TURISTI A CASA NOSTRA (1): A SPASSO NELLA VALDORCIA PROFONDA E MENO CELEBRATA
Una decina di giorni fa, su queste colonne proponevamo di utilizzare questa estate insolita e autarchica, causa coronavirus, come occasione per fare un po’ di “turismo di prossimità” o meglio per fare i turisti “a casa nostra”, cioè per scoprire o riscoprire, conoscere e valorizzare i nostri borghi, le cattedrali, i siti archeologici, luoghi di interesse paesaggistico e ambientale.. Ce ne sono a decine nel raggio di pochi chilometri: chiese e abbazie di campagna, torri e castelli, fattorie fortificate, vecchi cimiteri custodi di memorie come quello letterario di Spoon River, gole di fiumi, laghi, palazzi rinascimentali, musei.
Tutto ciò senza disdegnare la possibilità di un pranzo, una merenda o una cena con prodotti e piatti tipici del territorio, naturalmente sempre con le dovute cautele e i protocolli di sicurezza previsti.
Dicevamo: quanti chiusini ad esempio conoscono a fondo Montepulciano o i dipinti del Perugino a Città della Pieve e Panicale? E quanti poliziani o pievesi hanno mai visitato le Catacombe paleocristiane di Chiusi? E se molti hanno visto almeno una volta il Tempio di San Biagio o l’Abbazia di S. Antimo, quanti conoscono la Pieve di Corsignano a Pienza, la Pieve di San Pietro in Villore a San Giovanni d’Asso o il Santuario di Mongiovino vicino a Tavernelle?
E allora qui ed ora proponiamo, qualche possibile meta o itinerario per escursioni domenicali (o giornaliere) ai tempi del coronavirus e del lockdown allentato.
Pillole salutari di arte, storia e paesaggio, che se le prendi ti rendono un cittadino più consapevole e informato sulla terra che abiti, ma ti fanno anche star bene, riposano la vista e il cuore, perché sono posti belli. Talvolta struggenti. Luoghi della memoria e dell’anima.
Prendiamo come base Chiusi, che ovviamente val bene una messa. O una gita (ma ne parleremo in altra occasione). Insomma ipotizziamo di partire da Chiusi per andare altrove. Non lontano. Ma in luoghi in cui la primavera e il mese di giugno offrono visioni e atmosfere irripetibili. La Valdorcia per esempio. Certo non la scopriamo noi, la Valdorcia. E’ uno dei paesaggi più fotografati d’Italia, utilizzato spesso da registi di film, fiction e spot pubblicitari.
Nei giorni scorsi l’attrice israeliana ma naturalizzata americana Natalie Portman in una intervista a Vanity Fair ha raccontato una vacanza di un mese con la famiglia a Pienza, nel 2014: “un mese in Toscana vale come una vita intera”. E quel mese a Pienza dintorni deve averla segnata, perché nell’intervista ne parla benissimo. Dei luoghi, certo, ma anche delle atmosfere. Della piazza dove i bambini possono ancora giocare o andare in bicicletta come nei film di De Sica; del bar che sulla piazza si affaccia e sembra anche quello un set da film. La Valdorcia è Patrimonio dell’Umanità. Ma non è ovviamente solo Pienza, che ne è la “perla” e che si chiama così in onore di papa Pio II Piccolomini che la volle disegnata dal suo architetto di fiducia e costruita come una sorta di “città ideale” del Rinascimento. E infatti ha una piazza e una cattedrale decisamente sovradimensionate rispetto al borgo. Un borgo che aveva in precedenza un nome poco rassicurante e poco raccomandabile: Corsignano. Che per molti era “Corsignan dei ladri”. Un po’ come la rocca di Radicofani che da Pienza si vede in lontananza (ma neanche tanto poi) tra l’Amiata e il Monte Cetona e che della Valdorcia è la sentinella. Da lì Ghino di Tacco nel medioevo imponeva la sua legge e le sue gabelle taglieggiando i viandanti che passavano sulla Cassia, diventata Francigena.
Tornanti diventati famosi anche per la Mille Miglia, che si corse 24 volte, dal 1927 al 1957 e fu “cancellata” dopo il tragico incidente di Alfonso De Portago detto “Fon” , che costò la vita al pilota stesso, al suo “navigatore” americano Edmund Gurner Nelson e a nove spettatori, cinque dei quali bambini. A causa dello shock provocato nell’opinione pubblica la corsa venne definitivamente soppressa. Ora si tiene la Mille Miglia storica, con vetture d’epoca strabilianti… Ma è un’altra storia.
La Valdorcia oggi è sinonimo di bellezza. Di tramonti e albe mozzafiato, di cipressi che punteggiano i campi e le “biancane” come nei dipinti di Ambrogio Lorenzetti. Ma nel tempo è stata anche terra di lavoro duro, di miseria, di mezzadria e anche di fame e sete atavica, perché di acqua ce ne è sempre stata poca, nonostante il fiume che dà il nome alla vallata. La soluzione l’avevano trovata, negli anni ’80: una grande diga, non lontana da Radicofani, che però è rimasta una incompiuta, un monumento allo spreco e agli intrecci malefici tra politica e affari. Solo che, per quanto sia un mostro di cemento armato in mezzo ad un paesaggio che è fatto di tutt’altre suggestioni, è suggestiva anche quella. In Valdorcia ogni angolo (anche se di angoli ce ne sono pochi e gli spazi sono ampi a perdita d’occhio), e sebbene anche il paesaggio sia al 90 per cento frutto del lavoro dell’uomo, di opere e interventi antropici se ne vedono pochi e quelli che si vedono fanno parte del paesaggio stesso, non deturpano la vista. E’ un caso raro.
Dicevamo che la Valdorcia non è solo Pienza. No, come paesi ci sono anche San Quirico d’Orcia, Castiglion d’Orcia e appunto Radicofani, con le loro frazioni e la frazione di Sarteano Castiglioncello del Trinoro. Tutti valgono una gita perché ci sono ovunque cose belle da vedere: la Collegiata, il Palazzo Chigi e gli Horti leonini a San Quirico; il borgo fortificato di Ripa d’Orcia (nel comune di Castiglione) che è stato recentemente oggetto di dura dura battaglia per renderlo fruibile dopo che la proprietà privata l’aveva chiuso a chiave come resort turistico.
Ma, volendo si possono fare escursioni giornaliere anche meno… urbane. Per esempio alle “Gole dell’Orcia”, proprio nei pressi di Ripa d’Orcia. In quel punto il fiume sembra un po’ il Colorado e alle gole si arriva percorrendo un sentiero che costeggia un fosso, detto “fosso delle streghe“, il che già di per sé crea suggestione. Raggiunto il fiume ci sono un paio di punti in cui si può guadare, soprattutto in estate. Il paesaggio è di quelli che restano impressi. Non lontano c’è Bagno Vignoni che però, per chi abita da queste parti è meta fin tropo nota. Meno noto è il borgo antico di Vignoni. Se a Bagno Vignoni ci vanno tutti, da secoli. Sempre in tema di acqua e di acqua termale, a pochi chilometri di distanza c’è la cosiddetta “balena bianca” di Bagni San Filippo. Che è già una cosa diversa.
Di cosa si tratta? Si tratta di “terme libere”, in mezzo ad un bosco, nel comune di Castiglion d’Orcia. L’area è chiamata del “Fosso bianco” ed è un’insieme di pozze di acqua termale calda dove è possibile fare il bagno tutto l’anno, tra le formazioni di carbonato di calcio che prendono strane forme…Da Chiusi ci si arriva passando per Sarteano e Radicofani, tempo di percorrenza una quarantina di minuti.
Rimanendo in tema di acqua… (non termale), nei pressi di Monticchiello, altra perla della Valdorcia, si possono visitare, avendo voglia e gamba le “Buche del beato“. Posto mistico e suggestivo. Si tratta di un sistema di grotte noto da tempo immemorabile agli abitanti del luogo e non solo, sotto il nome di Buche del Beato Benincasa. Le “Buche” furono esplorate completamente per la prima volta dal Gruppo speleologico di Sarteano nel 1959 e poi dall’Associazione Speleologica Senese nel 1962. Si trovano a circa un chilometro in linea d’aria a nord di Monticchiello sulla sponda destra del torrente Tresa tributario più a valle del fiume Orcia.
La grotta è sempre stata molto frequentata soprattutto nei suoi settori iniziali perché meta di periodici pellegrinaggi da parte dei devoti al Beato Benincasa che trascorse gran parte della sua vita in uno degli ingressi. Talvolta qualche manipolo di curiosi e cercatori di tesori si era spinto fino alla sala del trono come fanno fede le molte firme incise qua e là. Negli ultimi anni con le frequenti escursioni si sono scoperte tracce di reperti preistorici in prossimità dell’ingresso basso e se ne fu fatta tempestiva segnalazione. In una delle “sale” un finissimo strato di limo ricorda che lì un tempo era mare e ci nuotavano i pesci… Un po’ come ce lo ricordano i fossili e la famosa balena preistorica di Cetona. Per arrivare e visitare le Buche del Beato serve attrezzatura da trekking e comunque è bene non avventurarsi negli anfratti, che quelli sono pane per speleologi e non per camminatori della domenica.
Se qualcuno è appassionato di giardini all’italiana gli Horti Leonini di San Quirico sono senza dubbio da vedere. Ma lo è anche il giardino della Villa-Fattoria de La Foce, realizzato dai coniugi Antonio e Iris Origo che quando acquistarono la tenuta di La Foce chiamarono l’architetto inglese Cecil Pinsent per ristrutturare gli edifici principali e creare l’ampio giardino. E poco lontana da La Foce (comune di Chianciano), è da vedere anche la fattoria fortificata di Chiarentana, che faceva parte della medesima tenuta e anche quella fu “ristrutturata” negli anni ’20 dalla famiglia Origo e anche il Castelluccio, che è invece nel comune di Pienza, sulla strada che da La Foce porta a Montepulciano. E’ un bel maniero trecentesco, ben conservato. La Foce, Chiarentana e Castelluccio sono anche luoghi letterari, è lì che è ambientato il libro “Guerra in Valdorcia” di Iris Origo, uno dei testi più belli e struggenti sui giorni della liberazione nel 1944…
Non tutti i luoghi citati sono visitabili liberamente. Meglio quindi usare la tecnologia e prenotare on line cercando i riferimenti sul web. Per chi è di queste parti, forse non serve nemmeno il navigatore.
M.L.
In visita ai giardini della Foce sono stato di recente. Se uno ama i giardini, è senz’altro un luogo da visitare. La gentilissima padrona di casa che accompagna la visita è una miniera di notizie storiche e ambientali. Del resto, è una nipote della marchesa Iris Origo: buon sangue…
Concordo con quanto sostenuto nell’articolo. Il territorio italiano tutto, è disseminato di opere d’arte di cui noi cittadini a volte non ne abbiamo la minima consapevolezza. Con ogni probabilità non sono molti a sapere che a Cerqueto, all’interno della chiesetta locale, si trovano affreschi del Perugino, che lungo la strada che porta a Marsciano in una edicola sono ospitati affreschi del XV secolo di Tiberio d’Assisi. Il borgo di Mongiovino ospita uno dei santuari di scuola Bramantesca. Uno dei pochi esempi di arte del rinascimento umbro. Fu costruito all’inizio del cinquecento.
Si narra, ma non ci sono documenti certi, che insieme al santuario di Cortona e di Todi, abbiano rappresentato i prototipi per la costruzione del Vaticano. Per quanto riguarda Mongiovino, c’è da sottolineare però un particolare di non poco conto,
Di certo quel luogo di culto, ha origini pagane. Infatti durante i lavori di restauro del 2000, si sono ritrovate tracce di un tempio pagano. E’ facile pensare che il nome Mongiovino, venga da Monte di Giove. Le mura del santuario, hanno visto passare la storia per le famiglie che ci sono sepolte come i Corgna, i Borgia, parenti stretti di papa Alessandro VI, Caterina Arcipreti della Penna-Oddi, dei Moretti. E poi gli affreschi giotteschi, realizzati nella parte più antica del complesso, ben prima della costruzione del santuario. I quadri di scuola fiamminga, Hendrik van den Broeck e Jan Wrage. Gli affreschi invece sono attribuiti al Pomarancio (la Resurrezione), ad Orazio Alfani (la consegna del Rosario), a Pierluigi da Perugia. Insomma la storia è passata anche nei luoghi che meno uno si aspetta, ed è per questo che bisognerebbe tornare a riscoprire i propri territori. Una scuola rinnovata, a tempo pieno, su modello nord Europa, potrebbe assolvere a questo compito, quello di far conoscere le tante radici storiche che hanno dato vita ai territori.
Casaioli Renato