SILVIA FRASSON E “LE VOCI DELLA SERA” DI NATALIA GINZBURG
Chiusi è sempre stata una cittadina generosa nel produrre talenti di vario genere; le sue vie sono state percorse da illustri ceramisti, scrittori, giuristi, attori tra cui spicca oggi sul panorama teatrale nazionale la preziosa figura di Silvia Frasson.
Dopo la maturità classica Silvia intraprende il suo percorso di formazione presso la Civica Scuola di Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano diplomandosi del 2001 e iniziando così a calcare i palcoscenici d’Italia portando in teatro prosa e narrazione.
Il suo talento è continuamente alla ricerca di qualcosa che ci avvicini agli altri, che ci coinvolga a tal punto da farci sentire parte di un progetto trascendente e da questa necessità nascono capolavori come La vita salva e Una ragionevole felicità. Ritratti di Leandro e famiglia dove il teatro evolve in filosofia e preghiera, miracolo e incanto.
I personaggi delle sue pièces, destinati a rimanere per sempre nell’animo di chi li guarda, sono tutti da lei rigorosamente interpretati; affiorano da quell’esile corpo che attua su se stesso metamorfosi continue attraverso impercettibili cambiamenti di voce e movimento.
Impossibile obliare Celeste, il Dott. Bresci, la madre di Giorgio, Leandro e i suoi ragazzi, l’Angiolina e a questa scia di indimenticabili figure si aggiungono i protagonisti di Le voci della sera (tratto dall’omonimo romanzo di Natalia Ginzburg), presentati in prima assoluta presso Teatro Comunale di Antella (Firenze) dal 13 al 16 aprile.
La stesura della pièce risale a diversi anni prima, infatti Silvia dopo aver ottenuto i diritti di rappresentazione da Andrea Ginzburg, figlio di Natalia, chiude in un cassetto il manoscritto dello spettacolo in attesa del momento perfetto.
Nel frattempo la vita fa il suo corso. Accadono eventi, nascono opere, sceneggiature. Il teatro vive di Silvia e lei in sordina prepara il giusto parterre per Le voci.
Il tempo propizio finalmente è giunto, Archetipo decide di produrre il progetto e il Teatro Comunale di Antella è il luogo deputato a far uscire allo scoperto Elsa, Tommasino, Matilde, la zia Ottavia, i Balotta, le bimbe Bottiglia, Gigi Sartorio, il Purillo.
Sulla scena, come sempre solo lei, Silvia, che si lascia attraversare dai tutti quei caratteri immaginati e dipinti dalla Ginzburg nel suo romanzo. Il prodigio che ne viene fuori è un concentrato di amore, passione e talento che ci prospetta uno spaccato di vita familiare post bellico nel quale l’atmosfera che si respira è quella di un accogliente salotto borghese dove stereotipi e cliché fungono da colonne portanti per l’equilibrio dei protagonisti, sempre volti ad occultare o smorzare i loro sentimenti.
Matilde, la madre, logorroica e pettegola è sempre ponta ad indagare e riferire i fatti del paese, nonché a raccontare i suoi malanni e i suoi crucci con quel perenne nodo in gola che non le dà tregua. E’ lei ad aprire la scena con una cascata di parole e catapulta lo spettatore nel bel mezzo del piccolo paese che odora di rancido a causa dei fumi esalati dalla fabbrica tessile del vecchio Balotta.
Elsa al contrario è silenziosa e poco partecipe nelle conversazioni; schiva e attenta a non infastidire, la ragazza è un po’ il rammarico della sua famiglia perché ancora non è fidanzata e piuttosto vicina al baratro della zitellaggine.
La sua figura si fa largo tra i personaggi in maniera educata, quasi in punta di piedi, fa riflessioni scarne sul quotidiano, sulla sua vita, fino a quando improvvisamente ci rivela la parte più intima di sé diventando la protagonista incontrastata della pièce, il fulcro intorno al quale ruoteranno tutte le aspirazioni della Ginzburg.
Attraverso questo personaggio viene fatto un velato invito al lettore, quello di rivedere la propria posizione su alcuni stereotipi e convenzioni; c’è un’esortazione a promuovere una vera e propria rivoluzione di coscienza attraverso la figura di Elsa affinché l’emancipazione della donna nella società sia possibile.
La ragazza raccontandosi, confessa di incontrarsi di nascosto due volte alla settimana con il suo amato Tommasino in una stanza in Via Gorizia, nonostante lui le ribadisca ad ogni incontro che non la sposerà.
Tommasino è un ragazzo onesto, preso più dallo studio, dai suoi interessi che non dalle donne, non sente sua l’idea del matrimonio, della famiglia. Invita più volte Elsa a trovare un brav’uomo che se la sposi ma nonostante ciò prova a fare un passo verso di lei. Una sera va a casa sua e lascia che i suoi genitori credano alle sue buone intenzioni. I giorni passano, i preparativi per il matrimonio incalzano, la loro vita intima abdica per lasciare spazio agli obblighi di routine. Tommasino esplode, la gioia di Elsa invece implode in un dolore sordo, destinato a diventare costante e latente. Il castello di sabbia è crollato.
Tommasino urla che tutto era più bello quando esisteva ancora la possibilità della scelta, quando ogni loro incontro era frutto della voglia di vedersi piuttosto che dell’obbligo di farlo. Elsa affranta lo rende libero restituendogli l’anello.
La Ginzburg pubblica il suo romanzo nel 1961 epoca in cui per una ragazza non era per niente facile uscire dalla predestinazione culturale prevista per lei. “Il matrimonio per una donna, il destino più bello” è il mantra che Matilde mormora di sovente a sua figlia.
Attraverso la scelta di Elsa Natalia Ginzburg propone un modello di donna che pur di non accettare un rapporto basato sulla falsità e l’assenza di amore preferisce il nulla. Preferisce farsi bastare quegli incontri furtivi di un paio d’ore in una stanza spoglia piuttosto che la tortura di un matrimonio fasullo. Opta per la solitudine piuttosto che per la realizzazione di una coppia che non c’è.
Riportando l’anello alla casa tonda Elsa rinuncia all’amore della vita, abdica al suo ruolo di moglie, perché è cosciente che quello che ha di fronte non è l’amore della vita ma semplicemente il preludio dell’infelicità.
Il suo dire “no, grazie!” non è tanto rivolto a Tommasino quanto piuttosto ad una società che ci ha preteso ancorati alla cornice delle convenzioni e omologati ad un modello precostituito piuttosto che essere coerenti con la nostra specificità.
Rifiutare qualcosa a noi destinato, se riteniamo che lì non risieda la nostra e l’altrui felicità, è un atto d’amore che ogni essere umano deve a se stesso. E’ questo il grido muto di Elsa vestito soltanto del dolore della delusione ma non del rimpianto.
Non esiste il tempo del rimpianto per chi non cede all’inganno delle abitudini, non è destinato a pentirsi chi accetta a testa alta il proprio dolore.
Questa evoluzione delle coscienze che oggi può apparire banale è in realtà frutto di profondi atti di coraggio che si sono serviti della forza del pensiero, della bellezza della letteratura, della magia del teatro, nonché della sensibilità di quei cuori che sono stati in grado di accoglierli e condividerli con gli altri.
Silvia, Elsa, Matilde, Natalia, nomi che si intrecciano destini che si uniscono; un’umanità che si sofferma, che passa e che lascia traccia.
Un universo che cambia e si evolve grazie a chi ha deciso di scegliere piuttosto che accettare, a chi fa un passo indietro quando sente che sarebbe troppo rischioso continuare; a chi riesce ad assecondare se stesso dicendo: “No, grazie, questa splendida cornice non fa più per me.”
Elsa nel corpo di Silvia esce dalla scena come un’ombra leggera, solitaria e malinconica, inconsapevole della potenza liberatoria che porta in grembo la sua scelta.
C’è tutto questo nella pièce di Frasson, c’è Silvia intrisa fino al collo nelle vite degli altri, dentro la sua e la nostra esistenza fatta di mancanze e silenzi, spiragli di luce, abbandoni e dolore.
Impossibile non farsi travolgere, impossibile da dimenticare perché ognuno di quei personaggi si fissa così addosso da farci avvicinare a delle parti di noi e fungendo da specchio ci farà vedere che Elsa, Tommasino, la mamma, la zia Ottavia siamo noi nelle varie epoche della nostra piccola vita e che ci piaccia o no ne dobbiamo prendere atto.
Le luci si abbassano, il sipario si chiude.
L’universo interiore di chi è stato lì ha fatto ancora un considerevole passo in avanti.
E’ questo che dicono bisbigliando le tante voci della sera che, con borsette e cappotti, si accingono a lasciare il teatro. Bella serata. Bella performance attoriale, ancora una volta, di Silvia Frasson.
Per la cronaca Natalia Ginzburg è stata una scrittrice tra le più rilevanti del ‘900, ma anche una giornalista e attivista politica antifascista, deputata del Pci.
Paola Margheriti