“LA BOMBA”, APPUNTI DI UN CRONISTA DA UNO SPETTACOLO FUORILEGGE

di Diego Mancuso
Ho assistito ad uno spettacolo fuorilegge. Non pensavo che, raggiunta una certa maturità ed essendo ancora concessa (anche se, nemmeno troppo velatamente, minacciata) la libertà di espressione, soprattutto quella degli artisti, mi potesse capitare un’esperienza del genere. Eppure nella sua premessa Marco Lorenzoni è stato chiaro, il Parlamento Europeo ha appena approvato una risoluzione “che chiede di vietare, all’interno dell’Unione, l’uso dei simboli comunisti sovietici”, equiparati a quelli nazisti. E visto che nel manifesto dello spettacolo appaiono, nell’emblema del Partito Comunista Italiano riprodotto sull’insegna della Casa del Popolo di Moiano, la falce e il martello, la trasgressione di cui l’Eurocamera ha (incredibilmente) chiesto la sanzionatura era compiuta, coinvolgendo tutti gli spettatori. Tra sguardi sorpresi, risolini di compassione e il bollino definitivo apposto dallo stesso Marco (“il solo pensarlo è una cazzata”, sentenza che ha messo tutti d’accordo, mentre dalla platea partiva un apprezzatissimo “eventualmente siamo pronti alla lotta!”), non c’è stato però nessuno che si sia alzato, mosso dal senso di colpa verso il neonato divieto. Di fronte ad una sala così affollata, attenta e in qualche modo fremente, ben altre sono state le sensazioni condivise; e Marco lo ha detto chiaramente: “fa impressione!”, quando si è reso conto di avere davanti a sé quel pienone.
“La Bomba” non è stato solo rappresentato, la sensazione è che sia stato condiviso con chi era presente, anche grazie alla potenza, all’enorme energia, pari alla finezza espressiva, messe da Alessandro Lanzani nella sua narrazione, e alla maestria, alla straordinaria bravura di Igor Abbas, che, alla chitarra elettrica, ha eseguito le musiche, in un mix perfetto con i testi. In mano a lui, a Igor, quello strumento sembra piccolissimo, quasi un giocattolo, del quale riesce a sfruttare a fondo ogni risorsa (la performance per “La Bomba” è stata eccezionale); ma Igor non strapazza la sua chitarra, anzi, da gigante buono, sembra mostrarle una rispettosa “dolcezza”.
I costruttori Marchini, le Botteghe Oscure, Togliatti, Longo, Berlinguer, Mario Sossi, le BR, Piazza della Loggia, l’Italicus, Lotta Continua, i golpe e i colpi di Stato (tentati e riusciti), il Cile, Stairway to heaven, i Led Zeppelin, Pier Paolo Pasolini (“Io so. Ma non ho le prove”), Junio Valerio Borghese, la Decima Mas, Sogno e Pacciardi, Claudio Varalli, Sergio Ramelli e Giannino Zibecchi (“i ragazzi cadevano come mosche, e non erano tanto diversi tra loro”), la P38, la Beretta 7.65, le Br e Prima Linea, l’eskimo, l’assalto a Radio Alice, gli indiani metropolitani, la DIGOS, il giudice Imposimato, le perquisizioni, i Pink Floyd, l’Olanda di Cruijff e Neeskens, la maglia dell’URSS con scritto CCCP, la strategia della tensione, il tritolo, l’Unità, Vittorio Bachelet e la giovane Maria Rosaria, detta Rosy, Bindi, Laura Braghetti, Another brick in the wall, l’arresto della maestra Daniela davanti ai bambini, increduli, della sua classe, a Paciano (raccontato da Juri Bettollini nel dibbatito a seguire). Sono tante, ma non tutte, e messe alla rinfusa, le citazioni che stanno nella “Bomba” o ai margini della rappresentazione di Chiusi. Chi comincia a leggerle, non può fare a meno di accelerare il ritmo, di finire per correre, con sempre maggiore affanno, pronunciando quelle parole così significative per chi ha vissuto il passaggio dagli anni ’70 agli ’80. Sembra di scorrere l’album del ’900 di Giorgio Bocca, o gli articoli, di quei tempi, di Scalfari e Pansa, o “Patria”, di Enrico Deaglio. Ma non c’era stato bisogno di rincorrere la grande storia, era lei che era passata anche di qua.
Il dibattito, il momento di confronto che Paolo Villaggio ha magistralmente consegnato all’eterno ludibrio (“Per me, la Corazzata Potiomkin…”), ma che “La Bomba” ha avuto il coraggio di proporre, con naturalezza, in una sala che, come tutti i chiusini sanno, di dibattiti, di incontri, di discussioni, anche politiche, come unico spazio pubblico disponibile, ne ha ospitati tanti, sotto la lapide recante i nomi degli Accademici dei Filaleti. E qui sono state dette alcune cose che sono andate a finire in questi appunti perché forse sono le più importanti per comprendere l’idea che, insieme alla rievocazione del fatto, è alla base del progetto. Marco ha detto “che poi noi, in realtà, non abbiamo visto niente”, una frase sincera, delicata, che ti fa sentire l’alito della storia che ti sfiora. “Niente”, la stessa parola che usa il Maresciallo dei Carabinieri quando lascia andare i ragazzi di ritorno dalla “macchia” sul Cetona: “Andate, ragazzi, che non è successo niente”. Allora qualcosa doveva succedere! E in linea con quella di Marco, la dichiarazione che ci ha tenuto a fare Maurizio Patrizi: “noi volevamo cambiare il mondo, ma le armi, noi, a Chiusi, non le abbiamo neanche mai viste”. Che non è un modo per annacquare la drammaticità del momento ma esalta l’impegno, la partecipazione di chi c’era.
Delicata, infine, la dedica dello spettacolo a Luigino Scricciolo, sospettato di essere un terrorista, arrestato, trattenuto per tre anni in prigione e agli arresti domiciiari e per altri venti a rimasto in attesa di giudizio, fino al 2007, per essere poi riconosciuto “estraneo ai fatti”, morto infine prematuramente d’infarto, vittima di quel “momentaccio”. “La mamma abitava proprio qui, dietro a questo muro” ha detto Alessandro, provocando brividi di emozione.
Così, alla fine, ho capito di non aver assistito ad uno spettacolo fuorilegge, no, ma ad uno spettacolo militante, vero; ed era tanto, tantissimo che non mi capitava.
A Marco Lorenzoni va riconosciuto l’enorme merito di saper riconoscere i simboli che deposita la storia nel fluire apparentemente normale del tempo, ancora più normale in fondo alla provincia. A Stefano Giannotti, il Maestro, quello di averci riportato con i piedi per terra quando, passate da un po’ le 23.00, si è alzato, gli è stato chiesto se volesse dire la sua, ha risposto “no, mi devo alzare perché mi fa male la schiena, comunque tutti bravissimi”: è stato il segnale che dal 1979 eravamo tornati al 2025.
Fuorilegge Lorenzoni , lo sapevamo anche da ragazziche sarebbe finita così