ORIZZONTI: IL DIO DEL MASSACRO E’ SEMPRE IN AGGUATO
CHIUSI – Prosegue a gonfie vele il festival estivo chiusino.
Ieri sera martedì 3 agosto ORIZZONTI ha proposto Il Dio del massacro, una commedia della scrittrice e drammaturga francese Yasmina Reza, che racconta dell’incontro di due famiglie riunitesi per parlare di un episodio di violenza avvenuto al parco vicino casa tra i rispettivi figli. Ua cosa che può capitare. E capita. Spesso.
Un cast decisamente frizzante e sincronico quello diretto da Manfredi Rutelli per una delle diverse versioni italiane della commedia: Enrica Zampetti, Mihaela Stoica, Gianni Poliziani e Alessandro Waldergan, intervallati dalle musiche originali del Maestro Paolo Scatena hanno intrattenuto un pubblico numeroso e attento nella meravigliosa cornice di Piazza Duomo.
Un teatro impegnato e ben riuscito il loro, attraverso il quale sono stati messi in luce i paradigmi del vivere odierno; i personaggi che ci vengono presentati sono una sorta di nostri alter-ego, appartengono ad una benestante borghesia dove oltre al benessere economico albergano sterilità di sentimenti, angoscia, mancanze e frustrazioni.
Il mondo che emerge dai loro dialoghi è inquieto e frammentato; nello svolgersi dell’azione scenica l’episodio di violenza avvenuto tra i figli, che doveva essere al centro della loro attenzione, si fa sempre più marginale e lascia spazio ad un dominante e dilagante senso di incomunicabilità dei protagonisti.
Vi è una lenta deformazione, un degrado del contesto culturale in cui si muovono protagonisti, i quali da un equilibrio iniziale apparente si trovano catapultati in una sorta di guerra dei Roses, dove la deformazione delle coscienze emerge per gradi, prima lentamente poi con ritmo incalzante, come se l’ IO freudiano lasciasse sempre più spazio alla parte irrazionale che alberga in ognuno di noi, l’ES .
Questo sovvertimento delle coscienze è accompagnato costantemente da sentimenti negativi, disagio, contraddizione, squallore, orrore.
Un grottesco stridente si fa strada passando da una situazione dialogica iniziale apparentemente perfetta per arrivare ad una sorta di apocalisse finale dove emerge la consapevolezza che “il Dio del massacro governa indiscusso dalla notte dei tempi”.Ogni riferimento alle vicende politico-amministrative e anche… familistiche di Chiusi è puramente casuale. Lo spettacolo è già stato proposto altrove e in tempi non sospetti…
Alessandro Waldergan, è l’avvocato Alain, è lui a portare la piece verso il climax, dopo il quale nessuno dei personaggi sarà più quello di prima.
Ognuno mostrerà il suo lato più oscuro e sommerso, una volta rotto il velo protettivo del politically correct tutto è permesso.
Sì può dare libero sfogo alla bile vomitando sul tavolo del soggiorno, si può buttare un cellulare disturbante e scomodo dentro un vaso di tulipani, si può arrivare a picchiare il proprio marito nonostante nel quotidiano ci si batta per la pace e per mantenere gli equilibri del mondo.
Una realtà perversa quella nella quale si muovono i personaggi di questa storia o forse semplicemente la realtà di tutti e di sempre, dove ci si scopre fragili e feroci allo stesso tempo, dove realizziamo che non siamo perfetti e nonostante il nostro impegno apparente alla fine siamo tutti carenti e umanamente incompleti.
Anche i rapporti che si instaurano con gli altri esseri umani alla fine provengono dalla stessa matrice, amicizia, famiglia, amore , ognuna di questa entità manca in qualcosa, tolleranza, vicinanza, rispetto.
Un padre butta fuori di casa il criceto della figlia perché non sopporta i roditori, un altro antepone il lavoro ai problemi causati dal figlio, una madre è intenta a salvare il mondo non vedendo il disagio di chi le vive accanto.
Un marito denuncia:” Credo che la vita di coppia sia la prova più disumana che Dio ci abbia imposto”.
E’ con queste parole che Poliziani dà un altro colpo di coda ad un processo di svelamento che si fa sempre più incalzante e spietato; un’idea di disordine sentimentale e di caos emotivo accompagna i personaggi all’epilogo della storia.
Una sorta di negazione di armonia porta gli animi ad un gioco con l’assurdo spietato e destabilizzante dove ognuno è vittima di se stesso poiché incapace di vedere l’altro come parte integrante della sua stessa esistenza.
Le luci si abbassano su una scena immobile, statica, immutata dall’inizio alla fine, esattamente come le coscienze dei personaggi che mai si interrogano quanto piuttosto denunciano, giudicano, agiscono in nome di un Dio per niente indulgente e misericordioso quanto piuttosto dell’eccidio e della rovina.
Notevole il cast, così come le musiche e la regia.
Una piace intelligente ed acuta che ha sicuramente dato una scossa anche a chi non ha l’abitudine ad interrogarsi su niente; pungere, stimolare, portare a galla, far affiorare il sommerso affinché si sveglino e cambino le coscienze è uno dei compiti del teatro, guardiamolo, sosteniamolo, seguiamolo, soprattutto quando è ben fatto.
Paola Margheriti