UN FILMETTO DISSACRANTE GIRATO A CHIUSI 47 ANNI FA CHE MERITA DI ESSERE RIVISTO
CHIUSI – Dopo la mezzanotte, Rete 4 propone dei film d’essai. Roba di nicchia, diciamo. Non solo per nottambuli, anche per cinefili. La notte scorsa (sarebbe meglio dire questa mattina, perché era già passata l’una) ha riproposto un film che ogni tanto riaffiora e che quando uscì, nel 1974, venne presentato come un filmetto del genere erotico che allora andava di moda… Non essendoci ancora internet e Pornhub, il massimo di pruriginoso che si potesse vedere su uno schermo erano le forme prosperose e gli sguardi ammiccanti di Edwige Fenech.
Il film in questione si intitola “Nipoti miei diletti” (e il titolo è in effetti un po’ ammiccante, come lo era il manifesto che lo pubblicizzava), diretto da Franco Rossetti, maestro degli “spaghetti western”.
Nel cast una Adriana Asti nelle vesti (e sottovesti) di una zia prosperosa e generosa, ma pure pacifista e vagamente antifascista, poi Marc Porel, Mattia Sbragia, Romolo Valli, Luciano Salce, Maurizio Bonuglia, Renzo Palmer e Gianluigi Chirizzi, il giovane che un anno prima aveva fatto il protagonista di “Malizia” di Samperi con Laura Antonelli.
Non un filmone memorabile. Ma neanche solo un “filmetto di genere”. Sì, qualche scena leggermente peccaminosa c’è, ma vista oggi fa sorridere.
Infatti al di là degli aspetti erotico-pruriginosi che all’epoca ne fecero parlare abbastanza, il film di Rossetti, che è ambientato alla metà degli anni ’30, quindi in pieno “ventennio” è anche una denuncia dell’ipocrisia del regime fascista, della retorica militarista, un grido contro la follia della guerra. E la scena finale con lo streeptease di Adriana Asti in mezzo alla folla alla stazione, per cercare di convincere i ragazzi in camicia nera che stavano partendo volontari per la Guerra di Spagna, anticipa di 40 anni i flash mob delle “femen” davanti ai grandi del mondo… E anche Adriana Asti pur sforzandosi non riesce nell’intento. Anche la sua è una battaglia persa.
Il film, pur senza avere nessuna velleità politico-militante, come certe pellicole di quello stesso periodo, demolisce comunque il perbenismo, il benpensantismo e, appunto, l’idelogia di un regime fondato sul motto “Dio, Patria e famiglia” che però vede i suoi gerarchi lasciare le mogli a casa e affollare tutte le sere il “casino”.
E pure le peripezie della bella zia Adriana Asti per sedurre i tre giovani nipoti (che poi saranno 4) infatuati dalla propaganda mussoliniana, non sono solo tentativi di soddisfare le proprie voglie, come direbbe De André, ma un modo per cercare di convincere i tre giovani a non arruolarsi, a non andare in guerra, perché la guerra è una pazzia… In tutto ciò c’è spazio anche per qualche episodio di rozza violenza del regime, per la facilità di corruzione dei federali e dei gerarchi, per qualche frecciatina all’ipocrisia dei preti e di una chiesa spesso allineata con chi comanda…
Ma perché ne parliamo? ne parliamo perché “Nipoti miei diletti” è ambientato in un ipotetico paese della provincia toscana, non lontano da Pisa, ma fu girato quasi per intero a Chiusi. E Chiusi compare in molte scene. Così come vi compaiono come comparse alcuni personaggi chiusini indimenticabili: “Il canuto” con il suo inseparabile cavallo, oppure Giuseppe Masci, detto Beppe, dirigente del Pci che portava i baffi e somigliava a Stalin, il quale per qualche fotogramma segue attento una partita di biliardo in un fumoso bar del paese.
E’ interessante rivedere oggi il film di Rossetti, perché si vede una Chiusi diversa da come è adesso. Una Chiusi che nel 1974 portava anche nel centro storico i segni del boom e soprattutto di una ricostruzione post bellica che fu necessariamente frettolosa. Si vede ad esempio Via Porsenna (il corso principale della città vecchia) asfaltata e non pavimentata. Si vede una piazza del Comune più grigia, meno curata nelle facciate… Il fatto che il regista volesse riprodurre un quadro che richiamasse il periodo fascista, cioè la città di 40 anni prima, c’entra poco, perché Chiusi nel ’74 era effettivamente in quel modo. D’altra parte era uscita dalla guerra con più del 90% degli edifici lesionati… Buona parte del film è girato nella bella villa settecentesca di Dolciano, è lì che la procace zia invita e seduce i suoi nipoti. Altre scene sono girate ai giardini del Prato, in via Arunte… Ce n’è una in cui si vedono dei bambini con il grembiulino scolastico, bambini che oggi avranno quasi 60 anni… E anche Adriana Asti che all’epoca del film era una bella quarantenne ancora molto tonica, oggi di anni ne ha 90 suonati…
Durante le riprese e anche dopo l’uscita del film molti di coloro che fecero le comparse non ne parlavano volentieri, ne avevano quasi pudore, proprio perché si era diffusa l’idea che fosse, come dicevamo all’inizio, un filmetto erotico poco edificante. Una pellicolaccia di cui andare poco fieri. Alcuni nel frattempo saranno morti con quel dubbio. Invece pur non essendo un film da Oscar, resta un film che si può vedere e che ha pure un suo perché. Con una “morale” non banale. Lo abbiamo rivisto volentieri anche perché gli stessi attori se ne sono già andati quasi tutti (Salce, Bonuglia, Valli, Porel, Palmer…) e rivederli è stato un piacere. E Adriana Asti, grandissima attrice di teatro, in sottoveste e a tette al vento non ce la ricordavamo…
m.l.
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Oltre a coloro che il direttore ha nominato, ci furono anche Mario Fè Marini che ebbe un ruolo importante come organizzatore e trova robe,importante anche un altra Chiusina doc, che poi era la moglie del regista, Gaia Romanini, che era un’affermata costumista e aveva lavorato per altri grandi registi. Ci fu anche un giovane quattordicenne Chiusino, che fece la controfigura del protagonista Marc Porel nelle scene a cavallo, del quale non ricordo il nome.
Fu un bel momento, sicuramente quel film, ebbe più successo di altri girati a Chiusi, a parte Quanto Basta.