L’ex presidente, Luiz Inacio Lula da Silva, leader della sinistra brasiliana, ha vinto le elezioni presidenziali in Brasile, battendo il presidente in carica Jair Bolsonaro.
Margine ristretto per Lula, ma sufficiente per essere rieletto presidente: 50,83%, 60 milioni e 345mila voti, contro il 49,17 e 57 milioni e 600 mila voti di Bolsonaro. Il presidente fascista e sovranista di origini italiane è il primo presidente a perdere un’elezione presidenziale. La sua linea di estrema destra è stata sconfessata dal voto, anche se lui non ha ammesso la sconfitta e potrebbe contestare il risultato… Lula, presidente dal 2003 al 2010, poi addirittura incarcerato a Curitiba e privato dei diritti politici, con una condanna a 12 anni e un mese per corruzione e riciclaggio è stato prosciolto nel marzo 2021 dopo aver fatto comunque 580 giorni di carcere. Adesso torna presidente. Per Bolsonaro un colpo duro. Per Lula una bella rivincita. Anche se dovrà fare i conti con un Brasile diviso a metà come una mela e con un avversario battuto, ma di pochissimo.
L’America Latina sta svoltando a sinistra. La vittoria di Lula conferma la tendenza.
Gabriel Boric in Cile, Pedro Castillo in Perú, Luis Arce in Bolivia, Alberto Fernandez in Argentina, Gustavo Petro in Colombia. Poi Xiomara Castro in Honduras, Manuel Lopez Obrador in Messico e adesso di nuovo Ignacio Lula Da Silva in Brasile. Tutti presidenti con posizioni politiche riconducibili alla sinistra, democraticamente eletti. Poi Maduro in Venezuela, Daniel Ortega Saavedra in Nicaragua e Miguel Diaz Canel Bermudez a Cuba, che sono espressione di realtà diverse, che qualcuno in occidente definisce dittature o comunque governi autoritari. Di sinistra anche quelli. Ma se Cuba, Nicaragua e Venezuela non sono più considerati “modelli”, ma residui di un passato che stenta a passare, gli altri Paesi citati, sono oggi come oggi, “la sinistra del nuovo secolo”. Gli unici tentativi al mondo di rimettere in discussione i modelli imposti dal liberismo selvaggio e predatorio e di provare a mettere in campo politiche di redistribuzione della ricchezza e difesa dell’ambiente, cosa che in Latino America è stata per secoli una chimera. Il continente è stato depredato delle ricchezze, massacrato dal punto di vista ambientale, si pensi alla distruzione dell’Amazzonia, per arricchire multinazionali e paesi occidentali…
Adesso in tutta l’America Latina solo Uruguay, Paraguay ed Ecuador, che sono gli stati più piccoli sono governati dalla destra. Tutto il resto si sta colorando di rosso, anche se un rosso più moderno, più pop, con meno contraddizioni rispetto alle esperienze di Cuba, del Nicaragua e del Venezuela che comunque, nonostante le contraddizioni, riescono a sopravvivere a embargo e a pressioni politiche, militari, economiche indicibili.
Nei primi anni ’70 del ‘900 ci aveva provato Salvador Allende in Cile il Paese più operaio e più “europeo” del continente e sappiamo come finì. Ci ha provato Mujica in Uruguay tra il 2010 e il 2015, ci provò Chavez in Venezuela e anche Evo Morales in Bolivia a cambiare certi meccanismi. L’occidente non è stato a guardare e così come nel ’73 gli Usa contribuirono al colpo di stato di Pinochet contro Allende in Cile, anche più recentemente, nel 2020, un ex ministro della difesa alcuni ufficiali boliviani hanno pianificato un colpo di stato per impedire l’insediamento di Luis Arce e annullare le elezioni, reclutando mercenari americani… Lo ha rivelato nel 2021 il sito investigativo The Intercept. Il tentativo non andò a buon fine, perché anche i golpisti non sono più quelli di una volta.
L’America latina che si tinge di rosso e rilancia le idee della sinistra, non è quella ipotizzato da Fidel Castro, con Chavez, Morales e Ortega negli anni ’90, ovvero il sogno della rivoluzione bolivariana del 21esimo secolo… E’ una risposta democratica e popolare alle politiche neoliberiste e sovraniste, una risposta basata, come dicevamo, su redistribuzione del reddito, tutela ambientale e difesa della salute e del potere di acquisto delle popolazioni. E sul pacifismo. Una sorta di via socialdemocratica alla sudamericana, che ricorda l’autogestione della squadra brasiliana del Corinthians e le riflessioni di Sepulveda, Soriano e Paco Ignacio Taibo II. E’ una musica nuova che mixa il tango con la salsa e il samba, un nuovo ritmo unificante. Sembra quasi che il vento gelido che spazza la pampa e i porti cileni e la brezza calda e umida delle spiagge caraibiche e carioca siano lo stesso vento… Un vento buono.
Dopo la parentesi nera di personaggi come Jair Bolsonaro, è una musica liberatoria.
m.l.
“Hanno cercato di seppellirmi vivo, ed eccomi qui”. Così si è espresso il rieletto Presidente Luiz Inácio Lula da Silva, 77 anni, ex sindacalista, ieri sera in un discorso a tratti emozionante a San Paolo, dove erano convenuti a centinaia di migliaia, i suoi sostenitori.
Sono parole che lasciano intravvedere certo la sua soddisfazione per il risultato, ma attraverso le quali ha voluto dare uno schiaffo a tutto quel ciarpame di Destra politica fascistoide, a quei gruppi clericali come gli Evangelisti, che vorrebbero riportare indietro le lancette della storia, cancellare la stagione dei Diritti civili e sociali, che proprio con lui agli inizi degli anni 2000, avevano cominciato ad affermarsi. Sì i cattolici in questa tornata elettorale, si sono profondamente spaccati. Con Lula i cattolici progressisti, quelli che si riconoscono nell’opera riformatrice di papa Francesco, nei valori di una sinistra come è quella attuale Sud Americana, che da anni oramai non guarda certo più alle esperienze di Cuba, Nicaragua ed altri Paesi. Insomma, nessuna “Dittatura del Proletariato”, ma una sinistra socialdemocratica, che ha due obbiettivi davanti a se: il primo produrre ricchezza e i Paesi dell’America Latina ne hanno tutte le condizioni, per poi ridistribuirla attraverso la nascita di Stati sociali, Diritti dei lavoratori, ricerca scientifica da mettere a disposizione dell’imprese e della società civile tutta, difesa dell’ambiente e trattare con le multinazionali le modalità della loro presenza in quel continente, del loro agire finora va detto, improntato alla rapina. A questo proposito va sottolineato un dato drammatico ai fini della difesa ambientale. I quattro anni del governo di Destra Bolsonaro, hanno visto la cancellazione di un’area della foresta amazzonica, pari all’intera Lombardia e Veneto e la conseguente soppressione di tantissime comunità indios che in essa da sempre vi abitano.
Durante l’ultima campagna elettorale Lula ha detto che se avesse vinto le elezioni avrebbe governato per tutti i brasiliani, ma che «i poveri avranno la priorità». E i poveri con Bolsonaro, hanno ripreso a crescere di numero in modo esponenziale. Non nascondo una mia preoccupazione: quella legata al fatto che Bolsonaro ancora non ha riconosciuto la vittoria di Lula. Non vorrei che essendo legato agli ambienti militari più reazionari di quel Paese, fosse tentato di provare a percorrere una qualche avventura.
E’ una vittoria di speranza democratica. Però, il Brasile che Lula si trova ad amministrare è un paese che ha visto vincere i sostenitori di Bolsonaro nelle elezioni periferiche e governative di un mese fa. Lula si ritrova di fronte un Congresso ostile e l’ostilità degli stati più ricchi (amministrati dalla destra). Si aggiunga a questo quadro l’aver vinto con una coalizione ampia ma non molto coesa e avremo la ricetta per una situazione fortemente problematica. Spero che riesca a lavorare serenamente e che possa risollevare una situazione davvero molto compromessa, ma temo che sia una mia pia illusione.