CHIUSI SCALO, CHIUDE LA STORICA EDICOLA DI VIA LEONARDO DA VINCI. LA DESERTIFICAZIONE AVANZA INESORABILE
CHIUSI SCALO – Tutte le storie finiscono. Oggi, 31 dicembre 2023, finisce la storia dell’edicola di via Leonardo da Vinci. Non è propriamente un fulmine a ciel sereno. Si era capito da un po’ che le cose stavano andando in questa direzione. Daniele Di Mevo, l’edicolante, ha deciso anche lui di gettare la spugna o tirare i remi in barca. Si godrà la pensione guadagnata a suo tempo in Svizzera, oltre quella da commerciante.
Ma quando chiude un’edicola, non chiude solo un esercizio commerciale, chiude un punto di riferimento, un presidio di informazione, di cittadinanza attiva, di democrazia. Perché in edicola non si va a comprare il prosciutto o le scarpe, si va a comprare informazione. E’ vero che i tempi sono cambiati, che ormai i giornali di carta li leggono in pochi, che l’informazione viaggia, più veloce, sul web e sui social…
Ma l’edicola è un’altra cosa. E’ un punto di incontro, oltre che un punto vendita. Se viene a mancare, il punto d’incontro svanisce. E magari in quel paese era l’ultimo rimasto.
Per noi di Primapagina, la chiusura per cessazione attività dell’edicola “Il Quotidiano” di via Leonardo da Vinci a Chiusi Scalo, è un colpo al cuore. Era l’edicola più vicina alla redazione che era lì a 50 metri, il primo “approdo” del giornale appena uscito dalle rotative. E’ sempre stata, per 25 anni, l’edicola che vendeva più copie del giornale. La prima ad essere servita. Ma era anche il punto vendita privilegiato dei nostri libri, la prima dove andavamo ad affiggere le locandine degli eventi promossi da Primapagina… E in 25 anni e passa sono stati parecchi.
Quando Primapagina era di carta (prima in formato tabloid tipo quotidiano, poi in formato Magazine) a Chiusi c’erano 8 edicole: 4 a Chiusi Scalo, tre a Chiusi città, una al centro commerciale di Querce al Pino. Oggi ne restano due: una a Chiusi Scalo e una al centro commerciale di Querce al Pino. Le altre sono scomparse tutte compresa quella storica interna alla stazione ferroviaria. Non c’è più l’edicola nemmeno a Po’ Bandino. La decimazione ha fatto vittime ovunque.
Si dirà che è un segno dei tempi, che così va il mondo, che oggi la gente si informa in altro modo. E che con i giornali non si campa… E non sempre è sufficiente per sbarcare il lunario, aggregare all’edicola altre attività (giocattoli, mercerie, copisterie, bar…), quindi non c’è da meravigliarsi se un’edicola storica chiude i battenti. No, non c’è da meravigliarsi, c’è di che riflettere a da incazzarsi però. Perché di questo passo finisce ogni forma di socialità, aumentano la desertificazione sociale e culturale, la dittatura dei social e della Tv che propina spazzatura, non informazione.
L’edicola di via Leonardo da Vinci a Chiusi Scalo esisteva dal dopoguerra (forse anche prima), da chiosco è diventata un “negozietto”, ha accompagnato la vita politica, sociale, civile della città. Ha cambiato molte gestioni, ma è rimasta lì a presidiare quell’incrocio e a dispensare parole scritte e pensieri… a vendere “La Settimana enigmistica” agli anziani; i pupazzetti e le figurine ai nonni per i nipoti; le riviste specializzate ai fanatici di moto, orologi, pistole, viaggi esotici; fumetti di Tex e Topolino o Dylan Dog e i dischi revival agli appassionati dei vari generi. Ha venduto migliaia di copie di Primapagina, e prima ancora de l’Agorà, quando il gestore era Antonello Del Buono, che faceva anche il tipografo, di quelli all’antica, e quasi godeva nel vendere produzioni artigianali realizzate in loco…
Per noi chiude un pezzo di storia e anche un pezzo di cuore.
Sulle vetrine esterne, accanto alla saracinesca abbassata che non riaprirà, due cartelli, uno verde e uno rosa, fanno sapere che il locale è affittabile e la licenza di edicola in vendita. Ci auguriamo che qualcuno ci faccia un pensierino e magari riapra l’attività. Nel cuore dello Scalo un’edicola servirebbe, anche se i tempi sono cambiati.
A Daniele i nostri migliori auguri di buon anno e di buona vita… La sua parte l’ha fatta. Ma è un peccato lasciar cadere a terra il testimone e lasciarlo lì… Chiusi Scalo (e Chiusi in generale) non merita questo continuo, progressivo e inesorabile stillicidio di chiusure, non merita questo incessante impoverimento.
E’ vero che la classe politica attuale è fatta da persone che, anche per una questione anagrafica, probabilmente un giornale in edicola non l’ha acquistato mai, o solo raramente. E’ vero che i giornali e le riviste sembrano cose per vecchi. strumenti obsoleti e in disuso, ma… senza quell’edicola che chiude, Chiusi è meglio o peggio?
M.L.
Dispiace
Articolo ben fatto, ti sei dimenticato dell’edicola alla piccola oasi di super Marco ancora ben fornita, comunque concordo sul momento di difficoltà che affiora da questa ultima chiusura. Speriamo in un ‘24 di ripresa di una spinta di orgoglio e un pizzico di fortuna, tanti auguri di buon anno Marco e tutta Primapagina
Due riflessioni anzi, una riflessione ed un aneddoto sul tema evocato, la prima delle quali a prima vista sembrerebbe grondante di superbia,ma non credo proprio sia tale il caso.Riguarda la frase finale del tuo Post sulla classe politica che ”probabilmente in vita non ha mai acquistato un giornale o letto un libro ma si è informata sui canali e sui social” e quindi-tu non l’hai detto ma lo dico io – i risultati del loro operare si vedono con molta precisione non da adesso ma da diverso tempo, e si vedono guardando alle questioni che sono presenti a Chiusi in molti settori della vita pubblica, in molti settori del mantenimento delle strutture pubbliche e del loro funzionamento.Molti di queste discrasie non dipendono direttamente da chi amministra ma non tutto è da imputare allo ”stato sovrano che lesina i soldi” ma anche a come questi sono impiegati e strutturalmente vengono resi improduttivi.Questo significa che chi decide prima di tutto politicamente poi amministrativamente attua una comportamento insufficiente a garantire una-chiamiamola così trattati bene ed alla grande ” vivibilità decorosa”.I fatti ? Basta avere un occhio appunto ai problemi che evochi tu Marco ma non solo alla Chiusi come ”voce del verbo chiudere” ma anche alle strade, alle aiuole, ai servizi , al controllo della viabilità soprattutto nei giorni di mercato, allo sporco latente delle defezioni dei piccioni, all’assetto fognario di certe strade dove si passa soprattutto quando è estate e per non beccare qualche malattia respiratoria tocca entrare in apnea…ed allungare il passo… Una città piccola o grande, vale oppure non vale innanzitutto per queste cose e non tanto per i servizi che conducono ad un possibile sviluppo -anche a questo di certo- ma prima di ogni altra cosa è la vivibilità della vita dei suoi abitanti, la presenza di possibilità di vita sociale, di gente invogliata e spronata ad aprire negozi, luoghi di incontri e socializzazioni che non siano solo i Bar dove si vada a fare le apericene…. la seconda osservazione è quella relativa alla reminiscenza di tale edicola storica che per conoscenza diretta sin dai primi degli anni ’50 -ancor prima quindi dello storico Antonello Del Buono- l’edicola era gestita da Barni Lidia e dalla relativa sorella.Lo affermo con tutta sicurezza poichè per anni quando ero ragazzino ho abitato con la mia famiglia al primo piano sopra di essa al tempo che tutto il palazzo era della famiglia Donati imparentata con quella dei De Dominicis che abitavano all’ultimo piano e che rispettivamente gestivano la mesticheria e la ”ferrareccia” mentre il capofamiglia De Dominicis era uno dei Capi Stazione dirigente del movimento.Ci fu un momento che ricordo in maniera un po’ diciamo nebulosa ma nell’intervallo della gestione di Barni Lidia e quella di Antonello Del Buono, un altro gestore per un tempo abbastanza limitato(forse 2 o 3 anni o poco più) di cognome Piccioni condusse quell’attività e tale Piccioni aveva una anche una cartoleria-libreria (forse e quasi certamente la prima a Chiusi Scalo) di rimpetto dell’entrata principale dell’ Asilo delle Suore Pie Venerini in Via Isonzo.Ricordo che tale Piccioni era spiccatamente uomo di destra, che aveva partecipato al tempo del fascismo alla Campagna in Etiopia al seguito dell’esercito italiano e del Gen. Graziani che osannava senza peli sulla lingua per le sue imprese e dato che ne parlava sempre era impossibile non ascoltarlo e già a quell’età capivo che dall’aria che avevo respirato in casa certi aspetti con quello che mi raccontava delle sue avventure in Africa non quadravano con quanto avevo sentito dalla mia famiglia (avevo circa 13-14 anni ed erano tempi che le tensioni politiche erano molto palpabili e forti, di sicuro anche diverse da quelle degli anni ’60 e ’70 ma i suoi racconti sulla battaglia di Gondar e sull’avventura in Etiopia mi prendevano e mi affascinavano e lo ascoltavo per ore).Per le feste mia zia mi regalava sempre dei libri che comperava da lui, specialmente quelli delle avventure di Salgari e di Giulio Verne e delle nuove serie che si affermavano in italia in quei momenti come quelle riguardanti le imprese di navigazione spaziale e di fantascenza.Di reminiscenze riguardanti la gestione di Lidia Barni ne ho diverse soprattutto per quanto riguarda le collezioni di figurine che all’epoca si attaccavano sui relativi Album e che si comperavano in bustine chiuse ed incollate dalla casa editrice B.E.A. di Milano alla non tanto modica somma di 10 Lire a bustina e che ci scambiavamo fra amici con i doppioni proprio davanti all’ingresso di quella che noi chiamavamo ”La Giornalaia”.Era amica dei gatti Lidia Barni e spesso qualche ”ragazzaccio” per farla arrabbiare faceva dispetti a quelle bestiole che lei nutriva e proteggeva come tutte oggi le cosiddette ”gattare”,fino purtroppo ad arrivare ad azioni atroci verso tali animali che oggi sarebbero punite anche e giustamente con il codice penale…ma erano tempi in cui per i cosiddetti discoli esisteva la dissuasione del ”discolato” che era il cosiddetto- e chiamato con altro nome- ”riformatorio….” dove mia madre minacciava di mandarmi se non avessi studiato e fossi stato promosso.Qualche anno rasentai tale evento ma per fortuna il tutto non si avverò…cose di altri tempi in cui il mondo intorno era più calmo e la gente magari faticava non poco per mettere insieme il pranzo con la cena ma la franchezza con la quale ci si parlava era cosa più palpabile che l’ipocrisia di oggi che serpeggia in mezzo alle persone e che contribuisce a dividere.E’ in questo ”splendido isolamento” spesso prodotto dal comparto mediatico delle notizie che rimbalzano sui computer, il terreno fertile che fà nascere le contrapposizioni dove non si riconoscono più le cose importanti da quelle meno importanti e vacue, dove quasi sempre come metro culturale di vita il superfluo diventa necessario.E questa alla fin fine la chiamano e la sostengono come ” democrazia da benessere…..”.
Anche una chiusura di un esercizio di tale natura in un piccolo paese è sintomo espresso di un arretramento sociale che insieme a diversi e tanti altri di tale specie contrassegna un paese dove regnano il disinteresse e l’abulia, ma dove regna anche l’aria che una classe politica incapace soprattutto sul piano politico e quindi per conseguenza anche economico, ha impresso il proprio timbro a suggellare tale condizione.Non a caso quasi sempre per non dire sempre la classe politica è espressione dei cittadini e quando penso ai tempi che ho descritto sopra credo che quel mondo-se pur con bisogni materali maggiori e di sussistenza rispetto ad oggi – era umanamente ed anche politicamente migliore e più vivibile.E allora tante riflessioni vengono normalmente alla mente che non sono davvero quelle del ”si stava meglio quando si stava peggio” ma i cittadino dovrebbero aprire gli occhi e capire che non basta andare i cabina elettorale e fare il segno di croce sul proprio partito che si preferisca e che secondo noi ci dia maggiore affidabilità, ma poi occorre a nosro modo partecipare e proporre, non lasciare le cose andare come stanno andando perchè si tratta di noi e perchè si sappia che al posto nostro poi decide qualcun altro ed a coloro che dicono che non vanno a votare e magari se ne vantano anche, occorrerebbe dire che il non andare a votare è come mettere la testa sotto la sabbia ma attenti che poi il culo resta fuori….
Non posso che associarmi all’ amarezza e al dispiacere sia per la chiusura dell’ edicola che in generale per la desertificazione sociale, economica e culturale che avanza inesorabile.
Ma inesorabile fino a un certo punto : io in questi giorni mi trovo, per trascorrere il lungo ponte di capodanno, nel centro di San Marino, e ovunque è un via vai di gente a dir poco mostruoso. Al netto della enorme disparità di patrimonio artistico e culturale a loro favore, va detto che loro sono veri e propri maestri dell’ offerta culturale, di intrattenimento e e turistica in genere, riescono a monetizzare anche l’ impossibile. Per fare un paio di esempi scemi, mi hanno “fregato” 5 € per un piccolo tagliere di legno a forma di maialino, che si poteva portare a casa con quel supplemento se richiesto, e ovviamente il mio bambino più piccolo lo voleva. Così come i 3.5 € per la versione micro della cosiddetta Torta Titano, che in buona sostanza è un wafer al cioccolato. La desertificazione è una diretta conseguenza del declino generale, Chiusi non può certo raggiungere i numeri di San Marino ne’ ne ha bisogno, ma fare quanto basta per conservare una vitalità decente è nelle sue possibilità. Ci sono realtà vicine a noi messe meglio pur avendo meno da offrire, ma che valorizzano meglio quel che hanno.
Dimenticavo, ovviamente rivolgo i migliori auguri a Daniele per il suo futuro.
X Giangiacomo Rossi. Condivido, anche se San Marino è stato sempre un luogo speciale e denso di turismo anche in inverno e quindi figuriamoci nella stagione estiva. Lo dico con sicurezza poichè ho abitato per due anni nel territorio della Rep.ca Sanmarinese e precisamente a Serravalle ed a S.Marino ho fatto la prima e la seconda media nel 1956-1957 ed il mondo era molto diverso da quello di oggi.La cittadinanza è abituata quindi sia culturalmente che come comportamento a fruire pienamente di quella che si chiama domanda turistica e non lascia intentata nessuna occasione per commercializzare oggetti, souvenir ed anche vera e propria cultura che proviene da quel lembo di terra conosciuto in tutto il mondo.Con tale discorso non penso che Chiusi debba prendere e copiare le modalità di porsi al mondo che possano essere e ricalcare quelle di S.Marino ma Chiusi veramente avrebbe soprattutto nei confronti dei paesi circonvicini molti titoli da esibire in quanto a materie come l’archeologia ed anche essere come punto di riferimento per lo studio e l’indirizzo di scuole ad indirizzo internazionale per formazione di personale da adibire all’archeologia sia come studio sia come impiego alla ricettività dall’esterno.Invece la fotografia della situazione è scoraggiante non da adesso ma nel procedere del tempo si avverte che tutto ancora stia peggiorando e di tutto questo processo non si avverte la fine.La realtà dura è questa , non un altra.
Caro Daniele Di Mevo, leggo dal social che oggi è l’ultimo giorno di attività dell’edicola a Chiusi Stazione e questo mi dispiace tantissimo. Non solo perché sei un Gobbo come me ma anche perché le tue opinioni politiche seppur diverse dalle mie mi sono sempre interessate! Oltretutto quell’intercalare tuo francese mi è sempre piaciuto! Proprio in francese tentavo di interloquire con te e sempre non ce la facevo! Insomma mi dispiace porca troia, come dici te! Insomma il rapporto con l’edicolante è simile a quello con il barbiere e con il barrista! Ci sfoghiamo delle nostre disavventure, sappiamo i segreti di tutti e però c’è sempre una complicità di fondo, un silenzio rumoroso! Delle sicurezze che vengono a mancare! Mi
dispiace porca troia! Un abbraccio e buona vita! Vorrei scrivere altro ma concordo con Marco. Non si può liquidare con il tempo storico che è cambiato, che tutto viaggia online, la memoria non si cancella e la raccolta dei pensieri vive anche di socialità che non può essere solo sui social! Si vive anche in presenza, soprattutto! Visioni romantiche, anacronistico pensare questo? Non credo! Mi dispiace sia per Daniele che per le edicole! Però per la cultura e la socialità!
Le edicole sono tre. A Chiusi Città c’è La Piccola Oasi.
Vero, nell’articolo non figura l’edicola La Piccola Oasi in piazza Pertini sulla strada per Chianciano appena fuori dal centro storico. Una svista. Sappiamo benissimo che esiste, perché come anche la Piccola Ooasi/Edicolè ha venduto negli anni centinaia di copie di primapagina e tutti i nostri libri. Però anche quell’attività si è purtroppo ridimesionata, dismettendo la libreria. E la domenica è chiusa.Come quella di Piazza XXVI Giugno. La domenica, insieme al sabato è il giorno in cui i giornali si vendono di più. Ma a Chiusi comprare un giornale la domenica d’ora in poi sarà impresa ardua. Toccherà andare a Cetona o a Città della Pieve…Vi sembra normale?
P.S. Scusandomi del refuso perchè per erronea abitudine non rileggo mai ciò che scrivo: al 18° rigo leggi ”deiezioni dei piccioni” in luogo di ”defezioni dei piccioni”,sennò viene anche da ridere…ancora scuse ai lettori.
X Marco Lorenzoni.C’è anche una piccola riflessione a margine di tutto che andrebbe fatta ed è collegata alla tua domanda finale”ma vi sembra normale ?”. Hai perfettamente ragione, non è affatto normale ! Non è affatto normale che una attività che più spiccatamente delle altre riguarda l’informazione e la cultura di un paese debba chiudere perchè è ritenuto dal gestore che non sia più conveniente il tenerla aperta (a parte le decisioni personali sull’andare in pensione e vivere logicamente un pezzo di vita più calma e meno stressante cosa questa concepibile) ma dal momento che trattasi di una iniziativa privata il fatto che una persona l’abbia instaurata, creata e sviluppata, la domanda è logicamente quella che sembrerebbe più che giusto che debba essere il settore pubblico a farsene carico, proprio perchè un cespite di cultura non può essere minimamente lasciato in balia e dipendente dalle decisioni e dalle necessità di un singolo privato,perchè è questo che stà succedendo.Allora qui le cose sono due: o si riconosce-come è stato detto e riconosciuto- che siamo a discutere se una attività oltre che ad essere fonte di vita per il singolo sia anche un ” cespite culturale” che rappresenti una esigenza pubblica, oppure solo il frutto di una iniziativa solo privata per fare profitto, ed allora se così fosse tutti i discorsi a monte andrebbero lasciati perdere.. Perchè tali cose non vengono mai pensate e da parte dell’autorità pubblica non si cerchi un modo di coinvolgimento di persone che abbiano bisogno di lavorare e di spingerle a far coinvolgere i loro sforzi assumendosi la conduzione di tali esercizi,visto fra l’altro che spesso vediamo i richiedenti asilo ed ospiti dell’associazionismo che incassa soldi pubblici quindi soldi di tutti,girovagare senza fare nulla ed essere alla fine a carico delle casse pubbliche accompagnati anche dalle solite polemiche di natura razzista e spesso guardati con ostracismo da una parte della gente ? Si pensa che non siano all’altezza soprattutto quei giovani di condurre attività simili ? Se non lo fossero ci si sforzi per educarli ed instradarli a tali attività, realizzando così’ una vera integrazione invece di essere in balia delle parole.Il cooperativismo oltre che al compito primario di sollevare le persone dal bisogno dovrebbe anche insegnare ed essere attività che instrada a vivere delle vite normali.Chi rimane ai margini ripercuote la propria estraneità ed anche avversione al sistema dove è immerso anche dopo anni ed anni con dei danni diretti ed indiretti grandissimi, contribuendo a far formare sacche di estraneità e cioè dell’esatto contrario dello scopo per il quale il settore pubblico dice e si proclama di battersi. Se non sono preparati gli si insegni, perchè è il più grande stimolo questo a poter vivere una vita migliore, sia per loro sia anche per gli stessi cittadini di Chiusi.E’ la sola condizione perchè Chiusi nel suo futuro non sia una distesa di lapidi biancastre con esposti i relativi nomi di coloro che conducevano le attività.E si ricordi una cosa imprescindibile all’inizio di ogni ragionamento che si debba fare, non solo rispetto a Chiusi ma rispetto ad ogni attività lavorativa : dentro al lavoro è contenuta la presenza dell’individuo ed anche del sociale, perchè il risultato finale misurato in termini materiali oppure economici identificati con la parola ”prodotto” mostra e contiene tutte e due le componenti: quella individuale e quella sociale.L’una non prescinde e non esclude l’altra e l’una non vive senza l’altra.Ma spesso nel vivere la quotidianità ci dimentichiamo di tale assioma perchè il nostro limitato ragionamento tende sempre a far prevalere come fonte di tutto l’iniziativa del singolo.A dimostrazione che tale discorso possa essere un discorso in tal caso limitato e privo di giustificazione si provi ad immaginare estremizzando i concetti che in un paese le attività presenti progressivamente chiudano tutte; cosa resterebbe ai suoi abitanti ? ecco perchè il tutto nonva lasciato in mano alle decisioni ed alle utilità ed iniziative del singolo privato, in specie le attività che producono cultura, informazione e quindi educazione a vivere.La mia educazione non può dipendere dalla tua utilità o meno, detto papale papale….ecco perchè casi come questo di cui si parla dovrebbero essere fatti di natura più spiccatamente pubblica e quindi suscitare un interesse da parte delle istituzioni.
Limitatamente a certi tipi di attività che presentano risvolti di interesse pubblico, e in particolare culturale, ha senso.
La scelta di chiudere una attività è sempre soprattutto una scelta personale di chi la gestisce. E se uno decide di chiudere i suoi motivi li avrà. Nel caso specifico (e di molte altre edicole chiuse in questi ultimi anni – sono tantissime – o in via di chiusura) il problema che ha portato alla chiusura però è anche un altro e risiede nelle condizioni spesso “capestro” imposte da agenzie di distribuzione di giornali e affini che operano in regime di MONOPOLIO TERRITORIALE, quindi senza alcuna possibilità, per l’edicolante, di servirsi da altri. Se vuoi vendere i giornali, a quelle agenzie ti devi rivolgere e devi accettare le loro condizioni. E si tratta di agenzie sempre più grandi e sempre più lontane, per le quali la tua edicola è solo un numero, un codice a barre. Non esiste più un rapporto diretto con un “Distributore” che conosci, con il quale potevi pure litigare, ma alla fine un accordo lo trovavi, sempre. Adesso il quadro è cambiato, si è disumanizzato. E si è anche complicato per i sempre crescenti adempimenti relativi al carico-scarico della merce, alla contabilizzazione delle rese, alla sostituzione dei pezzi “fallati” ecc… I processi di automazione hanno semplificato alcuni passaggi, ma ne hanno creati, a catena, molti altri rendendo la vita difficile agli edicolanti, soprattutto a quelli di lungo corso, abituati ad altre procedure… La concentrazione delle proprietà delle testate (che rende i giornali tutti uguali come fotocopie l’uno dell’altro) si è portata dietro anche la concentrazone delle agenzie di distribuzione. E questo ha contribuito e contribuisce non poco alla crisi delle carta stampata. Non è solo una questione di sopravvento dei social e del web in generale, è anche una questione di organizzazione del mercato che privilegia i grandi e ammazza i piccoli. Ma questa è una delle leggi fondanti del capitalismo e del turbo liberismo…
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