HO VISTO UN FILM: “THE FORGIVEN”, PERDONO, ESPIAZIONE E… UNA FRUSTATA AGLI ATTEGGIAMENTI RAZZISTI E COLONIALISTI DELLA BORGHESIA OCCIDENTALE
CHIUSI – Due sere fa mi è capitato di vedere un film proiettato sotto la tensostruttura San Francesco, nell’ambito della rassegna Cinema sotto le stelle. Un film con un cast robusto, ma di quelli che hanno tutta l’aria di non fare sfracelli al botteghino E infatti c’era poca gente. Titolo del film The forgiven (“il perdonato”) regia di John Michael Mc Donagh. Interpreti Ralph Fiennes, Jessica Chastain, Matt Smith e Ismael Kanater. E’ in una certa misura un thriller, ambientato nel deserto del Marocco, dove una combriccola di ricchi ed eccentrici snob occidentali, con tanto di giornalisti e reporter al seguito, si è riunita in una villa sontuosa per una vacanza, o meglio per fare liberamente e lontano da occhi curiosi e magari indiscreti ciò che i ricchi snob fanno quando nessuno li osserva: sesso sfrenato, alcol, cocaina… Insomma bella vita senza inibizioni e senza freni, con la servitù del posto costretta ad assecondare le bizze di lorsignori, ad osservare discretamente ciò che accade stando al proprio posto.
Tutto ciò finché non succede un fattaccio: una coppia di invitati, mentre si sta recando alla festa, coi due che in auto litigano sulla strada da seguire in mezzo al deserto (lui è inglese e ubriaco o comunque alterato dall’alcol perché alcolista cronico, lei è americana, più giovane e insofferente), si trova davanti un ragazzo che raccoglie fossili e forse voleva provare a venderne uno, l’uomo alla guida non lo vede e l’auto lo investe uccidendolo sul colpo. L’autista toglie i documenti dalla tasca del ragazzo e li sotterra, poi porta il cadavere nella villa. Dove poco dopo, avvertita, arriva la polizia marocchina, che non fa neanche troppe domande. Il “padrone di casa” David pensa che sia giusto raccontare la verità, ma pensa anche che con un po’ di soldi la faccenda si sistemerà, senza troppi clamori e senza troppi problemi. I ricchi sono abituati a comprare qualsiasi cosa e hanno la convinzione che i soldi sistemino sempre tutto, anche quelli “illuminati” e magari un po’ fuori dagli schemi…
Qui comincia un’altra storia, che poi è vecchia come il modo. Ed è una storia di espiazione e perdono, di riconoscimento di una colpa, da un lato e dall’altro è invece una frustata violenta e senza sconti agli atteggiamenti coloniali e razzisti, da supremazia bianca, fortemente radicati in certi ambienti occidentali: soprattutto nei più ricchi ed elitari, anche quando questi sembrano essere molto “liberal” nei costumi. Sotto questo aspetto The Forgiven è senza dubbio un film forte, in cui la stessa trama e la suspence per la sorte dell’inglese cinico, inizialmente quasi incurante dell’omicidio commesso, lascia il posto a riflessioni di sottofondo sul colonialismo mai morto, sul rapporto tra povertà e ricchezza, tra Occidente e terzo mondo, a riflessioni sull’oggi. E sul cinismo della società occidentale, anche mentre qualcuno faticosamente prova a rimetterla e a rimettersi, intimamente, in discussone.
L’incontro forzato con il padre del ragazzo ucciso, che ottiene che l’inglese lo segua e partecipi alla sepoltura, secondo il rito tribale delle popolazioni del deserto, porta David, l’inglese, a fare un percorso emotivo profondo da persona boriosa, egocentrica, cinica, sprezzante, a persona capace d riconoscere una colpa e a cercare l’espiazione. Tutti gli altri, compresa la bella moglie americana, continuano a gozzovigliare, a sniffare e a scopare, tra di loro secondo un copione consolidato e immutabile quale è la vita dei ricchi, capace sempre di riprendere il cammino anche quando questo viene interrotto da qualche imprevisto fastidioso o da qualche digressione a margine.
Il finale è violento e forse anche un po’ scontato. Nelle società tribali la vendetta fa parte del gioco. E qui forse il regista ha voluto mandare un messaggio anche sull’immutabilità di quel mondo, costretto dai ricchi alla marginalità, alla povertà, a cercare fossili nel deserto per rivenderli a 100 euro ai turisti che passano di lì, come unica possibilità di sostentamento. Se poi ci scappa un colpo di pistola, non è difficile capire il perché.
Non è un film sulla lotta di classe nel 2022, ma sul nord e il sud del mondo sì. Ed è anche un bel film. Consigliato.
m.l.
Premetto che non ho visto il film ma la considerazione che faccio è quella che scaturisce dalla lettura del tuo Post. Mi preme innanzitutto notare che il punto essenziale che viene toccato è quello del rapporto fra una cultura e condizione di fatto da parte della ”supremazia bianca” falsamente ”liberal” nei confronti dei poveri, quasi ombre insignificanti che passano nella storia ma dei quali nessuno si accorge, ed il concetto dell’espiazione. Il problema che credo ci dobbiamo porre è quello della conoscenza e cioè del modo nel quale la supremazia bianca si è accomodata ed ha prodotto il suo staus nei confronti dell’emarginazione sociale ed etnica dei dominati. Si deve comunque anche esaminare il concetto di ”espiazione del peccato” che appare come una condizione interna dell’animo umano destinata alla riparazione di ciò che stato commesso ed alla coscenza da parte di chi il peccato l’abbia commesso su ciò che le sue idee e comportamenti abbiano prodotto. Superiamo un attimo tale confronto ma a questo punto credo che debba scattare una riflessione a tutto campo e che coinvolga tutto e tutti e cioè l’istinto naturale delle persone e la loro cultura.Cercare di spiegare razionalmente l’espiazione credo che possa essere un percorso non errato ma fuorviante e comunque limitato, destinato a non spostare nulla nel futuro ed a ripercuotere nel tempo quella condizione umana che ha prodotto tutto ciò dove qui a questo punto vengono fuori le componenti che a parer mio sono componenti
” della trascendenza” cioè che involvono il guardare il problema sotto l’aspetto religioso, intimistico e farne il collegamento all’aspetto cosmologico di ciò che è successo,quasi forse paragonabile ad un pensiero religioso indiano, universale di lotta fra il bene ed il male,ma dove gli uomini non possono incidere per nulla con il loro modo di essere e di pensare e quindi il tutto rimane statico ed immutabile.E questo viene dimostrato dall’aspetto che tale ”cambiamento” non varia le condizioni generali e culturali ma cambia solo l’aspetto e le condizioni individuali ed intime di colui che si pente e raggiunge anche una condizione di reale pentimento ed espiazione vera per lui stesso ma che è destinata in maniera sterile a non produrre nulla per il futuro anche perchè nella materialità reale non costituisce un esempio estensibile al di fuori della persona e non è destinato quindi a diventare ”sociale”. Le buone intenzioni non vengono applicate al di fuori di noi stessi ma rimangono legate al nostro mondo intimo fatto di sensazioni, pulsioni, volontà spesso inespresse anche se possono rappresentare stati di reale critica e di pentimento. L’esempio di Gesù Cristo in questo senso va interpretato e và criticato nel senso che non è destinato a servire da esempio per una destinazione a cambiare un pensiero e quindi una azione degli altri. Criticare questo implicherebbe anche esaminare come sono variati nel tempo i concetti di profondità di pensiero e come hanno inciso nell’animo umano nei vari passaggi della storia, elaborati soprattutto da chi se ne è servito per rappresentare un potere e per estenderlo e farne un mezzo di mero dominio all’interno delle società.Queste sono le condizioni materiali dell’esistenza per le quali ci si possa chiedere a cosa servano le convinzioni umane quando restano nella nostra interiorità ed a produrre queste idee collegate al sociale ed al cambiamento del mondo essendo in linea con la sua evoluzione.Ma l’uso di quelle intimistiche che nessuno vuole ostacolare di certo poichè ”verità naturali” anche se raggiungono milioni e milioni di individui credo che servano solo alla perpetuazione del potere che cozza proprio alla fine col concetto evoluzionistico e quelle che smontano il potere da qualunque parte lo si osservi, sono proprio le contraddizioni destinate a produrre le novità.Il film -che ripeto non ho visto-dal tuo scritto credo e mi sembra che possa essere utile se spinga a tali considerazioni dove ognuno possa ricercare la propria verità sempre ribadendo però che materialmente questa sia UNA, oggettiva e non soggettiva, poichè se si cade in tale tranello si fà il giuoco della parte che domina gli altri e che vuol mantere il proprio status. Come detto più volte -forse tagliato con l’accetta e chiedetevene il perchè – le Madonne che piangono sono solo in italia, in Spagna, in Portogallo in Messico od in America Centrale. La verità è una ed una soltanto e non può essere usata per l’uno o per l’altro caso : o piangono o non piangono indipendentemente dal nostro credo e pensiero tale verità è una e non ci possono essere due verità.
Infatti ho scritto che non si tratta di un film sulla lotta di classe, ma sullo squilibri nord-sud del mondo, tra occidente ricco e opulento e terzo mondo sì
Si di certo, ma credo che nei confronti il ”concetto base” del film occorra estenderlo in un processo che sia dinamico e che possa produrre un cambiamento.Altrimenti- detto papale papale- assisteremmo solo ad un riprodursi finalizzato delle idee dei pochi suprematisti che cozzano con quelle di coloro che per asscurarsi la continuità della vita si vedono costretti ad abbassare la testa.Le condizioni del mondo sono cambiate nella storia solo quando qualcuno ha preso coscenza del proprio status e condizione ed in base ad una TEORIA e non ad una pulsione individuale si è mosso ed ha prodotto qualcosa, spesso anche con violenza.Anche perchè quest’ultima scaturisce direttamente ed indirettamente da quello che applica la cosiddetta ”maggioranza bianca suprematista” e se uno all’interno di questa si pente,tutto il meccanismo continua imperterrito e non può essere fermato.E’ uno slogan ma occorre credo che sia un messaggio soprattutto verso coloro che sono ”i sottoposti e senza storia” che SENZA TEORIA NON C’E’ RIVOLUZIONE. Ed è chiaro che questo sia un concetto inviso a chi ci vorrebbe convincere che non vi sia bisogno della rivoluzione intesa come cambiamento, saltando però a piè pari che le richieste di cambiamento vengano assorbite e spezzettate e distrutte dal sistema perfettamente organizzato da coloro che sono identificati come i gestori e beneficiari ricchi ,cioè attualmente ”i padroni del mondo” fatto a loro somiglianza e destinazione, dove i poveri si cibano delle briciole cadute dalla loro tovaglia. Questa è una vera e propria ”cultura” fabbricata non casualmente a cui tutto possa concorrere,anche quando ci fanno vedere che la libertà faccia riscattare il povero.Peccato che gli ultimi siano in aumento esponenziale e parecchi tale peccato se lo spiegano e ce lo spiegano perchè vi sia la lotta delle classi, oggi all’occhio di molti una condizione ormai appartenente al passato e forse anche un sofisma inventato quasi di sana pianta. Morire di fame a stomaco che venga ritenuto dagli stessi morituri come pieno….E c’è chi ci crede o che almeno difende le condizioni per le quali ci si creda.Il cervello umano è una gran macchina……
Sì, ma qui Si parla di un film. E non è che un film debba essere un “manifesto” della rivoluzione. Né che debba indicare delle soluzioni. Al massimo un film può raccontare un problema. E già il fatto che faccia riflettere mi sembra una cosa non da poco.
Beh si è un film, ma la finalità di ciò che si chiama cultura è quella che debba far riflettere e riflettere vuol dire considerare non solo storicamente ma eticamente e politicamente il contenuto.Diversamente siamo alla separatezza delle questioni,con la quale si tende ogni osservatore e critico ad essere abbacinato perchè è con quella che si indebolisce la tendenza al cambiamento. Io intendo che ogni forma di spettacolo sia cultura, intendiamoci bene anche quella marginale che spesso critico del Rock,ma appunto da questa identificazione derivano dei ragionamenti e delle considerazioni valoriali.La cultura è questa, è la forza che riesce a muovere le cose e le idee.Diversamente come spesso vorrebbero coloro che considerano le cose e le vicende fine a se stesse vivono spesso il movimento delle idee che cambiano come un evento scardinante dei poteri costituiti sulle cose.Anche quella è cultura ma vista in prospettiva alla fine tanto per intenderci è una cultura della conservazione. Quella che mette il coperchio alla pentola che bolle e lo salda chiudendolo con la fiamma ossidrica, criticando e schierandosi contro il fatto che poi la pentola possa scoppiare,anzi spesso apponendo la valvola che serve a far sfogare e diminuire la forza del vapore poichè diversamente la pentola scoppierebbe e la valvola è rappresentata da tutte quelle forze che credono e si impegnano a frenare il cambiamento ed a trovare i modi di smorzare quella forza poichè sanno che gli si riverserebbe contro.Quindi occorre intenderci su cosa significhi Rivoluzione, perchè secondo tali schemi la rivoluzione è quel moto che serve a sostituire la guida dei principi con i quali la società ha fino a quel momento funzionato.Poi se sia di destra, di sinistra oppure altra cosa,saranno gli interpreti a definirla, ma in qualunque potere si assiste proprio alla resistenza di questo al cambiamento come fenomeno intrinseco alla sua natura.E questo nella storia umana è successo sia nel socialismo chè attualmente e da secoli nel capitalismo.