CHIUSI, L’ECCIDIO E LA NOTTE DEI FUOCHI DEL 19 MAGGIO 1921
CHIUSI – Ieri, sulla pagina facebook “Sei di Chiusi se…” Roberto Neri ricordava un eccidio fascista avvenuto a Chiusi il 19 maggio 1921 e un personaggio rilevante della storia politica chiusina: Oreste Venturini, detto “il Rossino” che nel ’21 era sindaco della città. Socialista. Un fatto di un secolo fa esatto merita di essere ricordato.
Il post di Neri mi ha fatto tornare in mente che Venturini è citato nel mio libro “Voce del verbo tradire”, nell’episodio dedicato alla fine tragica di Ascanio Dei, avvocato e “contabile” di una piccola banca privata chiusina, morto suicida dopo il fallimento della banca stessa, nel 1890. Una morte che fu la scintilla che portò alla nascita della prima sezione locale del Partito Socialista di cui Venturini fu uno dei promotori. Nel 1896, molto prima di diventare sindaco, fu spedito al confino all’isola di Ponza come “sovversivo”. Un fatto che già dava un’idea del personaggio.
Ma il ricordo evocato dal post di Neri va anche ad un libello precedente che ho curato nel 2009 e che si intitola “Nove Mesi”, una raccolta di testimonianze sui nove mesi, appunto, dall’8 settembre 1943 alla fine di giugno del ’44, ovvero sul periodo della guerra di liberazione a Chiusi, Città della Pieve e Castiglione del Lago. In quel libricino di 70 pagine c’è la testimonianza di Giuseppe Giulietti, ferroviere chiusino che ricorda quel terribile 18 maggio 1921 e anche un secondo 18 maggio complicato: quello del 1944, con il bombardamento di un treno… La testimonianza di Giuseppe Giulietti riportata in “Nove mesi” è stratta da un suo libro di memorie, uscito nel 1990.
Scrive Giulietti: “Quel giorno morì il figlio maggio del sindaco di Chiusi, che era il compagno Oreste Venturini; si chiamava Amilcare. Il giorno 19 dovevano avere luogo i funerali in forma civile del nostro compagno Amilcare e si voleva nel medesimo tempo che questi funerali si trasformassero in una grande manifestazione antifascista. Moltissimi contadini e cittadini si diressero alla volta della casa dei Venturini. Parecchi avevano bandiere rosse in mano. Un fascista locale, mi pare si chiamasse Cacioli Vittorio, cominciò a inveire contro la folla urlando “Maledetti rossi!” Qualcuno reagì colpendo il fascista con il manico della bandiera… In quel momento passava per l’incrocio del Leon d’Oro un camion carico di squadristi. Erano quelli della “Disperata” di Perugia, una squadraccia dove militava la peggior feccia della Toscana e del’Umbria. Dopo il primo camion ne arrivarono altri due. Ovviamente quei camion non erano lì per caso, Non si può descrivere quello che successe da quel momento al mattino dopo, I fascisti all’altezza della curva dell’Esse, sotto al Rione Carducci, spararono su una piccola folla di contadini che pacificamente stavano andando a piedi al funerale del figlio del sindaco. Sotto i colpi fascisti rimasero uccisi tre compagni: Averino Benicchi, Giovanni Trabalzini e Ferdinand Meconcelli. Alri due, Serafino Laurini e Enrico Nofroni rimasero feriti. I fascisti avevano lasciat a terra morti e feriti sena curarsi di loro, si diedero ad ogni sorta di vandalismo; per tutta la note non fecero altro che malmenare chi non era stato svelto a nascondersi; incendiarono quasi tutte le aie dei contadini dei dintorni di Chiusi, da Montevenere a Montallese, a Macciano, fino a Porto e Vaiano in Umbria. Sembrava la note dell’Ascensione. Con fuochi accesi dappertutto. Solo che quei fiochi erano case che bruciavano. I fascisti presero di mira anche tutte le case di campagna e del paese, salvo quelle dei loro simpatizzanti, Vennero anche a casa mia. Il primo ad uscire fu mio padre, ma non fece in tempo ad uscire fuori, che fu atterrato da una botta in piena fronte datagli da un fascista con la canna del fucile dalla parte del mirino che gli provocò una lunga ferita, facendolo cadere a terra. Anche mio fratello fu colpito allo stomaco- Mia madre si sentì male e a me, per intimidirmi, mi spararono un colpo di pistola, che però mi sfiorò soltanto. Il proiettile si conficcò nel portone di casa e lì è rimasto per una trentina d’anni… Ci lasciarono lì, mezzi tramortiti. Per curarci decidemmo di andare alle Piazze da un dottore nostro amico. Al’alba si chiuse casa e si partì. A piedi fino alla stazione, Poi prendemmo il treno per Ponticelli e da lì a piedi di nuovo fino alla Piazze”.
Un ricordo lucido di quel giorno di violenza e di quella “notte dei fuochi” scatenata dalla “Disperata” di Perugia nei dintorni di Chiusi. Chiaro che quella spedizione punitiva e quell’eccidio a Rione Carducci (c’è una lapide che ricorda i tre morti) doveva essere anche un “avvertimento” ai socialisti e comunisti chiusini, al sindaco Venturini, già provato dalla morte prematura del figlio… Il fascismo era ancora ai primordi, alla fase “movimentista”, la Marcia su Roma ci sarà più di un anno dopo….
Il ferroviere Giuseppe Giulietti nel suo ricordo, riportato in “Nove mesi”, è molto preciso anche sul bombardamento del treno il 18 maggio 1944: “Ci avvertirono che aerei americani avevano colpito la stazione di Terontola. Non potevamo più proseguire verso Arezzo. Eravamo vicini alla stazione di Panicale, il Capostazione di Castiglione del Lago ci disse che dovevamo portare il treno indietro, verso Chiusi e ricoverarlo su un binario morto. Questi erano gli ordini dei tedeschi. Cominciamo la manovra.. ma quando vedemmo una cicogna alleata sorvolare a bassa quota la zona, ci buttammo nei campi… il treno fu portato a destinazione dal solo macchinista (un eroe suo malgrado, che comunque fece in tempo a mettersi in salvo. Dopo pochi minuti due bombardieri, arrivati dalla parte di Terontola, scatenarono l’inferno. Il treno fu colpito in pieno e la benzina fuoriuscita dalle cisterne prese fuoco, le cisterne cominciarono a scoppiare una dopo l’altra… il finimondo. Tornammo a Chiusi a piedi”…
Insomma a Chiusi il 18 e 19 maggio maggio sono due giorni che sarebbe bene cancellare dal calendario. O meglio, da segnare come giornate da tenere sempre a mente. Perché certe cose non vanno dimenticate. E’ bene ricordare che c’è stato un tempo in cui fare il sindaco, anche a Chiusi, era pericoloso…
m.l.
Marco, Il tuo post mi fa ricordare una composizione in versi di mio zio Solismo Sacco,tenuta celata insieme a tantissime altre nelle scatole delle lastre fotografiche vergini che si potevano aprire solo al buio della camera oscura,come del resto tutto il materiale fotgrafico dell’epoca.Cosi tali composizioni riuscì a salvarle dalle perquisizioni continue della polizia politica.Durante la repressione del ventennio questa dello scrivere,oltre a quella di cercare di tenere unita segretamente nelle persone di assoluta fiducia la convinzione antifascista, rappresentava per lui una delle forme di sfogo dell’animo.Si tratta in questo caso appunto della spedizione punitiva fatta dai fascisti a Moiano il 10 Aprile 1921 dal titolo:
LA SPEDIZIONE PUNITIVA
( Moiano, 10 Aprile 1921 )
Ogni Domenica, ormai da mesi,Moiano”rossa”
era in attesa d’esser ” punita” dai fascisti
perchè i paesi a lei d’intorno
aveva fatto ”rossi e socialisti”.
Ma ove l’idea ha messo radici salde e profonde
facil non è mettere il piede per calpestare ed estirpare la grande idea.
Sicura di se,fiera e guardinga,
Moiano attendea: Ai novelli fezzuti eroi
in camicia nera,
nella partita della gran caccia,vuol render loro pan per focaccia.
Scorrono i giorni e le domeniche,
corron le voci che son d’allarme;
voci su voci di grosse squadre
di ”punitori” che piomberanno
addosso a Moiano per fare ”misdea” e a fucilate romper l’idea.
Ma i moianesi son vigilanti:
Ogni domenica son riuniti
sù alla ”sala” e sono tanti.
Li guidan Sandro, Dante, e Benito
che son la guida del loro partito.
Teme il fascista e seppure protetto
non trova forza per la sua impresa
e da vigliacco rimanda e non viene.
Poi si concentra,raccoglie le forze,
e sparsa la voce che i camions son cinque
e più di cento gli eroi-aggressori
del ”dieci contro uno”,tentan l’impresa
e salgono il colle.
L’ordin non c’era di mettere in moto le nostre difese.
Cosa si fà ? Si affronta o si lascia ? Essi han moschetti e sono tanti,
e l’impunità,piombo ed elmetti.Le nostre genti bastoni e qualcosa.
Poi il buon senso di chi comanda
per evitare sangue che scorre,nell’ora incerta e non decisiva,
allontana la folla,di uomini e donne e solo un gruppo discorde
che a caso si forma,per ”osservare”
su a Poggiobello deciso sale.
I fascisti per ore scorazzano e scrutano
giu’ da Stradone dov’hanno gli amici,bivaccano e urlano
finchè non si è certi che niuna persona
a loro nemica è rimasta a difesa.
A Palazzolo ov’è ”la Casa”
no,non si sale finchè non si è certi…
poi con cautela risalgon la strada a plotone affiancato e moschetti alla mano.Pongono a guardia sui campi e alle ”Querce”
le sentinelle a moschetto spianato
e minaccioso diretto ” all’insù”,
ov’è il gruppo che osserva da Poggiobello
guardando all’ ”ingiù”.
E gli altri guardinghi si fanno coraggio
e raggiungono la Piazza.La ”Casa” è vuota
e indifesa,di facil conquista.
Entrare e sfasciare sedili e tavoli,
Bar e Biblioteca ridurre in frantumi
e catturare il rosso sipario che palcoscenico
e ”sala” divide,è tutt’uno; e poi in fretta
la fuga con quel trofeo nelle lor man.
Adesso il gruppo che da Poggiobello
stava osservando, vedendo quel rosso
in mano fascista,di scatto tutt’uno
si lancia all”ingiù” come fossero in gara
a tagliargli la strada e intanto spara.
Fugge il fascista, ignobil canaglia,
ma pur fuggendo anch’esso spara;
ed è la battaglia.
Quello per me del fuoco è il battesimo.
Qui c’è Amedeo col retrocarica
che parte per primo e trascina con se
Ottavio e Giovanni ed io medesimo
e più tutti gli altri che sono provvisti
corrono e sparano addosso ai fascisti.
A fucilate incalzati fuggono al camion
che han lasciato sotto Buricca a mezza salita
già volto all’ ”ingiù” e pronto a partir.
E fanno giusto in tempo, lasciando i freni,
all’ira sottrarsi e ai fucili dei lavorator;
ma al Palazzo altri di essi,con Memmo in testa
che è ”capolega”,da dietro le siepi e i pagliai
al loro passaggio gli sparano addosso.
E questo saluto caldo e furente
è ripetuto di là dal ”Ponte”
alla trincea del Cittadino,ov’altra gente
aspetta al passaggio il camion in fuga
e altro piombo gli sputano addosso
anche da lì caldo e copioso.
Veloce corre all’ospedale ver Chiusi
il triste aggressore e messe le bende
ai suoi feriti,con vigil premura…..
cambiò strada e finì l’avventura.
Questa accoglienza Moiano”rossa”
fece ai fascisti,unita e tutt’uno
il 10 d’Aprile dell’anno ” ventuno”.
Solismo Sacco
Mi preme anche aggiungere che tanti paesi intono Moiano e Castiglione del Lago ed anche all’intorno di Chiusi subirono negli anni venti scorribande e violenze da parte delle bande fasciste organizzate quasi sempre dalle famiglie degli agrari che avevano deciso di opporsi a quello che loro consideravano ”il pericolo rosso” poichè pochi anni prima la russia sovietica era diventata repubblica socialista ed il timore era quello che anche l’italia potesse seguire quelle orme : gli scontri vedevano la contrapposizine di due fronti soprattutto identificati in quelli delle aristocrazie agrarie,comprendenti anche i piccoli proprietari terrieri che da loro stessi lavoravano le loro proprietà(quindi una larga parte di piccoli proprietari), ma soprattutto una massa di contadini poveri e subordinati che il padrone usava indirizzare contro il ribellismo scardinatore di coloro che avevano aderito all’idea socialista che si era affermata negli anni appena successivi alla fine della prima guerra mondiale.Castiglione del Lago e Vaiano,ma anche Città della Pieve come Moiano non rimasero indenni dalle violenze della reazione padronale,sia contro gli scioperi del bestiame anni prima in contemporanea all’affermazione elettorale dell’idea socialista ed alla conquista dei comuni intorno al lago ,sia proprio contro la violenza poi organizzata dei gruppi che quasi sempre in queste località i padroni facevano compiere ad orde spesso avvinazzate ed ubriacate di contadini poveri che convincevano ad assalire le poche case dei socialisti come quella sopracitata nel componimento sopradescritto che toccò a quella di Palazzolo di Moiano,una delle prime case dei socialisti dell’Umbria se non la prima in senso assoluto.A Vaiano per esempio fu organizzata una spedizione punitiva contro Cozzi Lepri Giulio per mano di gruppi di fascisti provenienti sia da Perugia che altri provenienti con camions da Ferrara.La nepote di Cozzi Lepri Giulio, tutt’ora vivente Sig.ra Silvana,negli anni scorsi mi ha mostrato sulle mura interne di casa i segni delle pallottole che furono sparate da un manipoli di fascisti adunatisi nell’aia e che volutamente nella ristrutturazione fatta di recente li ha voluti mantenere come segni indicativi di quello scontro e quindi anche del patrimonio morale che suo zio rappresentava.Suo zio Giulio insieme ad un altro della famiglia si rifugiò nel palco sottotetto della casa con un fucile Browning a ripetizione ed un canestro pieno di munizioni e si mise davanti alla botola che dava accesso alla soffitta della casa e le raccontò che il primo che si fosse affacciato con la scala a tale botola avrebbe trovato morte certa.Ci fu una intensa sparatoria e lo stesso cozzi lepri fu inviato al ” confino” a Lipari dove rimase per 5 anni poi fu graziato e fu fatto ritornare a casa ma non rinnegò mai l’idea che da socialista era divenuta poi comunista per cercare di opporsi al dilagante fascismo dopo il 1921 e quindi fu rispedito dall’autorità al confino sempre a Lipari.Oggi riposa nel cimitero di Vaiano ma la sua lapide parla chiaro per chi volesse rappresentare e ricordarne la memoria.Ecco cosa c’è scritto anche se tale epitaffio mostra qualche errore di sintassi :” martire del lavoro e per la libertà, per tre volte fu confinato politico.Chionni Armando e Maria che si condivisero le violense del fascismo”.Di Cozzi Lepri Giulio che oggi tutti hanno dimenticato resta questa lapide ma le informnazioni della polizia dell’epoca riferiscono letteralmente” che da socialista passò ad essere irriducibile comunista” e che dopo il confino parzialmente scontato fu nuovamente rimandato al confino nell’isola di Lipari per fatti relativi alla sua indomita volontà di resistente al fascismo che ancora trovavasi nella corrispondenza intercettata con un compagno di confino di Montefiascone ( un tale Domizio Torrigiani che fu capo della massoneria italiana-quando questa era non era senz’altro una associazione come quella attuale- ed avvocato coinvolto nelle indagini del delitto Matteotti,contrastato dal regime fascista perchè aveva intuito le responsabilità ed i legami dei mandanti con Mussolini).Cozzi Lepri Giulio scontò ancora 22 giorni di carcere a Castigloione del Lago a seguito di omessa denuncia di produzione di olio e 50 lire di ammenda.Come si vede anche dalle piccole cose che avvenivano fra privati il controllo poliziesco tendeva a reprimere e ad essere onnipresente ed a far pagare per ogni motivo le persone che si opponevano.Nella mia famiglia ridotta alla miseria poichè in un piccolo paese come Moiano l’aria che tirava impediva alle persone di recarsi in casa dove mio nonno aveva un piccolo laboratorio da calzolaio, mio zio dovette decidere a causa del suo fisico piegato dalle botte ricevute nel il 15 marzo 1924 che lo videro poi ricoverato settimane al Rizzoli di Bologna con traumi delle vertrebe(sulla schiena si incrociarono le casse dei moschetti e cozzando l’una contro l’altra si ruppero per la violenza dei colpi impartiti) non potendo più essere abile a lavori pesanti scelse la via del ritoccatore fotografico al servizio della ditta Vasari di Roma, ma comunque seguito sempre e pedinato dalla polizia politica,che alla fine gli impose il ritorno al paese dopochè una volta fu sospettato di essere sfuggito al controllo recandosi ad Ostia.Da qui continuarono le sue peripezie e quelle della famiglia.Altri ebbero ancora ben più triste sorte nel senso che ebbero la vita troncata definitivamente e che non sopravvissero.Ecco quindi quello che produsse il fascismo ed il regime che permise la sua affermazione per il timore che le classi non abbienti si ribellassero al sistema che le dominava ed imponessero il governo socialista.Corsero ai ripari, mettendo in evidenza con ogni mezzo consentito, fino alla violenza, la miseria e la guerra quella ” reazione” per la quale non ebbero nessun ritegno ad affermare i loro interessi di parte.Ecco perchè negli scritti ai quali facevo riferimento nel precedente intervento,mio zio parla del fascismo come movimento di massa quale ” lurido parto della borghesia”. Oggi dopo un secolo, tali pensieri e riflessioni non sono più comuni alle persone,e si crede che ormai riguardino il passato e tali pulsioni si sentono lontane da quanto porta a vivere la vita odierna, specialmente da parte delle generazioni più giovani.Non è così, perchè oggi succede tale e quale la stessa cosa,poichè la tendenza all’uniformità culturale è quella che domina la massa soprattutto per mezzo del consumo e dei mezzi mediatici che non hanno mai cambiato padrone e coloro che nella ”consolle” quale piano musicale di controllo, dirigono la danza.Cambiano i modi, ma la sostanza rimane sempre quella.E allora se è vero questo,basterebbe poco a capire la storia,criticarla ed a prendere posizione ,soprattutto da parte delle giovani generazioni e soprattutto saper discernere dove inizia l’influenza del sistema sulla formazione del pensiero e da quale parte lo possa condurre.E se nessuno più parla di ”interessi” perchè gli interessi presuppongono che si arrivi ” alle classi” , credo sia bene che le giovani generazioni non si facciano allettare dalla globalizzazione che si crede ponga tutti alla stessa stregua, unisca tutti in un pensiero unico che è quello della tipologia dello sviluppo che ci viene trasmessa ogni giorno dal complesso mediatico e che fa vedere che il mondo che abbiamo davanti sia roseo, mentre la realtà è quella dell’esatto contrario.