L’ALTRA FACCIA DELLA “CARTOLINA”: COLTIVARE GRANO IN VALDORCIA, PIU’ COSTI CHE GUADAGNI

SIENA – La Valdorcia è da sempre considerata terra da grano. E da grano di qualità. “Altro non ci viene” dicevano i contadini e i mezzadri del passato, ma il grano sì, quello ci viene e bene. Tant’è che per anni il grano della Valdorcia è stato molto ricercato anche dalle grand aziende della pasta made in Italy… Solo che, secondo una stima fatta di recente dalla CIA Toscana, riportata anche da alcuni quotidiani, coltivare e produre grano in Valdorcia è un costo più che un ricavo.
Sostiene infatti la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) che in Valdorcia il grano ha una resa di 35 quintali ad ettaro, e per 26 euro al quintale, il produttore avrà un ricavo di 910 euro ad ettaro, ma il costo di produzione può arivare a 1.200 euro, con una perdita di 290 euro ad ettaro.
Per ottenere un guadagno, dice ancora la Cia, occorerebbe un valore del grano pari almeno a 35 euro al quintale, 9 in più dei 26 attuali.
La spiegazione dettagliata che l’associazione degli agricoltori fornisce è questa: “i costi di produzione sono dati dall’aratura per 180 euro; erpicatura 75, semina/concimazione fondo 75; costo 2 ql./biammonico 112 euro; seme 2,5 ql/ha per 238 euro; diserbo più trattamento (compreso costo prodotto) 170 euro; concimazione di copertura con 2 ql. e urea più 1 ql nitra 170 euro; trebbiatura 130 euro; trasporto al centro raccolta 50 euro”.
La Cia Toscana ricorda che in Valdorcia il grano rappresenta tutt’ora una coltura principale, ma ormai non è più sostenibile da parte degli agricoltori. E le quotazioni aggiornate settimanalmente confermano il trend ancora in calo per il prezzo del grano duro sul mercato.
Si salvano – precisa la Cia – quelle aziende di piccole-medie dimensioni, davvero virtuose, che riescono a chiudere la filiera, ovvero dal grano al prodotto finito che finisce sulle tavole. Questo è possibile grazie anche al brand Val d’Orcia, che unito a quello della Toscana permette un valore aggiunto. Ma queste aziende sono poche.
Il discorso è un po’ diverso in altre aree della regione. In Maremma, per esempio il grano coltivato in pianura ha una resa di 45 quintali per ettaro, 10 più che in Valdorcia, quindi la perdita sarà minore, circa 30 euro ad ettaro, ma anche in questo caso non si tratta di un guadagno.
E comunque quando troviamo nei supermercati o in certe boutiques alimemntari la pasta di grano duro della Valdorcia a prezzi da gioelleria, si sappia che ciò non dipende dal prezzo del grano e che il produttore se non ci rimette, non è che ci guadagni molto…
Sarebbe interessante poter risalire alle modalità seguite per determinare che un Brand possa essere migliore di un altro e sottomettere tale riconoscimento ad una giuria di esperti non alimentari ma ”giuridici ”. Dico questo perchè nel mercato globale oggi tutto può essere investito di luce falsa che faccia raggiungere lo scopo a chi decide di premere l’interruttore. Mi si risponderà che il mercato lo fanno in massima parte gli acquirenti e questo va bene ma chi lo stabilisce che un grano della maremma sia migliore o peggiore di un altro per esempio impiegabile in un determinato scopo o direzione per fabbricare un prodotto finale ? Non vorrei che aspetti che esistono nella costruzione commerciale nel mercato possano artificialmente essere posti a guardia di ”fortini” di produttori che nell’associazionismo possano determinare i vertici delle piramidi escludendo altre aree produttive del prododotto. Non ho detto nulla di nuovo considerando la tendenza dei produttori ad associarsi per reggere la concorrenza ma talvolta di fronte alla possibile prevalenza che ne deriva, da profano totale della materia mi domando quale sicurezza ci sia anche oggi che ci sono normative europee che stabiliscono certi parametri se ci possono essere spazi o meno creati artificialmente affinchè per un dato prodotto ne venga dichiarata la particolarità.Anche perchè tutti gli altri che commercializzano un prodotto finito non sono mica ”ripresi dalla piena” come si suol dire e certe considerazioni le avranno fatte anche loro. O no ? Allora quando si parla di particolarità e di caratteristiche specifiche per le quali un prodotto sia considerato diciamo ”di nicchia” alla fine il mio ragionamento và nella direzione di chiedersi quale sicurezza abbia il consumatore finale che alla base di ciò che determini il prezzo sul mercato vi siano veramente dei parametri rispettati ed il loro controllo. Ripeto è solo un pensiero il mio ma ” nell’ etica di un mercato” dove tutto sia permesso, i mezzi per arrivare ad essere considerati al vertice della piramide soprattutto per la qualità possono essere molteplici e dipendono anche da come tale selezione venga fatta.Alla fin fine la teoria del dubbio è presente in ogni aspetto e credo che occorra ben averla,anche perchè in un mercato globale le contraffazioni sono presenti e spesso difficili da essere rilevate, anche dagli organi preposti e questo per tanti motivi.La sicurezza alimentare oggi è un oceano sconfinato dove esiste un turbinio di pesci di ogni dimensione, ordine e grado ed il consumatore finale che spesso è un ”consumatore superficiale” è ingannato da ciò che legge sulle etichette ma credo che occorrerebbe chiedersi quali controlli vi siano a monte perchè si fà presto a scrivere sulle etichette oppure in alcuni casi come è successo con prodotti scaduti a sostituirle con una data diversa.E allora credo che dovrebbero essere i governi a intensificare i controlli ma risiamo sempre al punto di partenza che sono i costi sostenuti dalla pubblica amministrazione e quindi parliamo dei ” fatidici soldi”. Spesso le chiacchiere generiche che vediamo in TV non chiarificano il problema che è gigantesco in ogni parte del mondo, non solo in italia e questo sconfina anche nella cosiddetta ” educazione a consumare”.