LA CROCIATA DI FRATELLI D’ITALIA CONTRO LE PAROLE INGLESI. E QUANDO PER DIRE RISTORANTE SI DOVEVA DIRE “RISTORATORE”

martedì 04th, aprile 2023 / 11:10
LA CROCIATA DI FRATELLI D’ITALIA CONTRO LE PAROLE INGLESI. E QUANDO PER DIRE RISTORANTE SI DOVEVA DIRE “RISTORATORE”
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Alla stazione di Chiusi, fin o a non moltissimi anni fa, sul  lato che dà verso i binari c’era un cartello nero, con scritta bianca: “Ristoratore”. Quel cartello segnalava il ristorante, che tutti a Chiusi chiamavano “il Buffet” (adesso è un bar con pizzeria a taglio). Ristoratore, non Ristorante, perché ristorante era una parola derivata dal francese restaurant… e quel cartello era lì dal ventennio, quando il Cavalier Mussolini pensò che in Italia si dovesse parlare italiano, solo italiano. E italianizzò anche i nomi di paesi e città, i cognomi che tradivano origini diverse e tutte quelle parole che avevano assonanza con le lingue dei nemici d’oltralpe o della perfida Albione…  Così Sauze d’Oulx diventò Salice d’Ulzio, e Breuil diventò Cervinia… per esempio… 

«Basta con gli usi e costumi dell’Italia umbertina, con le ridicole scimmiottature delle usanze straniere. Dobbiamo ritornare alla nostra tradizione, dobbiamo rinnegare, respingere le varie mode di Parigi, o di Londra, o d’America. Se mai, dovranno essere gli altri popoli a guardare a noi, come guardarono a Roma o all’Italia del Rinascimento… Basta con gli abiti da società, coi tubi di stufa, le code, i pantaloni cascanti, i colletti duri, le parole ostrogote” scriveva il Popolo d’Italia nel 1938… Ci fu anche il tentativo ridicolo di italianizzare addirittura i nomi dei grandi musicisti d’oltre oceano: Louis Armstrong diventò Luigi Braccioforte, Benny Goodman Beniamino Buonomo…

Ovviamente l’Italia fascista ordinò l’uso della lingua italiana e solo della lingua italiana anche nei territori occupati, come quelli della ex Jugoslavia, invasi nel 1941, il che significava anche altre cose: la colonizzazione degli slavi e l’impossibilità, per chi non parlava italiano di fare concorsi pubblici, di lavorare nella scuola e negli uffici ecc..

Ora, aprile 2023, 100 anni e mezzo dopo la marcia su Roma, con la destra al governo del Paese, in Parlamento si torna a proporre una crociata contro gli anglicismi e la colonizzazione culturale e linguistica dell’Italiano…

“Una sanzione amministrativa da 5.000 euro a 100.000 euro” è quanto rischierà – secondo una proposta di legge presentata a Montecitorio dall’esponente di Fdi, Fabio Rampelli, con la firma di una ventina di deputati del suo partito – chi continuerà a macchiarsi di ‘forestierismo’ linguistico, ovvero ad utilizzare termini non della lingua italiana innanzitutto nella pubblica amministrazione.

La premessa della proposta di legge è che “la lingua italiana rappresenta l’identità della nostra Nazione”, è un patrimonio “ricevuto in eredità dal nostro passato e dalla nostra storia” e “dobbiamo imparare a considerarlo un bene comune”. La considerazione è che studiosi, esperti e istituzioni come l’Accademia della Crusca denunciano da tempo “il progressivo scadimento del valore attribuito alla nostra lingua”. L’uso di termini in inglese “è diventato una prassi comunicativa che, lungi dall’arricchire il nostro patrimonio linguistico, lo immiserisce e lo mortifica”. E così, d’acchitto, la premessa alla proposta dell’on. Rampelli non sembra poi tanto diversa da quella esposta dal Popolo d’Italia nel ’38…
In verità, l’uso di parole ed espressioni anglofone, anche nelle leggi e nel linguaggio istituzionale e politico è un fatto: si pensi al Jobs Act, alla flat tax, al lock down negli anni del covid…

Secondo le ultime stime dal 2000 ad oggi “il numero di parole inglesi confluite nella lingua italiana scritta è aumentato del 773 %: quasi 9.000 sono gli anglicismi attualmente presenti nel dizionario Treccani su circa 800.000 parole in lingua italiana. Da un confronto tra gli anglicismi registrati nel dizionario Devoto-Oli del 1990 e quello del 2022, per esempio, si è passati da circa 1.600 a 4.000, il che porta a una media di 74 all’anno”.

Un vero e proprio “degrado” quello dei “forestierismi ossessivi” che rischiano “nel lungo termine di portare a un collasso dell’uso della lingua italiana fino alla sua progressiva scomparsa”. In Italia “non esiste alcuna politica linguistica, anzi, il linguaggio della politica, nel nuovo millennio, si è anglicizzato sempre di più”, dicono i promotori della proposta di legge.

Anche il linguaggio comune, se per questo. Basta accendere la Tv e seguire qualunque programma sia politico, di intrattenimento o sportivo, per rendersene conto. Termini come task force, outfit, look, feed, exit strategy, video chat, video check, sono frequentissimi, poi ci sono le espressioni “composte” tipo palla in out per dire palla fuori nelle partite di calcio… E’ vero che off side al posto di fuorigioco lo diceva anche Nando Martellini, forse addirittura Niccolò Carosio nelle telecronache d’antan o Sandro Ciotti a Tutto il calcio minuto per minuto… E’ vero che il termine turn over lo utilizzavano anche allenatori come Liedholm o Sacchi e pure i sindacalisti di Cgil-Cisl e Uil  ai tempi di Lama Carniti e Benvenuto…

Sono decenni ormai che le camminate sono diventate trekking e le corsette jogging…  Ormai la preparazione di un matrimonio si chiama wedding planning, l’aperitivo è un happy hour, la bande giovanili delle baby gang…

Gli anglicismi ci stanno colonizzando, dal punto di vista linguistico? Se fosse solo un problema linguistico, alla fine poco male.

Probabilmente anche questo è un effetto del “villaggio globale”, se non dici outfit invece che vestito, sei fuori, sei antico, inadeguato. E tutto ciò è segnale preoccupante di sudditanza culturale, non solo linguistica.  Che poi usare o meno certi termini sia sinonimo di conoscenza e padronanza dell’inglese è tutta un’altra storia. Noi italiani siamo tra i più restii ad imparare le lingue altrui.

Che si usi l’italiano nelle leggi e nelle pratiche della pubblica amministrazione è il minimo, non ci dovrebbe essere neanche bisogno di rimarcarlo. Del resto altri Paesi – vedi Francia e Spagna –  hanno adottato dei provvedimenti rendendo obbligatorio, tramite una modifica della Costituzione, l’utilizzo della loro lingua madre, per esempio “nelle pubblicazioni del governo, nelle pubblicità, nei luoghi di lavoro, in ogni tipologia di contratto, nei servizi, nell’insegnamento nelle scuole statali e negli scambi commerciali”.

Però non vorremmo che la crociata lanciata da Fratelli d’Italia fosse l’ennesimo “diversivo” per non parlare dei problemi della gente, delle risposte mancate del Governo, degli scivoloni, dei ritardi nei progetti per avere i fondi del Pnrr. E non vorremmo che fosse anche l’ennesimo tentativo, di “marcare il territorio”, facendo capire, a chi non lo avesse ancora chiaro, da dove vengono Rampelli i suoi Fratelli d’Italia e quale è il loro pedigree…

m.l. 

Nella foto (Quotidiano Nazionale) l’on. Fabio Rampelli, Fratelli d’Italia

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