IL VOTO DEL 25 SETTEMBRE: LA CORSA AL CENTRO DEL PD, I MAL DI PANCIA DELLA SINISTRA E I DUE “POLI PROGRESSISTI”
Il 25 settembre si vota per eleggere il parlamento. Per la prima volta in assoluto, tutti voteranno sia per la Camera che per il Senato, mentre in passato solamente chi aveva compiuto 25 anni poteva votare anche per il Senato. Quello che cambia, di molto, è il numero di parlamentari eletti: solo 600, invece dei precedenti 945. In seguito alla recente riforma il numero di nostri rappresentanti alla Camera scenderà da 630 a 400 deputati mentre al Senato da 315 a 200.
I parlamentari verranno eletti con un mix di maggioritario e proporzionale, con una prevalenza per quest’ultimo. Un terzo dei seggi di Camera e Senato viene infatti assegnato con il maggioritario, attraverso i collegi uninominali, nei quali vince chi prende più voti. Gli altri due terzi vengono invece assegnati con la quota proporzionale, che determina l’attribuzione di due o più seggi per ogni collegio.
Una volta arrivati al seggio, quindi, riceveremo tutti due schede: una per la Camera e una per il Senato. Per ogni coalizione vi troveremo stampata la lista singola o un candidato al collegio uninominale e accanto ad ogni simbolo la lista (breve) dei candidati per la parte proporzionale, il cosiddetto “listino bloccato”. Basta tracciare una X sul simbolo della lista o sul nome del candidato dell’uninominale. Nel primo caso, il voto sarà esteso in automatico anche al candidato dell’uninominale collegato mentre nel secondo caso sarà conteggiato in automatico, in modo proporzionale, anche sui partiti della coalizione. In ogni collegio uninominale sarà eletto chi ha la maggioranza dei voti. Non è previsto il voto disgiunto, ovvero la possibilità scegliere un candidato all’uninominale non collegato alla lista per il proporzionale.
Se invece al voto proporzionale si vuole scegliere un partito specifico all’interno di una colazione, basterà tracciare la X sulla lista desiderata, così da favorire i candidati di quella specifica lista. A ogni modo, la scelta di un partito nella parte proporzionale garantirà il voto anche al candidato della parte uninominale che il partito votato sostiene, anche senza X sul suo nome presente. I singoli candidati possono presentarsi solo in un collegio uninominale e al massimo in cinque proporzionali.
Il “Rosatellum”(la legge lettorale) prevede due sbarramenti percentuali. Per la parte proporzionale, ottengono dei seggi solo le liste che ottengono almeno il 3%. Per le coalizioni, la soglia sale al 10%. Se un partito fa parte di una coalizione, ma ottiene meno del 3%, i suoi voti vengono ridistribuiti in modo proporzionale alle altre liste della medesima coalizione che invece superano la soglia il 3%. Se invece un partito non ottiene nemmeno l’1%, i suoi voti finiscono nel nulla.
Al momento non è chiaro quante e quali saranno le coalizioni o i partiti in lizza. La destra, pur con defezioni e qualche distinguo sembra abbastanza compatta, con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia accreditati come forza trainante. Nel fronte avverso, l’accordo Letta-Calenda- radicali (Della Vedova-Bonino) doveva allargarsi anche a Sinistra Italiana e Verdi, ma dopo i veti di Calenda e le proposte programmatiche che quest’ultimo ha fatto inserire nel programma (i rigassificatori per esempio) i due partiti hanno fatto saltare l’incontro con Letta previsto ieri e in una nota esprimono «un profondo disagio registrato comunemente nel paese e in particolare nel complesso dell’elettorato di centrosinistra, che ha cuore la difesa della democrazia, la giustizia climatica e sociale». Rispetto ai giorni precedenti, spiegano, «sono cambiate le condizioni» per questo «sono in corso riflessioni e valutazioni che necessitano di un tempo ulteriore». Tra le novità che sembrerebbero tentare Verdi e Sinistra italiana c’è l’’apertura di Giuseppe Conte. Per il leader del M5s ci sarebbero tutte le condizioni per realizzare un’alleanza con la sinistra, puntando sui temi ambientali e sociali che proprio l’accordo con Calenda rischia di minare: «Con le persone serie – ha detto Conte – che vogliono condividere l’agenda sociale con noi c’è sempre la possibilità di farlo».
Insomma il “campo largo progressista” di cui Letta ha parlato per mesi, per poi ridursi a scegliere il campetto centrista e bellicista con Calenda e Bonino e gli ex Forza Italia (Brunetta Gelmini…) e Di Maio, potrebbe farlo il M5S insieme ai cespugli della sinistra e dell’ambientalismo che Calenda ha messo fuori dalla porta. Ma i poli progressisti potrebbero essere addirittura due.
Sul fronte sinistro ci sarà infatti (in molti collegi se non in tutti) anche Unione Popolare, il rassemblement lanciato dall’ex sindaco di Napoli De Magistris insieme a Potere al Popolo e Rifondazione Comunista e qualche altro sodalizio. Nel collegio di Siena, per esempio, Unione Popolare vede solo Potere al Popolo e Rifondazione.
Non il PC di Rizzo che ha scelto una deriva più marcatamente “rossobruna” e populista con il filosofo Fusaro e alcuni movimenti no vax ed ex leghisti. Correrà in proprio, come probabilmente farà Renzi con Italia Viva.
Si vota con le liste bloccate, senza preferenze, i posti da assegnare nei listini sono pochi, anche per il taglio ai parlamentari, i partiti maggiori (tipo il Pd) non sono più nelle condizioni di assicurare diritto di tribuna e seggi a tutti i possibili alleati… I tempi strettissimi e in piena estate rendono difficilissima anche l’individuazione di candidature “di territorio”, capaci di fare da attrattori di voti nei singoli collegi, magari figure “indipendenti”, di frontiera, gente con storie riconoscibili e conosciute alle spalle. Problema questo quasi insormontabile per le forze minori, meno radicate o presenti solo a macchia di leopardo nelle realtà locali…
Una coalizione Pd-Sinistra-Verdi e M5s, con qualche puntello centrista avrebbe potuto forse giocarla la partita con il centro destra e avrebbe potuto costituire la base per costruire qualcosa di più strutturato per il futuro. L’alleanza Letta-Calenda-Bonino parte battuta in partenza e appare poco diversa (troppo poco diversa) dal centro destra propriamente detto. E per il futuro si configura come una piccola Dc depurata di ogni riferimento alla sinistra. Quanto il popolo Pd sia disposto a digerire questa prospettiva lo dirà il voto.
Se l’ipotesi del “campo progressista” costruito sull’asse M5s (ormai depurato della componente populista e di destra che si è accasata altrove) – Sinistra Italiana-Verdi andasse avanti e, anche dopo le elezioni (se non per il voto), trovasse un accordo con l’area di Unione Popolare, potrebbe anche prefigurarsi un polo alternativo al neocentrismo, antagonista rispetto alle politiche ultraliberiste e guerrafondaie, attento alle questioni sociali e ambientali…
Purtroppo al momento questa è solo una ipotesi alquanto labile, la realtà è una frammentazione che non ha molto senso. Troppi galli in un pollaio sempre più angusto e malmesso. O se volete troppi pollai tenuti insieme con lo spago e pieni di falle…
Lo spettro di una astensione a livelli record aleggia sul voto del 25 settembre più di ogni altra volta in passato. Il Non Voto potrebbe avvicinarsi o superare la soglia del 50%. Per un paese democratico in cui “la sovranità appartiene al popolo”, non sarebbe un segnale incoraggiante.
Una vittoria del centro destra, con il partito erede dei neofascisti capofila, è una prospettiva che fa venire i brividi, ma paradossalmente potrebbe essere anche la molla per spazzare dal campo gli equivoci centristi, per mandare a casa definitivamente chi ha ridotto la sinistra in queste condizioni e per ripartire con qualcosa di nuovo, un po’ come ha fatto Melenchon in Francia, nella speranza che i galli si mettano d’accordo e decidano di marciare insieme e non più in ordine sparso.
m.l.