FESTIVAL ORIZZONTI: QUANDO IL BALLETTO E’… CIVILE E CI PARLA DI RAZZISMO E NEOCOLONIALISMO
CHIUSI – Già il nome della compagnia prometteva bene: Balletto civile. Che vuol dire danza, ma non solo. E le premesse e promesse lo spettacolo andato in scena ieri sera al Festival Orizzonti, sul palco allestito nel giardino del “Prato” a Chiusi, le ha mantenute tutte. Forse anche qualcuna in più. Ci siamo trovati di fronte, infatti, ad una performance straordinaria, per spettacolarità, forza emotiva e anche per un testo forte. Liberamente tratto da una sceneggiatura scritta esattamente 60 anni fa, da Pier Paolo Pasolini, ma ancora, come molte cose scritte da Pasolini, tremendamente attuale. Spettacolo minimal con due ballerini-attori, su una scena spoglia. Solo due banchi di scuola. E qualche gioco di luce. Titolo: Davidson. Chi è Davidson? E’ un ragazzo alto, di colore, che ama il rap. I suoi vengono dalla Liberia, lui è nato in Italia, parla italiano, mangia italiano. Pizza e spaghetti. Con il sugo. Si sente italiano, ma a scuola gli dicono che un topo se anche nasce in una stalla, non è che diventa cavallo… La storia raccontata con le parole e il movimento, su musica che spazia da note vivaldiane al rap da banlieu è il rapporto non facile tra Davidson e il suo insegnante, democratico e progressista. Un insegnante di sinistra, aperto alle altre culture, antirazzista e anticolonialista, che cerca di insegnare queste cose, questo approccio, ai suoi studenti e in Davidson vede non solo occhi intelligenti, ma anche l’essenza della poesia, della bellezza e alla fine pure della rivolta, che è propria dell’Africa. Come di tutte le classi subalterne. Qui c’è tutta la filosofia pasoliniana. Ma il rapporto tra Davidson e l’insegnante non è semplice, perché Davidson è intelligente e disincantato, è più moderno del professore. Lui la banlieu la vive, non la mitizza. Insomma “Davidson” è uno spettacolo di danza moderna, che parla di razzismo e neocolonialismo, del rapporto nord-sud del mondo, dell’Africa che è arrivata (sbarcata verrebbe da dire) a casa nostra, parla dei nuovi italiani con la pelle scura e di come, anche se sono a tutti gli effetti italiani, siano considerati tali fino ad un certo punto e non del tutto…
Il testo di Ppp è “Il padre selvaggio”, del 1963, pubblicato postumo nel ’75, dopo la morte violenta del poeta, regista e scrittore friulano, ma la trascrizione fatta da Maurizio Camilli autore della drammaturgia e protagonista nei panni del prof, con il giovane Confident Frank nei panni di Davidson, porta il ragionamento al giorno d’oggi. E la “trama” appare tutt’altro che datata. I primi anni ’60, quando Pasolini scrisse quella sceneggiatura, erano gli anni della decolonizzazione, della guerra in Congo, dell’Africa nera che si affrancava dal giogo coloniale della Francia, del Belgio, dell’Inghilterra. Erano gli anni di Lumumba e Nkrumah, di Nyerere e di Senghor. Adesso sono gli anni degli sbarchi dei barconi, delle stragi in mare, delle guerre infinite, dei milioni di ragazzi neri che stanno trasformando l’Europa…
Una piccola perla di teatro-danza, e di “teatro e balletto civile” che il festival Orizzonti ha proposto agli spettatori, rimanendo in questo fedele ad una tradizione consolidata. Che è quella di portare in scena nel festival estivo di Chiusi piece teatrali, musicali o di danza che abbiano anche un substrato di impegno civile, appunto. Un teatro che sa da che parte stare e decide di farlo capire, con le parole e, come in questo caso, con il movimento e l’armonia di una danza che simula una lotta, uno scontro generazionale e culturale…
Spettacoli così non si vedono tutti i giorni. E soprattutto non è facile vederli in realtà periferiche e di provincia come Chiusi. Ottima scelta quella fatta dal direttore artistico Brinzi. E ottima cosa anche il laboratorio di “teatro fisico” che la compagnia Balletto Civile tiene nella palestra delle scuole elementari. Il festival è anche questo: interazione, scambio, scuola, cose da cui possono nascere germogli…
m.l.