di altri”e risente pesantemente delle condizioni che la vita stessa produce, che i rapporti con gli altri producono.Ed allora vogliamo prendere in considerazione senza entrare nell’individuale di questi casi che tu dici succedono -perchè tutti abbiamo bisogno che la nostra privacy venga rispettata cosi come le nostre più intime pulsioni individuali- e vedere se sia possibile definire le ragioni di questo deleterio massimo comun denominatore a cui tutti siamo sottoposti e che ci accomuna e che a seconda di come ragioniamo e ci siamo formati, talvolta ci fa arrivare ai risultati per i quali noi stessi decidiamo di annullarci ? L’hai chiamato ”male di vivere” ma caro Marco io sono della convinzione che sia il contesto e gli alti e bassi che si incontrano vivendo che facciano ”il modo di pensare” delle persone.Concezione questa materialistica? Si, materialista ed è il perno centrale del ”cosiddetto materialismo storico” e credo che si scopra l’acqua calda definendola tale e che stabilisca che ognuno riesce a pensare a seconda del modo in cui si procura da vivere. In questo fardello che è la nostra base stratificata dentro di noi,pesano le esperienze, chi siamo ed il vissuto, ed ancora le idee e le speranze di quello che secondo noi ci sia riservato dalla vita. Tutto questo complesso-lungi da me dare spiegazioni totalmente razionali di ciò che possa succedere dentro la mente delle persone-fa però sì che in un mondo dove viviamo e che è sottoposto a mille bombardamenti dall’esterno, dai media, dal vivere quotidiano, dalle letture, dall’esempio di gente che abbiamo vicino e che amiamo ed anche di quella alla quale ci sentiamo di ragionare in modo opposto, tutto questo produce un ansia del vivere che hanno affrontato nel tempo letterati, filosofi, ed uomini normali con il loro esempio di vita. Il saper collocare tutto questo nell’equilibrio normale della vita è una grossa dote che non è che abbiamo o non abbiamo perchè siamo più intelligenti di altri, ma l’abbiamo a seconda della nostra sensibilità e del modo in cui ci siamo formati e sensibilità spesso vuol dire anche intelligenza.Ed allora,vivendo in questo mondo dove esistono tantissime diversità, tantissime differenze economiche, morali, formative, spesso il nostro sistema che ci regge nella quotidianità subisce degli attacchi incredibili e penetrano nella psiche; disperazione, sconforto e spesso anche terrore del domani. Sò di non scoprire nulla, ma sono i rapporti fra le persone e delle stesse persone che compenetrati con quanto succede nel mondo ed al di fuori di noi, che possono segnare momenti di debolezza.Ecco perchè il senso sociale pesa e dovrebbe costituire la base di ciascun individuo, fargli avere una corazza inattaccabile dalle vicissitudini e negatività esterne.Mi chiedo e faccio riferiferimento all’esperimento di vita di chi ci ha preceduto, dei nostri nonni, dei nostri padri, che hanno sopportato tragedie immani delle due guerre, scampati alla morte per puro caso talvolta,con le famiglie oberate dalla miseria rimaste a casa e con figli piccoli ed i contrasti avuti in quel mondo dove sono cresciuti e che ha visto lo stratificarsi delle loro coscenze.Costoro hanno resistito, hanno lottato, hanno trasmesso anche ad altri nella loro condizione il loro messaggio.Oggi è tutto più vacuo, tutto più fragile, tutto più inconsistente, sia dal punto di vista delle sicurezze ideali che permanevano una volta,sia su quelle future che riguardano la possibilità di vivere una vita degna di essere vissuta, dignitosa, normale e proiettata verso un equilibrio di normalità. Il mondo mediatico dove siamo immersi ha indebolito indubbiamente le nostre facoltà perchè ha aumentato l’anelare alla soddisfazione dei bisogni, ma non ha altrettanto aumentato le possibilità che tutti li possano soddisfare in maniera normale. Il mondo mediatico di per se stesso non vorrebbe dire nulla, ma occorre vedere a quale sistema sia applicato e qiali siano le istanze di tale sistema e cosa producano, spesso al punto di far scambiare i bisogni, quelli secondare e terziari, accessori, con quelli primari. E’ qui, in questo scalino che ci sembra insormontabile, che si giuocano concetti come quello della ”democrazia” ed anche per quanto possa esserne vero o falso il contenuto ed il significato di tale parola.Ma avete mai pensato a questo che ho detto ? Avete mai pensato a come è stato attaccato il concetto stesso di democrazia dai nostri governanti occidentali che noi stessi abbiamo eletto, tutti quanti riferentesi a tale concetto di quanto sia stata snaturata tale parola? Ed è superfluo dire che purtroppo bisogna assistere alla dispora politica che quasi sempre si avvale della difesa di tale concetto ma che nello stesso tempo dalla stessa diaspora politica tale concetto ne venga totalmente snaturato. Ed allora, perchè non si ragiona che dentro alle coscenze individuali tale visione che giornalmente si sviluppa accanto a noi, accanto al nostro vivere è quella che ci porta su di un binario per il quale poi qualcuno per motivi diversi ed anche indivduali, formativi, sentimentali,economici arriva alla concezione per la quale decide che sia meglio togliersi la vita? Dove risiede la chiave di questo dentro le persone ? Io credo che possa risiedere senz’altro dal sentire che la distanza fra quanto uno possa concepire di se stessi e del mondo che lo circonda sia immane, grande ed insormontabile e possa anche sfociare in un atto estremo a seconda del momento che si possa vivere internamente. Da tutto questo si dimostra che l’uomo per vivere una vita degna di essere vissuta ha bisogno degli altri e che preso a se stante ed individualmente non è nulla.Questo mio non vuole essere un giudizio in cui ci si erige verso le persone come individui, che meritano rispetto in tutte le loro scelte, come anche quelle estreme di persone che magari ammalate da mali incurabili hanno la dignità e la forza di decidere per se stessi di porre fine ad una esistenza delle quale solo loro sono i padroni al contrario di coloro che dicono( ma è la loro interpretazione) che solo il Padre Eterno abbia il diritto di dire basta alla vita.Io non sono di tale parere, anche perchè tale impostazione è fatta nella materialità dell’esistenza umana suggellando un principio ed una condizione che riguarda tutti non obbedendo-dicono loro- alle leggi della vita ed a quelle di Dio, ma facendo sì che sia l’uomo che decida al posto del Padre Eterno. Guardate, questo può essere un concetto che ribaltatato a 360° possa fornire anche una illuminazione su cosa sia l’uomo e la sua dignità, anche per i credenti che pensano che sia una creatura di Dio, proprio anche per l’essere fatto a sua misura e creatura da Dio essa stessa proveniente.Non mi addentro in questo poichè sono questioni irrisolvibili per la limitatezza umana e si scenderebbe in discorsi che non producono nulla e spesso nemmeno consapevolezza che possa serevire.Ho cercato a mio modo di spiegare le ragioni di ”questo male di vivere” di cui parla Lorenzoni e quindi dove sono arrivato e cosa della quale sono molto sostenitore e sicuro è il discorso del bisogno umano di poter vivere in mezzo agli altri.Senza gli altri siamo ”foglie ad ogni vento” e questo dovrebbe far riflettere molti sostenitori delle teorie politiche ed anche economiche che fino ad ora specialmente nel nostro mondo occidentale hanno prodotto per l’individuo, solo per quello, spingendo sui consumi individuali e sulla concezione che da ciò deriva, pensando che produrre per l’individuo si produca anche per il sociale. A costoro rivolgerei la seguente domanda: visto che il modo di produzione faccia e segni anche il modo di pensare( e questo è inequivocabile), come riuscireste a realizzare il connubio fra produzione e limitatezza di risorse in modo tale che venga rispettatala tendenza alla soddisfazione dei bisogni? E’ un vecchio sasso lanciato nello stagno e che ancora non ha avuto risposta in primo luogo dalla storia, se non con quella della diversità che porta allo scontro ed alla guerra.Ecco perchè i sostenitori di tale teoria si oppongono con tutti i mezzi alla spartizione della torta dicendoci in un discorso estremizzato che considerare l’uomo come ”animale sociale” annulli la sua personalità, il suo carattere,le sue doti che non avrebbero lo spazio per essere espresse. Ho 72 anni e tale discorso l’ho sentito milioni di volte ed è un discorso a doppio taglio, che prende le menti di coloro che arrivano a concepire solo limitatezza e le menti di altri che hanno la consapevolezza certa che tale interpretazione sia quella che serva per affermare e ribadire spesso la propria condizione ed i propri privilegi. E sono in mezzo a noi, e spesso noi stessi non li contrastiamo efficacemente, ma loro lo sanno bene per cosa combattono.Noi spesso rinunciamo anche a farlo accettando quel sistema che ci piega giorno dopo giorno.Ecco perchè a questo occorre reagire e far pesare la nostra volontà. ”La democrazia” dovrebbe servire a questo.Probabilmente una gran parte di quel ”male di vivere” non sfocerebbe nelle tragedie individuali che vediamo ogni giorno, perchè prima di essere individuali sono indubbiamente ”sociali”. L’uomo da solo muore, non potrebbe vivere,con gli altri ed in mezzo agli altri invece vive e solo a tale condizione può pensare che il domani sia migliore dell’ oggi.
Abito a Milano dove sono nato, ma regolarmente passo qualche giorno a Chiusi per motivi famigliari e credo di aver capito qualcosa dei luoghi.
Secondo me il problema sta, sostanzialmente, nel carattere degli abitanti:
pur con lodevolissime eccezioni noto spesso a livello individuale un diffuso disfattismo, pigrizia mentale, poca intraprendenza nell’avere progetti a medio-lungo termine. Mi sembra chiaro che il mal di vivere prospera più facilmente laddove non si hanno progetti e ambizioni per i quali valga la pena darsi da fare e si vive alla giornata. Non sono uno psicologo nè un sociologo, ma penso che la situazione non possa cambiare in tempi brevi e soprattutto non possa dipendere da interventi esterni; ben venga discuterne in incontri pubblici, ma poi le proposte devono venire dal cuore degli abitanti.
Anche la Chiesa Cattolica locale forse potrebbe essere maggiormente attenta e riproporre con maggior vigore alcuni importanti principi.