CHI INQUINA DI PIU? I PIU’ RICCHI. CAMBIAMENTI CLIMATICI E INGIUSTIZIA SOCIALE STRETTAMENTE LEGATI. E OXFAM PROPONE UNA PATRIMONIALE
Chi è che inquina di più nel mondo e mette a rischio la sopravvivenza del pianeta? La risposta a questa domanda l’ha fornita OXFAM in un rapporto pubblicato alla vigilia del Vertice sul Clima di Dubai in programma dal 30 novembre al 12 dicembre. Vertice annuale dell’Onu.
Oxfam sostiene (dati 2019) che l’1% più ricco per reddito della popolazione mondiale è stato responsabile di una quota di emissioni di CO2, pari a quella prodotta da 5 miliardi di persone, ossia due terzi dell’umanità. Secondo il rapporto Oxfam, le emissioni di cui è responsabile l’1% più ricco del pianeta rischiano di causare 1,3 milioni di vittime a causa degli effetti del riscaldamento globale, la maggior parte entro il 2030. Vittime che si potrebbero evitare con un radicale e immediato cambio di rotta. In primo luogo rispettando l’obiettivo cruciale di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 gradi, rispetto al periodo preindustriale. Il problema ei cambiamenti climatici dunque si intreccia fortemente con quello della “distribuzione e concentrazioine del reddito e delle ricchezze”. Ovvero: il problema ambientale non è disgiunto – tutt’altro – dalla questione sociale: “Per anni abbiamo lottato per creare le condizioni di una transizione giusta che ponga fine all’era dei combustibili fossili, salvare milioni di vite e il pianeta. – spiega Francesco Petrelli, portavoce di Oxfam Italia –Ma raggiungere quest’obiettivo cruciale sarà impossibile se non porremo fine alla crescente concentrazione di reddito e ricchezza che si riflette in disuguaglianze economiche sempre più marcate e contribuisce all’accelerazione del cambiamento climatico”.
Entriamo un po’ più nel dettaglio della questione:
- nel 2019, l’1% più ricco del pianeta (77 milioni di persone) è stato responsabile del 16% delle emissioni globali di CO2 derivanti dai consumi, una quota superiore a quella prodotta da tutte le automobili in circolazione e degli altri mezzi di trasporto su strada; a sua volta il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile della metà delle emissioni globali;
- in Italia, lo stesso anno, il top-10% emetteva il 36% in più rispetto al 50% più povero della popolazione;
- chi fa parte dell’1% più ricco per reddito inquina in media in 1 anno quanto inquinerebbe in 1.500 anni una persona appartenente al restante 99% dell’umanità;
- ogni anno, le emissioni di questi super-ricchi annullano di fatto la riduzione di emissioni di CO2 derivanti dall’impiego di quasi un milione di turbine eoliche;
- nel 2030, le emissioni di carbonio dell’1% più ricco saranno 22 volte superiori al livello compatibile con l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature entro 1,5°C, stabilito con l’Accordo di Parigi sul clima.
Tra le proposte avanzate da Oxfam, per rispondere alla necessità di dare una risposta sia alla crisi climatica, che all’acuirsi dei divari economici e sociali, figura l’introduzione di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni, a carico di chi è al vertice nelle nostre società – come lo 0,1% dei cittadini più ricchi – e cui sono associate emissioni più elevate. “Abbiamo bisogno di garantire che la transizione verso un’economia climaticamente neutra avvenga in modo equo, senza lasciare indietro nessuno e senza produrre ulteriori divari nelle società. – conclude Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia – Senza pretesa di rappresentare una panacea, un’imposta progressiva sui grandi patrimoni può generare risorse considerevoli per la decarbonizzazione dell’economia e per affrontare al contempo i crescenti bisogni sociali – salute, istruzione, contrasto all’esclusione sociale – che stentano a trovare oggi una risposta adeguata. Un tributo in grado di garantire maggiore equità del prelievo fiscale e una prospettiva di futuro dignitoso per chi ne è oggi privato”.
In sostanza Oxfam propone una patrimoniale, per far pagare di più a chi inquina di più e ha anche di più come ricchezza. Sembra una banalità, sarebbe una rivoluzione, nel senso storico del termine.
M.L.
LA FOTO di questo articolo è di Ticino on line (Tio).
Che i paesi più ricchi emettano molta più CO2 è un dato di fatto inconfutabile, è ovvio che una città come Milano dove tutti guidano l’ auto o viaggiano sui mezzi, e dove sono molte industrie, abbia emissioni 100000 volte superiori ad un villaggio sperduto del Sudan. Ma per l’ appunto, il problema va inquadrato a livello di stati, non di singoli individui : non ha molto senso sostenere che tra due abitanti del medesimo quartiere di Milano, quello più ricco inquini 10 o 20 volte di più dell’ altro, a meno che non possegga un grosso yacht o un aereo privato (o una mega villa che “consuma” un’ enormità di territorio). E per quanto riguarda l’ auto, le tasse vigenti sono in proporzione alla potenza del motore. Quindi, tornando al discorso stati, meccanismi compensativi ce ne sono stati e ce ne sono, in particolare la Carbon Tax e il cosiddetto “commercio di quote gas” nell’ ambito del protocollo di Kyoto, basterebbe farli funzionare. Sulla patrimoniale, è sempre stato un vecchio pallino dei compagni duro a morire, e ogni scusa è buona per tirarlo fuori. In particolare Bertinotti ai suoi tempi ne fece il cavallo di battaglia per la sua piccola fortuna politica. Ricordo un suo comizio cui assistetti negli anni 90, in cui se la prendeva con le imposte indirette, perchè colpiscono indiscriminatamente tutti (“è giusto che un litro di latte costi lo stesso, per te che vivi di uno stipendio da operaio, e per lui che ha miliardi di profitti e rendite??”) e pertanto a suo dire occorreva una soluzione radicale, che consisteva, per l’ appunto, nella patrimoniale. Partendo dalla tesi assiomatica secondo cui chiunque avesse accumulato una fortuna più o meno grande, ciò fosse avvenuto calpestando dignità e diritti dei più deboli, tipo quelle donnine cui senti dire “Il mì marito per 30 anni tutte le mattine s’è alzato alle 5.30, ma i soldi non li ha fatti” . Posizioni deliranti, ma a parlare ed arringare la folla era bravo, altrochè, quasi da trascinare anche chi non la pensa come lui, pochissimi altri ne ho sentiti così efficaci “dal vivo”. Comunque io sono certo che prima o poi la patrimoniale da tanti agognata arriverà, indipendentemente dal fatto che in carica ci sarà un governo di destra o di sinistra : nel momento in cui il nostro debito pubblico non sarà più sostenibile ed arriverà un default (è in discussione non il se ma il quando), si presenterà un commissario di Bruxelles e dirà : “Signori Italiani, per ripagare i bond insoluti e rientrare nei parametri di Maastricht dovete tirare fuori in media 30.000 € a testa, ciascuno in proporzione alle sue possibilità, nessuno escluso”. A quel punto, sull’ emissione di gas serra, si potrà optare per la decrescita felice.
È anche quello il nodo: chi possiede suv, aerei privati yatch, mega ville, megapiscine… Che poi in molti casi sono gli stessi che hanno anche le industrie.
Posso condividere il principio secondo cui chi più inquina, più paga : yacht e aerei privati hanno impatti ambientali mostruosi, per cui chi li possiede è giusto che contribuisca a mitigarne gli effetti, idem per megaville e megapiscine. Sulle industrie il discorso è più complesso, perchè se è vero che hanno una proprietà, è anche vero che vi lavorano molti addetti, che pur non possedendo yacht e aerei, comunque si avvantaggiano della loro esistenza. Ma in ogni caso il primo obiettivo dev’ essere inquinare di meno, altrimenti passa il principio secondo cui esiste una sorta di diritto ad inquinare, basta poter pagare. Un pò come dire, entro nella ztl di una città con il mio Suv, tanto chi se ne frega, posso permettermi di pagare la multa ma mi risparmio la rogna di parcheggiare fuori e proseguire a piedi o con i mezzi. Potrebbe aver senso utilizzare questo “extra gettito da ricchi inquinatori” per finanziare politiche a tutela dell’ ambiente, in particolare per limitare le emissioni di CO2. Vanno in questa direzione, ad esempio, gli interventi di efficientamento energetico degli edifici, che contribuiscono per circa metà delle emissioni (da qui la famosa direttiva UE che ha creato notevole allarme): al di là delle polemiche per la sostenibilità dei costi, l’ intento è sacrosanto. Per contro, sono decisamente critico sulla transizione elettrica dell’ auto, in quanto non è univocamente dimostrato che produce benefici per l’ ambiente : per il semplice motivo che tutta questa energia elettrica necessaria per alimentare i veicoli in qualche modo va prodotta comunque, ed è impensabile farcela con le fonti rinnovabili. Senza contare poi tutti i disagi ben lontani dall’ essere risolti (autonomie, tempi di ricarica, rete di distribuzione, essere sotto scacco rispetto ai paesi produttori di batterie, ecc.).