100 ANNI FA LA SCISSIONE DI LIVORNO E LA NASCITA DEL PCI. FORSE E’ L’ORA DI SUPERARE QUELLA FERITA
Oggi è il 21 gennaio. Esattamente 100 anni fa nasceva a Livorno il Partito Comunista d’Italia. Sembra un secolo, verrebbe da dire, con una battuta. Anche due. Io sono stato comunista, iscritto e militante del Pci tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80. Praticamente dai carrarmati nelle strade di Bologna alla morte di Enrico Berlinguer. E sono tutt’ora un comunista non pentito, senza tetto, orfano di una politica in cui mi riconoscevo e che oggi non c’è più. Per anni ho considerato il 21 gennaio una specie di “festa nazionale”, come il 25 aprile, il 1 maggio perché consideravo il Pci non solo un grande partito che ha dato speranza a milioni di italiani, ma anche un pezzo importante, fondamentale della ricostruzione democratica dell’Italia. Il Pci che ho conosciuto io non era più dogmatico e filosovietico, ma certamente lo è stato. E quello non mi piaceva, perché si capiva da lontano che l’esperienza del socialismo reale era un fallimento. Peggio ancora il comunismo cinese… Ma il Partito Comunista Italiano era un’altra storia.
Anche la scissione di Livorno di 100 anni fa, pur segnando la nascita di del grande partito di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer, oggi lo posso dire, ed è certamente più facile dirlo oggi, u secolo dopo, fu probabilmente un errore e la madre di molti altri errori successivi. Ho parlato di scissione, perché il P.c. d’Italia poi Pci, nacque da una scissione del Psi che era a congresso a Livorno. A 4 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre la componente “leninista” del Psi decise di mettersi in proprio temendo una deriva riformista e “molle” del Partito socialista, che in realtà non era affatto riformista e con Giacinto Menotti Serrati era più comunista dei comunisti. In secondo luogo, la nascita del Pci si attribuisce spesso al pensiero lungo e lucidissimo di Antonio Gramsci, ma il capo e principale fautore della scissione e primo segretario del Pci fu Amadeo Bordiga, un ingegnere napoletano serissimo e seriosissimo, più massimalista e certamente più dogmatico di Gramsci. Ma l’errore principale, contenuto nell’atto di scissione, fu la rottura del fronte socialista,di fronte alla marea nera che stava montando e che si era già manifestata nel biennio rosso 1919-20, con le violenze contro gli operai e che di lì a poco (meno di 2 anni) con la Marcia su Roma avrebbe preso il potere… Un errore di comprensione della realtà e di certe dinamiche, un cedimento all’ideologia e al dogmatismo rivoluzionario per cui se la Rivoluzione era stata fatta in Russia si poteva fare anche in Italia e ovunque, una sottovalutazione del nemico in Italia. Un’Italia che non era la Russia neanche nel 1921. Il Manifesto dei Comunisti di Marx ed Engels, si concludeva con l’esortazione “Proletari di tutto il mondo unitevi!” A Livorno nel ’21, i rappresentanti dei proletari italiani si divisero. Anche questa mi è sempre sembrata una contraddizione. Tra l’altro il pensiero di Gramsci, letto a posteriori, mi è sempre sembrato un pensiero tutt’altro che divisivo, scissionista, dogmatico…
Il Pci e i comunisti seppero poi dare un contributo decisivo all’antifascismo, alla Resistenza, alla stesura della Costituzione Repubblicana e alla ricostruzione, e anche all’affermarsi della cultura democratica e alla cultura in generale, nella letteratura, nelle arti, nel cinema… Ma l’atto di nascita del Pci resta, a mio parere, una ferita che nonostante qualche tentativo, non si è mai rimarginata. E che, col senno di poi, sarebbe stato meglio evitare.
Nella sua memorabile “Qualcuno era comunista”, Giorgio Gaber ad un certo punto dice… “Qualcuno era comunista perché… abbiamo avuto il peggior partito socialista d’Europa”… In parte è vero. Se si pensa al finale di partita del Psi, con il craxismo prima imperante, poi naufragato tra gli scandali, con Craxi che muore da latitante in Tunisia, viene da pensarla come Gaber che se non ricordo male disse anche di aver votato socialista qualche volta…
Il Psi di Craxi e dei suoi alfieri è finito male, malissimo, ha usato l’anticomunismo viscerale per sdoganare una politica basata sui soldi e sull’occupazione dei posti di potere più che sugli ideali, poi ha sdoganato anche personaggi come Berlusconi. Ma il Psi è stato anche altro, molto altro. E non solo nei primordi. Anche dopo, anche nel dopoguerra. Ha avuto figure di grande rilievo come Nenni, Morandi, De Martino… Le nazionalizzazioni operate dai primi governi di centro sinistra (quella dell’energia elettrica per esempio) fu opera del pensiero economico socialista e di economisti come Giolitti e Ruffolo, lo Statuto dei lavoratori porta la firma dei socialisti Brodolini e Giugni. Il Psi è stato più laico del Pci, non a caso la legge sul divorzio è anche quella firmata da un socialista, Loris Fortuna…
Il Pci non era da meno, aveva i suoi leader, i suoi economisti, i suoi intellettuali, ma su alcune questioni, ed era anche più radicato e presente nella società, ma su alcune questioni come i governi di centro sinistra e lo Statuto dei lavoratori sbagliò, e anche sul divorzio ci arrivò un po’ in ritardo… Lo dico da comunista.
Pci e Psi non ci sono più da 30 anni. Il Psi nominalmente esiste ancora, ma è un partitino minuscolo, il Pci non esiste più, ce ne sono un paio che usano la stessa ragione sociale, ma sono a vocazione minoritaria e sono anche negli slogan e nelle proposte più “antichi” del PcdI di Bordiga e Pietro Secchia. Quello vero, ufficiale, il Pci che fu sciolto da Occhetto è stato sostituito prima da Pds e Rifondazione (altra scissione), poi dai Ds, infine dal Pd che è la fusione a freddo tra gli ex Pci e gli ex Dc (negli anni ’60 non sarebbe stato neanche pensabile), con alcuni ex Dc che se ne sono andati di recente…
E se il Psi, pur con numeri irrisori, mantiene una sua identità storica, almeno formale, e non sembra più il partito rampante e un po’ yuppy dei craxiani, recuperando un po’ di quell’immagine romantica di una sinistra laica e riformista, ma non sbracata, il Pd è tutt’altra cosa rispetto al Pci. Non gli è nemmeno parente. Ne ha ereditato le sedi, in buona parte anche gli iscritti, ma ha un’anima e una “consistenza” ideale e politica del tutto diverse. Paradossalmente adesso è spesso il Psi a fare l’ala sinistra nelle coalizioni che resistono qua e là nei territori. Anche in questo territorio.
Questo a mio modesto parere dovrebbe essere un motivo di riflessione all’interno del Pd. E forse, a 100 anni da Livorno, potrebbe essere arrivato il momento per provare a ricucire quello strappo e a suturare quella ferita, rimettendo insieme i cocci di una sinistra che non è quella del 1921, e nemmeno quella degli anni ’60 o ’70… Non è quella di Craxi e Berlinguer e non le somiglia neanche. Ma di una sinistra c’è bisogno, perché è la sinistra che dà speranza alle persone e alle classi che stanno peggio, perché c’è ancora una razza padrona che vorrebbe vaccinare le persone per battere il covid, in base al Pil delle regioni, quindi in base al reddito.. Perché le privatizzazioni (che sono il contrario delle nazionalizzazioni del primo centro sinistra, fatte senza i comunisti) hanno fallito e hanno impoverito il paese, perché la sanità deve essere pubblica e gratuita, come la scuola, perché la meritocrazia spesso sbandierata non diventi l’anticamera di un nuovo classismo. Perché il lavoro è un diritto e non un lusso.
In Italia, in questo momento, il Pd è un partito spento, senz’anima e senza idee, senza leadership, ma nessun ragionamento “a sinistra” può prescindere dal Pd, perché è l’unica forza che ha dei numeri ancora accettabili. Per questo penso che dovrebbe recuperare dei valori, ancorarsi ad essi. Mantenere un legame e una unità d’intenti, io dico anche un progetto comune, con il pensiero e ciò che resta del Psi, ormai depurato dalle scorie del craxismo, potrebbe aiutare in tale direzione. Per superare la scissione di Livorno e ridare un senso e un obiettivo alla sinistra, anche nel governo dei comuni. Un punto di ripartenza.
Da comunista del Pci, non pentito, altre strade al momento non ne vedo, se non derive di pura testimonianza con contenuti stantii e velleitari, o derive populiste che strizzando l’occhio al “civismo” in realtà nascondono la voglia di fare a meno della politica e affidare il timone ai soliti notabili, come avveniva prima del ’21…
m.l.
Antonio Gramsci, Pci, pd, Psi
Piccolo commento da pare nostra, visto che oltre a questo, non abbiamo altro ma va bene così.
Siamo comunisti in questo piccolo partito in crescita, nato per rimanere saldamente legato a quell’idea di trasformazione della società nato al San Marco, rivendicando luci ed ombre della nostra storia senza porre alcun veto di qualche figura storica per compiacere la lettura borghese, ed oggi – improvvisamente – vediamo tornare tutti comunisti. Si, perché il centenario del partito che hanno distrutto o ignorato, oppure al quale non sono mai stati iscritti, che non hanno mai sostenuto, è oggi occasione ghiotta per ritagliarsi uno spazio che non gli appartiene, ne parla perfino chi come il Presidente della Regione Giani comunista non lo è mai stato (semmai socialista, appunto), oppure il consigliere Gazzetti che non si ricorda in nessuna piazza con una bandiera rossa in mano, ed hanno trovato casa proprio nel partito che il PCI lo ha cancellato. Quel partito che – ricordiamolo – in sede europea ha votato all’unanimità “l’equiparazione tra nazismo e comunismo” oggi vorrebbe ergersi ad erede del 1921?
E’ una kermesse ipocrita di persone che, evidentemente, o non hanno mai aperto un libro e letto gli interventi del Congresso del PSI del Goldoni, con i quali probabilmente erano molto più in accordo, ma soprattutto non hanno mai letto quelli del San Marco, occasione in cui il PCd’I nacque con una linea chiara ad oggi tradita da tanti, ma non da noi.
Noi che ancora siamo comunisti e lo rivendichiamo, senza se e senza ma, a prescindere dal centenario, perché intorno a noi ci sono innumerevoli ragioni per esserlo ancora, per noi oggi come ieri.
su Facebook il segretario provinciale del Pd, ANDREA VALENTI ha commentato questo articolo. Un commento appassionato del quale lo ringraziamo:
“Considerazioni interessanti e storicamente valide. Lo stesso Gramsci, a posteriori, parlò di dannazione storica. Servirono il fascismo, la repressione, una guerra e la resistenza per ricompattare PSI e PCI nel fronte popolare. Non durò. La dannazione continua, è un male atavico, verrebbe da dire – purtroppo – genetico. Naturalmente non condivido una parte della tua analisi, e non è una difesa di ufficio alla quale sono tenuto per il ruolo. Nella mia storia di militante e dirigente ho sempre agito con la massima libertà di pensiero anche nei confronti del mio Partito. Ma il Pd non è un partito spento, senz’anima, senza idee, senza leadership, con solo numeri accettabili che lo rendono imprescindibile. Se così fosse, i numeri non sarebbero neanche accettabili. Non ci sarebbero proprio. Che non ci sia leaderismo (che non è la stessa cosa di leadership, va bene) è solo un bene. Un partito serio è consapevole della transitorietà dei dirigenti, se diventa leaderistico si lega al destino del leader. Ci è successo, con alterni destini. Da clamorosi successi a altrettanto clamorosi tonfi. Il destino di un Partito non può che essere un destino collettivo. Io l’anima di questo partito la respiro ogni giorno. Nei suoi militanti, nei suoi dirigenti, nei suoi amministratori. Ci sono le idee e c’è una storia. Che è quella del socialismo europeo della cui famiglia siamo orgogliosamente parte , del cattolicesimo democratico, della cultura ambientalista, del progressismo moderno. Io di questi valori vado fiero. Grazie per aver condiviso il tuo scritto”.
Ne abbiamo parlato più volte, passeggiando per le vie di Chiusi, della nascita del PCI, della rottura con il PSI, del fatto che la sinistra, tranne che Gramsci e Turati, non si era accorta che stava arrivando il fascismo. Non aveva capito la sinistra nel suo complesso, che aver trattato come stupidi patrioti i tanti disperati soldati ritornati dal fronte tragico della Grande guerra, aveva finito per gettarli nella braccia del fascismo montante. Così la questione dei ceti medi, terrorizzati dal “biennio rosso”. Certo per il nascente PCI e non solo, la rivoluzione d’Ottobre, fu un’atttrattiva irresistibile: “Terra ai contadini”, “tutto il potere nelle mani dei soviet”, Fine della guerra. Parole d’ordine che per i disperati del tempo, diventavano vangelo. A rileggere oggi quelle pagine di storia, si capisce meglio il limite politico strategico che nel complesso ebbe tutto il movimento di sinistra, perché offuscato da una visione dottrinale ideologica, che vedeva massimalisti, oppure comunisti, riformisti, accapigliarsi su questioni ideologiche: uno schematismo, che non sapeva cogliere tranne nelle frange minoritarie riformiste del PSI, le articolazioni e la già molteplicità degli interessi che si muovevano nella società industriale nascente. Turati che avrebbe maturato di lì a poco, anche posizioni ancora oggi validissime sull’Unità dell’Europa, avvertiva tutto il limite dello spontaneismo operaio, e quindi concepiva il partito come un soggetto politico, in grado di organizzare una direzione politica del movimento. Così come la necessità di costruire un strategia articolata per una società come quella degli anni 1920, già era. Un accapigliarsi insomma fra gruppi, che tanto ricordavano i primi decenni del Cristianesimo in terra di Palestina. Quando tra gruppi tutti che si rifacevano alla figura immaginaria del Cristo, dandosele di santa ragione. Gruppi tutti chiusi nelle loro certezze dottrinarie e settarie. Poi arrivò Paolo di Tarzo, che capì che il potere stava a Roma e che se si voleva costruire un altro potere era lì che bisognava andare e iniziare a tessere una strategia in grado di dare un orizzonte alla nascente nuova religione. In tutto questo discutere e confrontarsi anche aspramente, singolare il comportamento di Gramsci, che pure faceva parte del gruppo bordighiano: al congresso di Livorno, se ne stette silente sul palco, chissà perché. Togliatti forse già aveva in testa la svolta di Salerno. Poi l’avvento del fascismo, l’esilio, la guerra civile in Spagna, che vide il riunificarsi della sinistra. Infine la seconda guerra mondiale, poi il ritorno della democrazia, il PCI che non guardava certo a Mosca come modello, anche se non lo diceva apertamente, ma intanto aveva fatto la svolta, così come aveva messo in campo una strategia tipicamente socialdemocratica. Raggiungere quindi il potere non con atti rivoluzionarti ma seguendo e difendendo la Carta Costituzionale. Poi la miopia, forse il rancore per non esserci, che tu ricordavi, quando nacque il Centrosinistra. Un atto politico, che a mio avviso, pure si saldava con la visione della conquista del potere attraverso il riformismo. Così come tutta l’arretratezza sui diricci civili. Ma anche gli anni 70/90, che vedono il PCI protagonista insieme ad una parte consistente di popolo e di forze politiche, Moro in prima fila, di un progetto per il cambiamento che trovò sulla strada il terrorismo, le trame eversive, che avevano un unico obbiettivo: fermare quel processo sociale e politico. In qualche medo a mio modo di vedere, ci riuscirono. La restaurazione che venne dopo con Berlusconi, ne è una testimonianza. Un racconto fatto a grandi passi certo, ma ora siamo dinnanzi ad una stagione che può essere foriera di cambiamenti. Il virus può rappresentare un’occasione per ripensare tutto un modello di sviluppo. Se questa è la sfida, allora è certo che le divisioni, i rancori, i prestigi personali alla Renzi, vanno gettai alle ortiche. Il ritorno di un grande soggetto politico, che sia in grado ricucire quella ferita aperta tanto tempo fa, di riaprire un dibattito articolato certo, ma orientato a costruire un orizzonte programmatico e valoriale diverso dall’attuale tutto incentrato sull’io, sull’uomo forte al comando. Insomma l’idolatria del PIL, può essere sconfitta, così come questo modello di globalizzazione può essere archiviato, sostituito con altri principi cooperativistici, un economia di mercato certo, ma solidaristica. Il neo Presidente Baiden, ha parlato in queste ore, della necessità di sostenere in tutto il mondo la lotta per i Diritti. Papa Francesco sta posizionando la chiesa su altre tematiche, che non dovranno più essere quelle dello scontro con la scienza, della morale da imporre, ma tornare a parlare dell’uomo, dei suoi bisogni, dei sui diritti, per metterlo in condizioni di vivere una vita dignitosa. Ecco, magari non lasciarlo solo, sarebbe cosa saggia e lungimirante.
VIA I TRADITORI!
Il Partito Democratico ha cercato, durante la giornata della nascita del PCd’I, di fare una passerella per cercare di ingannare ancora quelli che credono che loro siano gli eredi del glorioso Partito Comunista.
Nel 1991 hanno definitivamente girato le spalle all’esperienza comunista, passando da essere il partito per la difesa dei lavoratori al partito di confindustria in difesa delle banche e dei grandi gruppi industriali. Negli ultimi 20 anni hanno fatto le peggiori leggi antipopolari, distruggendo la sanità pubblica, trasformando il diritto allo studio sempre meno accessibile a tutti, riducendo al minimo storico i diritti dei lavoratori, arrivando persino, a cancellare l’articolo 18 e facendo gli interessi dell’Unione Europea e degli USA in Italia
Questo partito ha preteso di insultare la memoria, commemorandolo come se fossero i loro diretti eredi. Lo hanno fatto anche in maniera molto offensiva, commissionando questo evento ad Andrea Romano, un personaggio che inizialmente fu delfino di Montezemolo e politicamente figlio di Monti, quindi l’opposto di Antonio Gramsci e di tutti quelli che si rifanno al comunismo.
Questa volta volta il pd ha trovato sulla propria strada i militanti del Partito Comunista a ricordarglielo e sono dovuti scappare via con la coda tra le gambe. Per noi ogni giorno è il 21 gennaio, ogni giorno rompiamo con la socialdemocrazia e con gli opportunisti e lo ricordiamo e lo rivendichiamo sempre, non solo ogni tanto per una misera propaganda e per fregare qualcuno.
W ANTONIO GRAMSCI
W IL PARTITO COMUNISTA