4 NOVEMBRE: UN TRIBUTO ALLA MEMORIA E UN MONITO CONTRO I NUOVI NAZIONALISMI
LE CELEBRAZIONI NEI COMUNI. TOCCANTE PIECE TEATRALE A CITTA’ DELLA PIEVE
Ieri, 4 Novembre, tutti i comuni hanno celebrato il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale. Celebrato, non festeggiato, perché c’è poco da festeggiare. Ma celebrare è giusto perché il sacrificio dei giovani di allora fu un sacrificio immane. Una carneficina senza precedenti. Oggi il 4 Novembre è anche festa dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, ma in quella guerra l’unità nazionale vera la fecero i fanti nelle trincee “intrise di fango, di merda e di sangue”, fanti che non si capivano tra loro, perché parlavano dialetti diversi, non i generali, non i ministri della guerra e nemmeno il Re.
Nelle varie celebrazioni molti sindaci, parlando anche ai ragazzi delle scuole, queste cose le hanno ricordate. E hanno fatto bene.
Per esempio l’aspetto della lingua parlata dai fanti, anche da quei “ragazzi del ’99” che furono gli ultimi ad essere richiamati alle armi e che a solo 18 anni furono mandati al macello, dopo la disfatta di Caporetto, è stato magistralmente affrontato ieri a Città della Pieve dove dopo il discorso del sindaco davanti alla Cattedrale accompagnato da un’orchestra giovanile del Liceo Musicale è andata in scena una piece teatrale a due voci. Un reading tratto dalla straordinaria opera autobiografica di un ragazzo del ’99, il siciliano Vincenzo Rabìto, un autodidatta semianalfabeta che, sopravvissuto a due guerre mondiali, ha scritto per 7 anni, negli anni ’60, le oltre mille pagine di un diario prezioso, fortuitamente ritrovato e consegnato dai figli negli anni ’90 all’archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano – Arezzo – dove hanno capito subito di avere tra le mani un autentico capolavoro e lo hanno valorizzato adeguatamente, dedicandogli, tra l’altro, un’intera sala espositiva. Lucia Annunziata, docente al Liceo Calvino ne parla così:
“Nel reading sul palco degli Avvaloranti è stata narrata solo la prima ‘tranche’ della vita di Rabìto, dalla chiamata alla leva, nel febbraio del 1917, all’armistizio del 4 novembre 1918 con poche vicende successive. La semplicissima messa in scena con un attore che interpreta, seduto alla macchina da scrivere, brani del diario e un narratore che ricostruisce il filo conduttore della vicenda è risultata efficacissima per sottolineare e valorizzare l’aspetto più eccezionale dell’opera: la lingua.
La lingua in cui Rabìto scrive è un regalo speciale, una vera goduria: una lingua dialettale sapida ed espressiva che dà voce ai pensieri di un ragazzo di un secolo fa, giovane e analfabeta ma pensante, sensibile, ingegnoso e dotato che legge la realtà e la restituisce con disarmante freschezza e vigorosa efficacia. Il risultato è un quadro assolutamente spoglio di retorica e pulsante di umanità che Camilleri ha definito “un manuale di sopravvivenza involontario e miracoloso”, un racconto forte e pure divertente, a tratti esilarante, per l’ironia che trasuda dalle parole, dalle situazioni inverosimili che nascono da quel gran caos che può essere una guerra.
Il diario è stato pubblicato col titolo di ‘Terra matta’ da Einaudi e adesso a tutti è possibile conoscere la “maletratata e molto travagliata e molto desprezata vita” di Vincenzo Rabìto, uno dei 260.000 ragazzi del ‘99 che furono precettati quando ancora non avevano 18 anni. Grazie a tutti loro e grazie all’Assessorato alla Cultura del Comune di Città della Pieve!”
Altre iniziative a ricordo del centenario della fine della Grande Guerra si sono tenute a Montepulciano con un corteo nel viale delle rimembranze che porta al Tempio di San Biagio e dove ogni cipresso porta alla base il nome di un soldato morto per la patria e una celebrazione al “sacrario” di Acquaviva; a Sarteano e a Chiusi con i discorsi dei sindaci Landi e Bettollini davanti ai monumenti ai caduti…
A Chiusi nell’occasione è stata riattivata anche la campana della torre civica che segna le ore. Era ferma da 25 anni e adesso tornerà a scandire il tempo nel centro storico. Un tributo anche questo alla memoria.
Il sindaco Bettollini ha sottolineato l’assurdità della guerra, di tutte le guerre, ha ricordato l’art.11 della Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”) e ha ricordato anche come all’inizio del ‘900 “furono i nazionalismi esasperati, la voglia di supremazia, i contrasti politici ed economici tra gli Stati a precipitare l’Europa nel conflitto: chi alimentò venti nazionalisti provocò quell’immane tragedia”.
E qui Bettollini non si è limitato alla celebrazione, ha anche portato il ragionamento sul piano politico attuale: “Oggi non possiamo ignorare le conseguenze che potrebbero esserci se in Europa si dovesse continuare ad alimentare i nuovi nazionalismi, mettendo in difficoltà le basi su cui è nata ed è stata fondata l’Europa Unita che ci ha permesso di vivere decenni di pace…” “Amare e rispettare il proprio paese – ha detto Bettollini – non è chiudersi nel nazionalismo e nel populismo, ma significa scommettere sul proprio futuro, sulla ripresa economica e sociale che non può avvenire rinchiudendoci nei nostri confini senza dialogare con gli altri Stati”. Ed è un po’ la stesso monito che ieri ha lanciato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Insomma la Giornata dell’Unità Nazionale è servita certo a ricordare il sacrificio di quanti lasciarono la vita nella Grande Guerra e furono milioni (solo in italia più di 600 mila furono i caduti sul campo, compresi quelli fucilati nelle decimazioni o per il semplice “piacere del comando” di generali senza scrupoli e senza umanità), ma anche per lanciare dei messaggi rivolti all’oggi: quello dell’importanza della memoria e quello sui rischi di una politica che tende a riportare indietro le lancette dell’orologio della Storia…
L’Europa di oggi, non è certo quella del 1914 e nemmeno quella uscita dal conflitto nel 1918, così com’è è ancora un’Europa dei governi e delle banche più che un’Europa dei Popoli come la immaginava Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene, ma è comunque migliore dell’Europa del 1918, migliore di quella uscita dal secondo conflitto mondiale nel ’45, migliore anche di come la vorrebbero personaggi come Orban o Steve Bannon. E’ vero che c’è stata la guerra dei Balcani negli anni ’90, che l’Europa ha partecipato e partecipa a guerre territoriali fuori dai propri confini non solo come forza di interdizione (Afghanistan, Medio Oriente, Iraq, Libia… ), ma è anche vero che 73 anni di pace nel cuore dell’Europa, tra Francia, Germania, Italia, Inghilterra, Belgio, Austria ecc. prima non c’erano mai stati. E innalzando muri, chiudendo le frontiere, abbattendo ciò che è stato costruito per unire non è detto che ce ne possano essere altrettanti… Su questo Mattarella (e anche Bettollini) ha ragione a tenere alta la guardia.
m.l.
Andrea Rossi, fausto scricciolo, Francesco landi, Juri Bettollini, Lucia Annunziata
Lode agli intenti ma sarebbe bene ricordare che sono intenti e fino ad oggi lo sono stati e forse purtroppo lo saranno ancora.Sono d’accordo che sia in teoria che in pratica i nazionalismi siano deleteri e che a farne le spese possano essere le classi più povere di tutte le società, ma vorrei porre una domanda a chi scrive ed e’ quella di come mai l’Europa dei popoli che immagino’ così bene Altiero Spinelli non si sia realizzata ed al posto di quella ci sia inequivocabilmente quella delle nazioni più forti e delle banche.Frasi fatte? Non mi sembrerebbe, perché se non fossero frasi fatte vorrebbe dire che nella carta europea ogni popolo costituente debba avere pari dignità e trattamento e se puta caso non c’è l’avesse vorrebbe dire che non tutte le nazioni siano partite dalle stesse basi e questo si sapeva che non fossero uguali e che ci sarebbe stato bisogno di un processo integrativo nel nome dei cittadini e della loro parità.Questo processo in parte si è avuto ed in gran parte non si è avuto, perché spesso diciamolo francamente non bastano i conferimenti dei diversi stati ad assicurarsi gli interventi di sviluppo.Non si può paragonare una Germania che ha fruito per decenni di una economia omogenea nelle sue latitudini ed una Italia con un Sud per decenni abbandonato a se stesso e preda di mafia,camorra, ndrangheta e più che altro privo di infrastrutture che per portarcele dovevano essere costruite al nord e quindi il distacco aumentava poiché il nord diventava più produttivo ed il Sud arretrava.Queste non sono le uniche ragioni ma c’è ne sono anche altre che si potrebbero dire rispetto ai morti della grande guerra di cui parla l’articolo e che sia la scuola sia la storiografia si guardano bene dal citare e con loro anche tutta quella galassia di corpi scolastici e divulgatori culturali,attenti perlopiu’ a non disturbare la politica.Vogliamo parlare delle ragioni a monte del “ concetto di patria” inculcato a quei poveri cristi che erano carne da macello? Per quali motivi e con quali finalità veniva inculcato nelle menti dalle oligarchie politiche e militari tale concetto al quale credevano fermamente i poveri che per la prima volta erano frastornati dentro le trincee dai vari dialetti,vere e proprie lingue, intellegibili solo a chi provenisse dalle stesse zone? Vogliamo esaminare le basi politiche per le quali avveniva che la gente si facesse ammazzare dal piombo nemico durante gli assalti da trincea in trincea? Era facile forse far rispettare la coesione dei morti viventi in attesa del prossimo assalto ma il concetto di Patria era quello che aveva il Re e tutto l’entourage a lui legato e che a questi SERVIVA che fosse inculcato nei sudditi senza nessun dubbio per difendere gli interessi di una corona che decenni prima aveva strappato al sud il modello costitutivo delle sue società, nell’umiliazione della violenza inferta anche alle popolazioni dai suoi carabinieri? Eppure abbiamo vidto le roboanti cerimonie, i giornali dell’epoca che osannavano costantemente il sacrificio dei poveri al fronte e le loro frustrazioni che sarebbero finite una volta ritornati alle loro famiglie e che per loro ci sarebbe stato un lavoro, ci sarebbero state altre condizioni di vita di quelle che avevano lasciato a casa dove le donne rimaste dovevano sopperire alla mancanza degli uomini nei campi e ritrovarsi alla sera con un gramo pasto per sfamare i figli? Invece di tanti discorsi altisonanti anche dei nostri politici che proprio si percepisce vengano fatti con fare di circostanza,non sarebbe forse meglio visto che la conoscenza è affidata ad educatori che spesso preferiscono parlare di storie individuali e che sebbene interessanti e che aprono squarci e che prendono spunti per raccontare le tragedie vissute da quei ragazzi del 99 fra i quali se ricordo bene si trovavano anche ucittadini di Chiusi,non si preferisca impostare il racconto degli avvenimenti illuminando gli aspetti economici che hanno prodotto quelli sociali e le loro finalità politiche ? Si farebbe politica in tal modo ? Sarebbe una lancia spezzata in favore di una verità più oggettiva ed anche più facilmente intellegibile dai giovani.Le tragedie umane subite dai singoli individui come Rabito per rimanere a futura memoria debbono necessariamente penetrare non solo nell’immaginario collettivo delle giovani generazioni ma debbono soprattutto servire a farli immedesimare nei rapporti sociali che correvano all’epoca poiché diversamente sarebbero solo memoria dei fatti ma ritengo che l’importante sia capire ciò che ai fatti stava dietro,sia come comportamenti sociali di quelle generazioni sia quale fosse il mondo e dei rapporti di classe dominanti all’epoca.Senza capire questo la memoria del racconto resta ma rimane memoria e quasi mai oggi fa’ modificare le coscenze col mondo come è impostato.Quanto poi alla guerra dell’Italia oggi nel panorama internazionale che metti in raffronto alla stabilità dell’europa-stabilità intesa più che altro come libera da conflitti-il concetto mi sembra alquanto viziato da una visione solo eurocentrica ed ancor più dei paesi schierati con la Nato.Il motivo? Presto detto : bisognerebbe domandarlo a coloro che la guerra dell’europa l’hanno subita, non ti sembrerebbe logico dal momento che parliamo di un mondo globalizzato dove c’e’ chi dice che ogni avvenimento in un paese si ripercuote direttamente od indirettamente in un altro paese? Bisognerebbe chiederlo a nazioni come la Libia, come la Tunisia, come il Kossovo, come l’Irak e l’Afganistan ecc ecc se le bombe che hanno ricevuto in testa siano state quelle delle nazioni liberatrici del tipo “enduring ferendom” diverse da quelle del satrapo interno di turno che con grande amore per la libertà di sono poste poi subito dopo davanti la ruota con la quale si aprivano le condotte di gas e di petrolio.E ci credo che noi dentro il nostro territorio abbiamo avuto una relativa calma, ma che questa nostra calma sia stata calma perché abbiamo scaricato su altri popoli le nostre contraddizioni interne che assicuravano stabilità sociale ai nostri pacifici popoli questa è una cosa che mai hanno detto i nostri governisebbene la costituzione reciti che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie fra i popoli.Le alleanze sono alleanze e si conoscono quali siano e quali interessi proteggano. Se da quella protezione scaturisce poi il conflitto perché un paese ritiene di essere padrone delle proprie risorse e si oppone alle ingerenze interessate delle multinazionali di altri paesi e si arrivi anche a bombardarlo smembrando la sua precaria unità nazionale,mi sembra che siano inutili ed anche risibili i discorsi fatti dai nostri politici che riguardano la lotta ai nazionalismi perché questi siano forieri di guerre.L ‘internazionalismo di per se stesso sarebbe un grande concetto, grondante di etica eugualitaria e pacifista per le quali le differenze fra i popoli debbano venire appianate ,ma quando agisce con l’intento che il più forte debba rimanere il più forte e dominare con il cartello di altri paesi la situazione, è cosa c’erta che si dia spazio al sorgere di nazionalismi e di accentuazione delle proprie peculiarità.Tutto questo secondo il mio pensiero vuol dire solo una cosa che è quella che l’unione noi europei l’abbiamo fatta solo sulla carta, imponendo il regolamento della moneta comune dove ogni stato è stato esautorato delle sue prerogative che riguardavano gli aspetti per i quali i governi decidevano autonomamente gli equilibri , i consumi, i bilanci.Teoricamente potrebbe essere giusto anche questo ma nello stesso tempo avrebbe dovuto essere percorsa un altra politica non davvero quella richiedente il tendenziale pareggio di bilancio.Se in una corsa le macchine si allineano nel luogo della partenza comune senza distinzione di chi abbia il motore più potente e che perciò possa marciare ad una velocità superiore agli altri significa che nel regolamento c’e qualcosa che non va, ed è chiaro che chi c’è l’ha più potente perché già da prima lo possedeva,non voglia rinunciare ai cavalli di potenza da poter usare.Ma tutto questo nei roboanti discorsi che hanno come fine nella quotidianità di spezzare il peso politico del governo attuale dicendo che il nazionalismo sia il pericolo mica dicono che è stato per la loro azione che fosse stata prevedibile la crescita di tale nazionalismo? Incapaci lo sono stati ma mica scemi.