CHIUSI: LE STORIE TERRIBILI DI YUSSUF E VIRGINE, GIOVANI PROFUGHI AFRICANI. ECCO PERCHE’ L’ACCOGLIENZA E’ OBBLIGATORIA E GIUSTA
CHUSI – Virgine e Yussuf sono due ragazzi ospiti del centro di accoglienza gestito dalla Misericordia a Chiusi Scalo. Vengono dalla Nigeria e dal Mali. Sono scappati dalla guerra civile, dalle violenze di Boko Haram. Hanno attraversato il deserto, sofferto la fame e la sete, la prigione, le prevaricazioni dei trafficanti di essere umani e dei mercanti di schiavi. Lei è stata tenuta in schiavitù in Libia per 6 anni, costretta a prostituirsi, violentata più e più volte. Ha partorito 4 figli. Lui ha non ha avuto nemmeno il coraggio di raccontarle le violenze che ha subito. Ora è qui e ringrazia chi lo sta aiutando a rifarsi una vita.
Le loro storie Yussuf e Virgine le hanno raccontate ieri sera, aiutati da un altro di loro, John, che ha fatto da interprete, alla sala del Clev Village dove a seguire è stato proiettato il film “Io capitano” di Matteo Garrone. Sala gremita e facce commosse. Molti sono rimasti fuori.
Il sindaco Sonnini che ha voluto l’iniziativa ha parlato dell’importanza e della necessità dell’accoglienza, della solidarietà, il presidente della Misericordia Roberto Fè ha invitato tutti a considerare il lavoro che svolgono le organizzazioni umanitarie e volontaristiche e ha anche voluto smentire le voci sulle sovvenzioni che ottengono per il loro servizio: 22 euro per ogni ospite, non 35-40 come di dice in giro. Aldo Ciani della Ong Mediterranea ha parlato della nave che l’organizzazione ha acquistato e allestito per fare i soccorsi in mare perché le persone che fuggono da situazioni insostenibili prima di tutto vanno salvate e messe al sicuro. Alessandro Lanzani ha ricordato che i migranti e i profughi, i richiedenti asilo non arrivano solo dal sud del mondo, dall’Africa, ma anche dall’est Europa, ha sottolineato le politiche di rapina portate avanti dai paesi più ricchi e dalle multinazionali nel continente nero, ha parlato della sua esperienza, fatta proprio con Mediterranea, a Leopoli, per portare in salvo profughi ucraini nel mese di aprile del 2022, ma anche come all’invio di armi non sia corrisposto un uguale invio di medicine.
Insomma quella di ieri sera al Clev è stata una iniziativa importante che ha fatto un po’ di chiarezza. Quei ragazzi, neri di pelle, ospiti dei centri di accoglienza e delle strutture della Misericordia (a Chiusi sono quasi 200) non sono dei fannulloni che ciondolano tutto il giorno con il cellulare in mano, le scarpe Nike e il cappellino da baseball. Sono ragazzi in fuga dalla morte quasi certa, dalle persecuzioni, da guerre e carestie. Sono ragazzi che hanno già alle spalle viaggi pericolosi, mesi e mesi di prigionia e di privazioni, spesso vittime di violenze gratuite da parte di aguzzini senza scrupoli nei lager libici (che l’Italia sovvenziona). Storie comuni e per molti versi simili tra africani, mediorientali (si pensi ai curdi, ai palestinesi, ai siriani, agli afghani) e anche ucraini, kosovari, macedoni.
Ha fatto bene Gianluca Sonnini a promuovere una serata dele genere. Ha fatto bene a farlo facendo vedere un film che tratta l’argomento con un pizzico di poesia, ma anche con molta crudezza. Ha fatto bene la gestione del Clev Village ad accogliere con entusiasmo l’iniziativa e a sostenerla con il prezzo scontato del biglietto. Chiusi ieri sera ha segnato un punto a favore. La sala piena ha dimostrato che la città è sensibile al tema “migrazioni”. Ma adesso va fatto un passo avanti, affrontare il tema in maniera continuativa, politicamente. Perché il rischio che anche una buona iniziativa rimanga un episodio isolato e fine a se stesso è piuttosto alto. Come è alto il rischio che la gente comune si senta a posto con la coscienza, con i 4 euro per vedere Io Capitano e magari un obolo alla Misericordia.
M.L.
Ho sempre pensato che il racconto delle storie è il primo passo per questi ragazzi. I “vecchi” (circa una ventina) sono a Chiusi da qualche anno. Lavorano tutti in aziende locali con normale contratto. Benvenuti ai nuovi.
Certo, ti dico di più: credo che oltre a parlarne sulla stampa sarebbe meglio e più efficace trovare delle occasioni pubbliche nelle quali questi ragazzi e ragazze possano raccontare le loro storie. Ascoltarli guardandoli in faccia e non attraverso il filtro di una pagina di giornale o di uno schermo del Pc, aiuterebbe a comprendere meglio quelle storie. A rendersi conto di ciò che hanno passato prima di arrivare qua. In sostanza credo che – come scritto nell’articolo – sarebbe opportuno e utile dare continuità a iniziative come la serata al Clev.
Due di loro hanno pubblicato due brevi libri sulle loro storie.
https://www.amazon.it/Una-matita-Dalla-Nigeria-allItalia/dp/B08P68PR1B/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=3H3OJTPPZ74VQ&keywords=kevin+friday&qid=1695971293&s=books&sprefix=kevin+friday%2Cstripbooks%2C92&sr=1-1
https://www.amazon.it/Perch%C3%A9-l%CA%BCItalia-Storia-richiedente-asilo/dp/1703386000/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=2TE8M4HXIUCGG&keywords=storia+di+un+richiedente+asilo&qid=1695971406&s=books&sprefix=storia+di+un+richiedente+asilo%2Cstripbooks%2C121&sr=1-1
Credo che il prossimo passo debba essere mettere in piedi un programma che permetta a queste persone di integrarsi da un punto di vista sociale e che permetta loro di vivere il più a pieno possibile la loro vita. Fornire un sostentamento di base è la prima necessità ma non basta.
Credo che per un problema così complesso non ci sia una ricetta unica. C’è invece la possibilità di procedere per piccoli passi. Ho precedentemente segnalato i due brevi libri che due di loro che risiedono in zona hanno scritto raccontando le loro storie. Quei racconti hanno aiutato la loro legale nella procedura di riconoscimento dello status di rifugiato politico o di protezione internazionale. Molto ha aiutato un’iniziativa della parrocchia di Chiusi Scalo di un pronzo comunitario due volte a settimana che permetteva l’incontro con altre realtà (venivano anche da Orvieto e altre realtà un po’ più lontane. Purtroppo quell’iniziativa è finita. Altre ne possono nascere.