CHIUSI: FESTIVAL ORIZZONTI, RIFLESSIONI A RIFLETTORI SPENTI
CHIUSI- E’ passata una settimana dalla fine del festival Orizzonti. A sipario chiuso e riflettori spenti proviamo a tirare un bilancio e a fare qualche valutazione di merito su quello che solo qualche anno fa veniva vissuto e presentato come il “momento di gloria” della città. Quando, nel 2017 la Fondazione (su input del comune) decise di abbandonare la strada sfavillante della gestione Cigni, tirando i remi in barca per evitare la bancarotta si aprirono le cateratte del cielo e non ci fu testata specializzata o di settore che non dipinse Chiusi come un fortino arroccato, che rinunciava al salto di qualità, alla ribalta nazionale e internazionale, per tornare ai livelli di paesello povero di spirito e preda di pressioni oscurantiste, oltre che della ancestrale paura di spendere soldi in cose effimere… Pressioni e paure che ci furono, indubbiamente, ed ebbero il loro peso (pure troppo), ma quella scelta che sembrò un passo indietro, un ritorno a volare più bassi, consentì di salvare un festival che avrebbe potuto saltare del tutto e far saltare il banco del Comune…
E infatti negli anni 2017, 2018, 2019 e 2020 il festival Orizzonti c’è stato. E ha proposto comunque cose decenti.
Quest’anno si è messo di mezzo pure il Covid 19 e il direttore artistico Gianni Poliziani, alla sua terza “edizione” dopo quella dello sfortunatissimo Roberto Carloncelli, ha dovuto fare praticamente un miracolo per farlo il festival, con pochissimi soldi (10 mila euro circa) e tutte le restrizioni dettate dall’emergenza sanitaria.
Come scrivemmo al momento della presentazione del cartellone, è stato un festival di “sopravvivenza”, di… resistenza culturale. Per non perdere l’abitudine, per tenere la piazza. Per assicurare in ogni caso qualche serata culturale alla cittadinanza.
E, ultimo, ma non per ultimo, anche per dare respiro, visibilità e un palco ad alcune realtà teatrali del territorio, che hanno avuto modo, così, di mettersi in vetrina. Parliamo però di realtà teatrali non volontaristiche, ma professionali, cioè di attori, registi e autori professionisti o semiprofessionisti. E un festival che fa scoprire (o sottolinea) che il territorio produce anche realtà del genere, ovvero delle “gemme” teatrali non è cosa di poco conto. Come non è cosa di poco conto il fatto che un festival – anche in una edizione falcidiata e ridotta ai minimi termini – metta in vetrina “il lavoro culturale” che alcune figure fanno durante l’anno con i corsi per adulti, ragazzi e bambini. E se le “gemme” si chiamano Livia Castellana, Silvia Frasson o Riccardo Lorenzetti, il lavoro di Alessandro Manzini, Irene Bonzi e Francis Pardeilhan costituisce il “giacimento” che può tenere viva la vena e dà coraggio a chi – anche a livello dilettantistico – ha voglia di dire qualcosa o ha qualcosa da raccontare su un palcoscenico.
Certo, come dicevamo, quest’anno l’emergenza covid con le norme sul distanziamento e le misure di sicurezza (prenotazione preventiva ecc.) ha ambiato lo scenario, ha costretto l’organizzazione ad allestire spettacoli per pochi intimi. Tutto si è svolto alla Tensostruttura San Francesco (che questo giornale ha proposto di intitolare ad Ottiero Ottieri, il più grande scrittore che Chiusi abbia avuto, morto nel 2002), con spettacoli per 50-60 persone… Tutti hanno fatto sold-out, ma con quei numero di posti non era difficile.
Il luogo decentrato e “minimal” non ha certo aiutato a dare un’immagine forte del festival. Ha contribuito a tenerla sottotono. Ma a questo giro, di più non era possibile fare. Ma gli spettacoli sono stati tutti di qualità. Probabilmente niente che verrà ricordato come un evento dirompente. Niente di “sperimentale” o di “dissacrante”, Niente che abbia fatto “scandalo”, ma tutte performance artistiche di ottimo livello. Teatro vero. Mai vista una platea in lacrime come è successo per La vita salva di Silvia Frasson, per esempio. E la cosa in sé dà la misura della forza di quel testo e di quella interpretazione. Ma al di là di questo (dei singoli spettacoli abbiamo riferito in altri articoli), quello che vorremmo sottolineare è che purtroppo se gli spettacoli sono stati tutti molto buoni, il festival invece non si è visto. Non si è visto il clima da festival e neanche il “dopofestival” con degustazioni e intrattenimento mangereccio in piazza, ce l’ha fatta a invertire l’inerzia.
La paura del covid indubbiamente ha influito. Il distanziamento e la “sordina” messa agli spettacoli con una location suggestiva, ma oggettivamente fuori mano, pure. Ma a nostro avviso, quest’anno più che in passato, c’è stato anche un clima di indifferenza se non di ostilità latente verso il festival chiusino.
La politica ad esempio l’ha bellamente ignorato. Sia la maggioranza che l’opposizione non hanno proferito parola in proposito. Né di incoraggiamento o sostegno, né di critica.
Un festival estivo, anche se “ridotto” nel budget e negli allestimenti, è pur sempre l’evento clou di una stagione, tanto più che quest’anno è rimasto l’unico, essendo saltati il Lars Rock Fest e altri eventi comer il Tria Turris e Slow Beer. E come può chi comanda e chi si oppone o chi aspira magari a prendere le redini del comune prossimamente, far finta di niente e addirittura disertare a nastro tutti gli appuntamenti? Non è un buon segno per la politica chiusina a otto mesi dalle elezioni comunali del 2021.
Unica nota scritta affidata ai media, quella del sindaco Bettollini, presidente (finché sarà sindaco) della Fondazione. Per il resto silenzio di tomba da pare del Pd, dei 5 Stelle, dei Podemos, della destra e anche della varie associazioni cittadine. Come se il Festival Orizzonti non si fosse neanche tenuto.
Addirittura qualcuno, come Paolo Scattoni, uno dei leaders del Comitato Aria ed esponente del Pd (a questo punto, dopo l’abbandono del partito da parte del sindaco Bettolini, neanche più ostinatamente minoranza, ma ormai parte integrante della corrente vincente) ha scritto sui social un commento di questo tenore: “apprezzo Gianni Poliziani, ma finché la Fondazione non renderà noti i dati sul bilancio non andrò a vedere i suoi spettacoli”. Ecco l’ostilità latente.
A parte il fatto che Paolo Scattoni non lo abbiamo mai visto agli spettacoli teatrali o musicali, neanche quelli in cui la Fondazione c’entrava poco o nulla (tipo quelli allestiti da primapagina o altri), ma cosa c’entra la giusta attenzione ai bilanci, con la partecipazione agli spettacoli?
La cultura e l’attività culturale di una città non si può ridurre ad una mera contabilità di costi e ricavi. Viene in mente il discorso sul Pil di Bob Kennedy. Non tutto si misura sulla base dei bilanci. Il festival Orizzonti negli anni ha prodotto una voragine di debiti. E va bene. E’ stato attuato un piano di rientro, ma è ovvio che la questione può essere materia di contestazione e di critica politica, ci mancherebbe. Ma un festival, che sia “sfarzoso” o “risicato”, non produce solo spese o debiti, produce anche ricavi, quelli materiali dati dalle sponsorizzazioni e dai biglietti, dall’indotto (bar, ristoranti, fornitori, tecnici…) ma soprattutto quelli immateriali, che sono, come diceva Bob Kennedy, la forza narrativa degli attori, la bellezza della poesia, la crescita culturale di chi partecipa da protagonista ad uno spettacolo e di chi vi assiste, la valorizzazione di esperienze locali, il coinvolgimento di generazioni diverse e di settori diversi (si pensi agli operatori che hanno partecipato al dopofestival).
Insomma, fare gli sdegnosi, solo per marcare una distanza dal sindaco o dalla Fondazione, e snobbare eventi di questo genere, ci sembra un modo vetusto e pretestuoso anche di fare politica. E un pessimo servizio alla comunità.
Una comunità che intorno al proprio festival dovrebbe ritrovarsi compatta e invece svicola, sgusciando via furtiva come una anguilla di Chiana, dimostra uno scarso attaccamento alla maglia e anche una scarsa attenzione alla propria argenteria. Il che la fa somigliare a certe famiglie della nobiltà decaduta, avviluppate su sé stesse, arroccate nei loro palazzi polverosi. Gente intristita e incattivita che odia l’aria fresca e i venti di novità e tiene le finestre sempre chiuse, tanto per star lì a guardarsi l’ombelico di luce ne basta poca.
m.l.
I debiti sono cosa seria soprattutto quando sono fatti con i soldi dei cittadini. L’attuale Sindaco nonché presidente della Fondazione Orizzonti era assessore al bilancio negli anni in cui il debito della Fondazione si è creato. Per quanto riguarda il Festival, lo stesso Sindaco a suo tempo dichiarò che per importanza quello di Chiusi avrebbe superato il Festival di Spoleto, di importante c’è rimasto il debito e basta.
Il problema principale, che personalmente segnalo da anni, è quello delle responsabilità, la politica è rimasta l’unica zona franca dove si possono fare e dichiarare tutte le cazzate che si vuole tanto poi non se ne deve rispondere, anzi spesso chi sbaglia poi pontifica su come riparare agli errori.
Sono un cittadino che paga le tasse. È possibile avere una tabella in cui si possa FACILMENTE capire quanti soldi escano dalle casse comunali per pagare i ratei dei prestiti accesi con le banche e i debiti non ancora liquidati con i fornitori? Questo è sicuramente prioritario. Poi si potrà discutere se le cosiddette arti performative debbano essere le sole a caratterizzare la politica culturale a Chiusi. Per quanto mi riguarda queste sono precondizioni.
Secondo me la precondizione – se si parla di cultura – è favorire l’espressione artistica, valorizzare i giacimenti e le gemme locali, creare humus da cui possano germogliare altri fiori e mettere i fiori locali in contatto con fiori più grandi e colorati e di maggior valore, in modo che possano crescere. La precondizione è salutare con entusiasmo ogni evento che va in tale direzione e abbia una certa qualità (almeno nelle intenzioni, ma anche nella performance). E questo vale per la musica (tutta, di qualsiasi genere), per il teatro, per la letteratura, per la pittura e la scultura, per la fotografia, ecc. Il discorso sui soldi che si spendono non può esaurire la questione e attiene alla politica e la politica fa bene a interessarsene e a fare pure le bucce a chi gestisce il portafoglio. Fa bene a chiedere chiarezza e trasparenza, ma in tutta franchezza non credo che siccome uno non è convinto dei bilanci o delle spese, debba far pagare il suo disappunto a Silvia Frasson, a Livia Castellana o a chiunque altro salga su un palco. Questo giornale (insieme ad altri e come altri) ha allestito negli ultimi 10 anni vari spettacoli teatrali (7 per essere precisi, più qualche altro eventino qua e là) e sinceramente non ricordo di averti mai visto. Per carità, non è mica obbligatorio, ma lì, la Fondazione c’entrava poco o niente. E non ti ho visto mai nemmeno a concerti e serate di band locali o spettacoli di altri amici comuni (Giorgio Cioncoloni ad esempio).
Quindi il problema a mio avviso è un altro: non i soldi e i bilanci, ma la spocchia, caro Paolo. E’ quella antica e mai sopita tendenza a non dare soddisfazione ad altri, di chi pensa che l’acqua calda è calda solo se l’ha scoperta lui… Poi ci sta pure che a qualcuno non piaccia il teatro, né il rock, né il blues… Pazienza, ce ne faremo una ragione. Io sono contento di vedere che il territorio e Chiusi in particolare, producano cose di buona fattura sia sul terreno musicale che teatrale. In tempi grami come questi mi sembra oro colato… Al di là dei bilanci.
Sono risorse he i cittadini pagano. È uno scandalo che non se ne dia conto. Quanti debiti? Quanto si paga all’anno? Si potevano spendere meglio? Se c’è un piano di rientro che problema c’è a pubblicarloin maniera facilmente leggibile?
La stampa fa le recensioni, ma sulle risorse di tutti si dimentica di approfondire.
Su come poi impostare una politica culturale seria non mi pare che la stampa amica dia contributi o li ospiti.
Della mancanza di strategia io non me ne faccio una ragione e per il niente che conto la sollecito.
la stampa ha proposto anni fa gli stati generali della cultura, più altre iniziative proprio su come impostare la politica culturale, da queste colonne abbiamo chiesto a più riprese una sede pubblica a Chiusi Scalo, per fare mostre, convegni, eventi teatrali, musica ecc. Alla fine del lockdown abbiamo proposto alcune modalità per mantenere in piedi qualche evento e valorizzare le risorse locali e del territorio in una annata complicata… Mi pare che tra l’altro siamo stati gli unici a farlo. Salvo i contributi di alcuni registi, attori, artisti (Pasquini, Valentini, Mascia… ) che hanno fatto seguito a quelle proposte. Il fatto che le risposte siano state scarse, insufficienti o nulle, non significa che la stampa (nello specifico questo giornale) su questo terreno il suo non l’abbia fatto. Sulla questione dei bilanci concordo che debba esserci chiarezza e trasparenza, ma sono piani diversi. La cultura in senso lato e l’attività culturale in senso più stretto e stringente vanno oltre la contabilità, sono altra cosa. Sovrapporle – a mio parere – è un esercizio da azzegarbugli della politica. E se manca chiarezza sui bilanci vuol dire che manca la politica o la politica non fa il proprio mestiere. I sostanza si potrebbe discutere per giorni sui 10 mila euro di budget per il festival Orizzonti di quest’anno. Sono pochi, troppo pochi? o abbastanza? Ma io penso sia più utile per la collettività e per i lettori, che la stampa racconti gli spettacoli, le emozioni, il clima, gli eventuali aspetti di genialità… Questo non perché è più divertente, ma per valutare se vale la pena spenderli quei soldi, per capire se quella spesa ha generato un ritorno, un valore nell’immediato e in prospettiva… Chiaro il concetto?
Io credo che sarebbero necessarie entrambe le cose, vanno bene le recensioni e le riflessioni sugli spettacoli ma è altrettanto importante sapere quei soldi dei cittadini che fine hanno fatto e pretendere che nel sito della fondazione vengano pubblicati i bilanci e che le responsabilità emergano. Di questi aspetti economici in questo giornale non se ne parla perché per tua stessa ammissione e legittimamente hai dichiarato che è un giornale di parte. Sarebbe onesto dire che a prescindere difendi quella parte, a questo punto anzi direi che difendi a prescindere il Sindaco, non è una colpa, la colpa sta nel far finta di non sapere che a Chiusi la cultura è stata affidata da parte dell’amministrazione comunale a una fondazione che ha fallito il suo scopo dato che era stato dichiarato che doveva essere il volano per il rilancio del paese.
p.s. Lorenzoni butta nel cestino della carta il tuo registrino delle presenze agli spettacoli locali. Ogni volta che si parla di questi argomenti fai il rimprovero a chi non c’era. Lascia perdere, le persone oggi vivono una vita con poco tempo a disposizione nei pochi momenti liberi credo sia legittimo scegliere cosa andare a vedere senza essere poi rimproverati dai maestrini.
Anch’io credo di essere uno di quelli che poche volte abbia preso parte alle manifestazioni di Orizzonti,soprattutto a quelle musicali ,non certo per spocchia-e credo che tu lo sappia bene-ma perchè è un modo mio di osservare quello che succede(soprattutto di come sia captata la gioventù su tale tipo di manifestazioni e dell’interesse che viene sciorinato che io per primo non condivido con l’interese che ne viene mostrato dall apparato mediatico e da chi è vicino a tale politica che credo di poter dire sia sopra le righe e che sento da me lontano-ma questo è un fatto personale di rapporto con certi tipi di musica,ma non è tutto qui).Se ragioniamo sulla politica e le sue mancanze di carattere organizzativo e di conoscenza verso la cultura, osservo una tara che è quella che poi faccia derivare la sconsideratezza amministrativa in rapporto al fatto di ”come investire, quando investire e con chi investire”.Questo è un problema centrale che credo che le amministrazioni di Chiusi si portino dietro da molto tempo.Si tratta almeno credo-di mancanza di conoscenza specifica dei campi nei quali si vada a produrre e quindi ad investire,che faccia realizzare invece manifestazioni lontane da certi livelli,che poi si rendono asfittiche e che alla popolazione nulla lasciano.Guardiamo per esempio cittadine come Cortona, Montepulciano, Lucignano, Città della Pieve ma anche altre, dove accanto all’uniformità paragonata e realizzata con il soggetto sotto la lente in osservazione quale Chiusi, si riscontrano invece delle vere e proprie ”chicche” che se non altro alzano il livello culturale di una politica.A Chiusi invece questo non succede,od almeno ai miei occhi non è mai successo,se non poche volte.In tal senso è LA CONTINUITA’ che conta e che alla fine pesa e che determina il percorso nel tempo.Chiusi è fuori da tale continuità, per qualità di immaginazione soprattutto POLITICA quando per esempio si danno sovvenzioni all’associazionismo che è improduttivo del tipo AUSER ma anche ad altro e non mi vergogno a dire che così sia poichè alla fine gli anziani diventano captati dal ritrovarsi e dedicarsi al giuoco delle carte, al ballo, e ad avere un luogo che culturalmente non dà nulla se non alla fin fine ”voti”.Allora, da qui si vede anche come sia una politica asfittica che non faccia rimanere nulla sul territorio, non insegna, non apre le menti dei cittadini,se non in pochissime occasioni che si possono contare nelle dita di una sola mano,ma tutte occasioni che soprattutto riguardano solo certi filoni culturali quali: musica, manifestazioni di strada e basta così.Qui, sono i cervelli che determinano la politica che non sono in unione col mondo e non sentono nemmeno il problema così come l’ho posto, e seppure parlando di esperienze personali,se da una parte devo ringraziare l’amministrazione della concessione di una saletta del teatro per le due – tre mostre fotografiche fatte negli anni addietro,devo altresi osservare che i cittadini di Chiusi in pochi hanno visitato certe mostre e particolarmente solo gli interessati a ciò che veniva esposto,affidato all’aiuto di un associazionismo che poi è risultato autoestinguentesi nel campo della fotografia per esempio. Quello nulla ha prodotto ma non perchè i sigoli partecipanti non siano stati all’altezza delle questioni e della professionalità, ma per il palese motivo che non hanno ricevuto nessun aiuto, nessun apporto, nessuna attenzione da parte della pubblica amministrazione, anche talvolta producendo notevoli danni sulle stesse opere poi che sono state spostate( Le foto su marmo, ricordate? Quindi non parlo a sproposito sul tema…).E’ una questione organizzativa, di teste e di controllo sulle teste che manca e quindi è la politica che si affida a persone non competenti ed è una piramide a scendere codesta ed anche a salire, della quale fanno parte chi detiene il potere politico e le persone che andando verso la base della piramide ne vengano coinvolte ed anche in un certoqualmodo condizionate.Allora ciò che vien fuori da questo è uno status carente di comprensione dei problemi,sia a livello generale sia nelle specifiche materie che vengono affidati da portare avanti a singoli che magari sono competentissimi e sono eccellenze sul territorio ma che non ricevono le dovute attenzioni anche e perchè mi sembra di poter dire che nessuno dell’amministrazione si sia posto il problema di come valorizzare i loro lavori. Un esempio, il primo che mi venga in mente ?: Un Paolo Miccichè che rappresenta a tutt’oggi un grande contenitore di cultura e di professionalità e che fra l’altro non avrebbe nemmeno richiesto compensi-a quanto io ne sappia- ed impegnato finanziariamente l’amministrazione,e che sia per motivi contingenti all’organizzazione della propria vita ma anche perchè deluso da tutto questo è andato via da Chiusi portandosi dietro un notevole fardello di ” cultura” che Chiusi non ha lasciato esprimere e non ha saputo nè voluto organizzare.Si trattava di una persona che organizzava ed organizza rappresentazioni teatrali-musicali-scenografiche in ogni parte del mondo, ed è bene capire di ciò che si parla ed anche di ciò che è carente dentro a tale POLITICA. Sono quindi gli ” orizzonti materiali” intesi come mancanza di conoscenza culturale di chi decide le cose e le manifestazioni che mancano alla politica di cui per esempio anche nel mio modestissimo caso di specificità mi ha fatto decidere nel tempo di chiudere la Onlus alla quale sopraintendevo e di ritornare in possesso personale dell’archivio ceduto in comodato gratuito.Mai nessuno a Chiusi mi ha chiesto nulla anche se sono un” illustre sconosciuto” ma comunque cittadino di Chiusi e devo anche dire che la mia condizione si potrebbe benissimo scambiare per atteggiamento spocchioso ma chi mi conosce sà bene che non lo è, ma credo che la prima cosa che debba venir riservata dai cittadini verso la loro amministrazione sia un fatto di FIDUCIA E CREDIBILITA’, quella fiducia e credibilità che ha fatto sì che nel tempo le strutture in mano al Comune non siano state messe in grado di essere accoglienti, valorizzate agli scopi per i quali una cultura moderna debba fruire di spazi consoni. Si tratta di soldi,ma siccome da un lato tali soldi vengono destinati al mantenimento di ”motori ormai con molti chilometri addosso” quali per esempio l’associazionismo che garantisce voti e si continua a lavorare in tali direzioni, allora per quanto mi riguarda ogni interesse che si potrebbe manifestare in certe direzioni-ANCHE FUTURE-(tanto per parlar chiaro non avendo figli e chi vuol capire capisca) mi ha fatto decidere l’atteggiamento che ho da ormai anni riservato a chi non ha compreso tutto questo,e su tale fatto oggi sono diventato irremovibile verso chiunque, forse sbagliando anche,ma sono i cittadini che vengono portati automaticamente a seconda dello spazio che si trovino a vivere a reagire in questo modo.Dico-e poi termino- che non è sempre questione solo di SOLDI, ma soprattutto è questione anche e soprattutto di ave un minimo di lungimiranza e di sapere di cosa si parla. Questo nel mio caso, ristretto alla materia che i lettori sanno che gestisco per mio proprio conto e soprattutto per mia personale soddisfazione.Altri Comuni per esempio Castiglione del Lago nel passato pensavano di-come si dice- fare le nozze con i fichi secchi-organizzando una manifestazione fotografico-documentaristica-storica a forza di fotocopie,affidando a gruppi di volontari che probabilmente ritenevano di essere ” la verità sciorinata sulla terra ”. Mi venne chiesto in tale occasione di mostrare fotocopie delle foto poichè la loro stampa sarebbe costata, suscitando anche un risentimento personale credo concepibile e non solo ma che il pagamento delle stampe da archivio se prodotte l’avrebbero saldato dopo quasi un anno. Si capisce da soli che con queste strutture mentali non si vada lontano e cosi anche la stessa cosa è stata nei miei confronti anche da altre parti.Qual’è allora la considerazione che da tutto questo ne possa derivare anche per rispondere a coloro che dicono che con la cultura ”si possa mangiare” ?
In un mondo che funziona a misura del solo denaro non riservare energie economiche alla cultura significa tagliarsi le gambe anche per il futuro, come succede per i debiti pregressi di Orizzonti per i quali i cittadini di Chiusi giocoforza dovranno frugarsi le tasche.
Allora, tutto questo è la solita vecchia questione per la quale la gente dentro Chiusi,abbia gli ” Orizzonti chiusi” e la politica fruisca di consensi politici chiusi, chiusi al punto che si tratta di un cane che si morde la coda, e che tutto il fumo che viene fatto è un fumo che significa solo che l’arrosto è servito.E per mio conto, nel mio piccolo per quello che possa pensare e valere, non desidero in alcun modo sentir parlare di ”cultura” ideata, programmata ed espletata nel modo che fino a qui è stata condotta.Questo lo dico a tutti, anche agli organi di partito e soprattutto alle persone sia di Chiusi sia dei territori circonvicini.Alla fin fine dal momento che sono anziano deciderò di devolvere per quanto mi possa riguardare, il contenuto del mio archivio a strutture anche lontane dalla Toscana.Strutture delle quali sono anche sicuro che non alieneranno i contenuti documentaristici ed oggettistici a Comuni i cui consigli decidano-come viene spesso fatto- di mettere all’asta i beni per ricavarne soldi con i quali asfaltare strade od altro, anche considerato a comprendere coloro che nel tempo se ne possano appropriare personalmente.E non sarebbe la prima volta che questo succede.
Carlo le ultime manifestazioni musicali di Orizzonti sono state le Opere di Puccini, Mascagni e Poulenc proposte da Cigni, anno domini 2016…Quanto al “registro delle presenze e delle assenze”, caro Luca, ci sono eventi a cui chi ha responsabilità politiche, chi fa parte della “classe dirigente” di maggioranza o di opposizione, non può mancare anche se non sono il suo genere… Non è piaggeria, è una questione d rispetto per chi sale sul palco, per la città, per la cultura. Poi, uno può anche dire che l’evento era una cazzata e non valeva i soldi del biglietto, o un investimento a monte. E può anche chiedere che si cambi il manico. Ma dopo. Prima uno ci deve andare. Lo dice l’abc della politica, non qualche coglione che scrive su primapagina…
Chi ha responsabilità politiche deve andare? Suvvia un po’ di decenza. Sindaco e giunta di Firenze debbono essere presenti alle manifestazioni del Maggio? La Raggi a tutti i concerti del Santa Cecilia? Ma dove l’hai visto?
Io non ho cariche politiche e quindi sarei dispensato. Intanto sarebbe bene che si pubblicasse il bilancio 2019 della Fondazione, un po’ di rispetto per i contribuenti.
siccome a Chiusi gli eventi sono pochi, meno che a Firenze e Roma, io credo che sarebbe opportuno che la “classe politica” e a “classe dirigente” partecipasse, almeno ogni tanto. Qui siamo invece vicino al… mai.
Intanto pubblicare il bilancio 2019 della Fondazione non soltanto è opportuno, ma è anche un obbligo.
C’è un aspetto che non viene mai in evidenza quando si parla di Orizzonti ed è il fatto che sia una manifestazione legata alla formula del festival, cioè un criterio organizzativo che è, per sua natura, plasmato dalla singola personalità estetico-politica che lo dirige. Se si guarda ai vari festival in giro per il mondo, ne abbiamo la riprova: Salisburgo è associato (ormai per sempre) a Von Karajan, Spoleto a Menotti, Bath a Menuhin, Aldenburg a Britten, Chiusi a Cigni/Poliziani, ecc. Questa caratteristica ne è un po’ il limite: la singola personalità punterà a plasmare la sua creatura sulla base degli interessi estetico-professionali che la guidano. A questo, che vedo come un punto di debolezza, se ne deve aggiungere un altro che è individuabile nella presentazione dell’offerta solo come possibilità di fruizione passiva: si consuma lo spettacolo come si mangerebbe un gelato. E’ un po’ il corrispettivo della passeggiata estemporanea che coppie un po’ anziane fanno per ammazzare il tempo. Che poi sia un’attività salubre non è in discussione, qui. Metto solo l’accento su un problema. E il problema ha come effetto collaterale che l’investimento culturale non produce le ricadute che ci si aspetterebbe (quella che Lorenzoni chiama la “freddezza”). Certo, la crisi covid è stata un forte deterrente, ma non si è cercato di farvi fronte con ipotesi alternative (le letture di Storelli e altri amici su facebook sono state un’attività estemporanea, seppur meritoria); questo perché manca una politica culturale complessiva che sia svincolata dalla singola preoccupazione dell’acchiappare il turista. Occorre partire dall’idea di città e dei suoi abitanti che, troppo spesso, vengono immaginati come figure stereotipate. Ad es., potrebbe sembrare meritoria l’idea della piazza come salotto, ma in realtà quell’offerta è rivolta a un gruppo di avventori, non a cittadini che si ritrovano a chiacchierare ed oziare in piazza. Nemmeno un lavoro istituzionale come “gli stati generali” ha prodotto niente di fruibile, proprio perché si è sovrapposta alle persone un’idea ingessata di commissione precostituita. C’è lo spazio per una politica culturale che riesca a coniugare trasparenza dei conti e lungimiranza progettuale? Abbiamo parecchie risorse un po’ congelate. Probabilmente si tratta solo di dar loro modo di sciogliersi.
Forse l’analisi più lucida e condivisibile mai letta da queste parti. Non su Orizzonti ma proprio sul concetto di “proposta culturale”, almeno per come l’ho sempre intesa.
“ci sono eventi a cui chi ha responsabilità politiche, chi fa parte della “classe dirigente” di maggioranza o di opposizione, non può mancare anche se non sono il suo genere”
Questa è un’opinione tutta tua, non sta scritto da nessuna parte, poi chi la fa la lista di quegli eventi ai quali obbligatoriamente bisogna presenziare. Io credo che se la politica e chi amministra pensassero più ai cittadini e agli interessi del proprio paese piuttosto che a presenziare, con fascia o meno, le cose andrebbero meglio, così come a perdere meno tempo sui social per essere sempre visibili. Per fare un esempio calcistico, come ti piace spesso fare, il miglior arbitro è quello che fischia poco e che si fa poco notare, ecco secondo me i migliori politici e i migliori amministratori sarebbero quelli con la testa bassa a lavorare, di cui i cittadini si ricordano appena appena il nome e non quelli sempre presenti.
X Enzo Sorbera. Condivido, ma la sorgente di tutto cio che elenchi è la causa del flop.E questa è da ricercarsi dentro le teste che pensano alla progettualità, che immaginano-come hai sottolineato- che lo spettacolo ”venga consumato come un gelato”. Questo problema di natura critica non li riguarda, ed allora si raccoglie aria fritta. Ed è chiaro che tutto questo nella gente non lasci nulla o poco veramente. Tutti gli altri discorsi sull’opportunità della presenza della nomenclatura politica sono discorsi consequenziali dei quali si può discutere certamente come dice Lorenzoni ma vista dall’esterno la cosa ed il problema come è stato sempre portato avanti è asfittico e non produce senz’altro qualcosa che resti dentro l’anima della popolazione.La normalità sarebbe invece il contrario.Ma mica ci vorrebbe l’algebra da parte di chi decide a capirlo tutto questo….perchè gli altri paesi invece sono in un piano diverso, spesso anche loro-ed è bene non allargarsi troppo- producono su un piano scarno per mezzi ed impieghi, ma la ricettività del pubblico ormai attento è diventata una questione ”di massa”. Non sò se mi spiego dicendo così.La questione di ”ricettività di massa” di Città della Pieve non è nemmeno esistente per un decimo di milligrammo a Chiusi.Una delle differenze forti poggia proprio su questo, che poi è un concetto di sviluppo diverso e di successo che non è dovuto solo alla struttura della cittadina ed ai film”Carbinieri”,ma da una ricettività culturale dei suoi abitanti che non sono ”agnostici ed acerbi” come lo sono a Chiusi talmente a punto che si possa usufruir di loro sui consensi guidati dai social.Ho visto che a Città della Pieve quando le cose vanno più storte del normale, i cittadini si organizzano e si ribellano quando le amministrazioni non riescono a dare quello che serve alle persone. A Chiusi ci si predispone ad addormentarsi per un sonno centenario,senza reazioni di sorta, con frastuoni di silenzio affidati solo ai social ed a chi alza il ditino che dice ok ! Intanto come si vede la politica langue, langue la cultura,langue l’economia e Chiusi è una città fantasma. ecco anche perchè è la gente che produce che vi sia quella politica e quei dirigenti.Il conto torna e non è un segreto per nessuno, e solo per chi non lo voglia vedere quasi sempre si alza la saracinesca delle sorprese. Ma è una finta.Plateale ed autocastrante finta.
Carlo, la Pieve ha il problema che i pievesi non partecipano agli eventi. E’ comunque una realtà che ha tanti anni di lavoro alle spalle e una “politica” di tutto rispetto come Luisa Meo ha avviato il lavoro di cui ancora raccolgono frutti. Nel nostro caso, il problema che sollevo è che sia proprio il “format” festival a produrre indebitamento. Su questo sarebbe da ragionare: se investo soldi pubblici, devo stare attento alle ricadute. Da qui, ad es., una politica di teatro sociale potrebbe essere una delle possibili opzioni. Ma io non sono né un politico né un tecnico: un osservatore interessato, toh 🙂
il teatro sociale a km zero e in luoghi insoliti è una delle proposte fatte da questo giornale appena dopo la fine del lockdown… Proposta caduta nel vuoto, per ora, ma… forse ad Orizzonti e in altre occasioni a Chiusi qualcosa in tal senso è stato fatto…
Possibile che non ci sia uno che mi sappia dire perché il bilancio 2019 della Fondazione non sia ancora pubblicato?
X Enzo Sorbera. Forse non hai letto con attenzione ciò che ho voluto dire ma forse non l’ho saputo io spiegare bene, ma non credo proprio che sia vero che ”I pievesi non partecipino agli eventi”.Città della Pieve-covid period a parte- ha avuto sempre una foltissima presenza alle iniziative culturali proprio di cittadini pievesi. Iniziative culturali a 360° portati avanti da uomini e soprattutto da donne, collegate anche con le scuole ma non solo.Basta guardare al calendario di occupazione dei piani di Palazzo della Corgna ed il traffico di coloro che si servono della Biblioteca Comunale per comprendere che siamo in presenza di un qualcosa che viene da lontano e che non è stato creato in questi ultimi anni ma che invece derivi da una impostazione creata e portata avanti da persone che hanno attraversato amministrazioni intere come lo è stato per Valerio Bittarello ed altri che hanno saputo dar sapore alla vita culturale pievese.Chiusi su tale punto non è nemmeno paragonabile.E’ questo fatto, quasi come ”un blocco sociale” contro l’allentamento della guardia che ha consentito di spostare costantemente nel tempo gli effetti non solo unidirezionali dei terzieri che raccoglievano gente a iosa per l’organizzazione di eventi che ruotavano intorno ai terzieri,ma anche questi saputi amalgamare con la sensazione non falsa che la vita culturale intorno a chi deteneva le fila del potere pubblico pulsasse e desse risultati.Di questo ne ha usufruito anche la struttura abitativa e commerciale quando sono stati creati sia nuovi negozi chè ristrutturati moltissimi ambienti privati.Ci sono gallerie permanenti, incremento di strutture ricettive private che offrono servizi al soggiorno,utilizzo continuo dei locali storici di proprietà pubblica per fare cultura.E tutto questo a Città della Pieve è realtà affermata, che porta anche persone a decine e decine a cercarsi strutture per il ”buen ritiro” oppure per un soggiorno temporaneo.A Chiusi esiste tutto questo? Mi sembrerebbe proprio di no.Ed allora ciò che dico è il fatto che come si dice a Napoli ”o ‘ pesce feta da a capa”è un motto pienamente applicabile a Chiusi senza aver bisogno di ulteriori dimostrazioni perchè sono i fatti a parlare.E se tali fatti una volta che si evocano trovano difensori interessati nelle maggioranze che reagiscono alle critiche senza il minimo interesse ed ascolto a ciò che viene detto e criticato andando avanti per la loro strada,allora caro Enzo si capisce il perchè la gente che qualche volta a ragione ho bollito anch’io per non partecipativa,distante,disinteressata,venga spinta ai margini ed abbia poca fiducia nell’espletamento da parte della struttura pubblica di quelle che sarebbero le finalità pubbliche e culturali di una amministrazione degna di tale nome.Ma se hanno problemi-come sento- a rendere pubblici i bilanci di Orizzonti che evidenzino l’indebitamento attuale e dire su quali cespiti occora ripartire le perdite ? Ma di cosa parliamo ?
Errata corrige: al 7° rigo prima della fine leggi ”ho bollato” invece che ”bollito”.Chiedo scusa.
Molte delle cose che si tenta di proporre a Chiusi hanno il difetto di nascere in maniera estemporanea. Chi amministra, da anni, non ha un progetto forte su cosa deve essere questo paese ora e nel futuro, in questo modo ogni iniziativa è priva del supporto necessario affinché sia funzionale a ciò per cui è nata. Un piccolo esempio: quest’anno tra le misure per tentare di limitare i danni economici dovuti al covid è stata decisa la chiusura di piazza XX settembre, di fatto tale chiusura è servita solamente ad una attività di ristorazione per piazzare qualche tavolo in più, chi vive nel centro storico ha visto che di fatto la piazza è rimasta comunque deserta e che anzi per i parcheggi non più disponibili
via Porsenna è diventata un grande parcheggio in modo da rendere il paese, diciamo così, esteticamente poco invitante. Nessuno si è preoccupato di “riempire” quel salotto che si è voluto creare in piazza XX settembre. Piccolo esempio per dimostrare che a Chiusi si naviga a vista, spesso improvvisando, le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.