SILVIA ROMANO E GLI UOMINI CHE ODIANO LE DONNE

martedì 12th, maggio 2020 / 16:15
SILVIA ROMANO E GLI UOMINI CHE ODIANO LE DONNE
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E meno male che la pandemia (e la paura indotta dalla pandemia) doveva renderci tutti diversi, più buoni, più umani, più attenti alle cose serie della vita…

E’ bastato  che una ragazza rapita un anno e mezzo fa e della quale non si parlava più, tornasse finalmente a casa, libera, ma con un abito islamico perché si scatenasse l’inferno. Con la povera Silvia Romano che in un baleno passa da vittima di un rapimento e quindi di un atto di violenza, a complice dei rapitori, a stupidella che se l’è andata a cercare. E giù sproloqui su quell’abito verde, sul fatto  che non sia apparentemente smagrita e provata dalla prigionia, che potrebbe essere addirittura incinta… e soprattutto sul fatto che si è convertita all’Islam prendendo il nome di Aisha. La moglie bambina di Maometto.Così ha dichiarato appena sbarcata al’aeroporto.  Un coro di distinguo, di sospetti, di improperi all’indirizzo del governo che ha sbagliato a pagare il riscatto, che doveva lasciarla laggiù, perché prima c’è da aiutare gli italiani, non chi se le va a cercare.

Ora diciamolo, i rapimenti non sono una passeggiata. Ma può capitare che il rapito si innamori del rapitore. O che ne sposi la fede o l’ideologia…

Chi ha vissuto gli anni ’70 ricorderà il caso di Patricia Hearst, l’ereditiera americana che venne rapita nel ’74  a Berkeley in California dai membri dell’Esercito di Liberazione Simbionese, un gruppo di guerriglia urbana di ispirazione comunista che chiese un riscatto di 400 milioni di dollari, ma che dovevano essere distribuiti fra tutti i bisognosi che si trovavano nelle strade della California (70 dollari per ogni bisognoso, la cifra complessiva venne poi calcolata in base a dati statistici). Patty scrisse alla famiglia «Mi è stata data la scelta di essere rilasciata in una zona sicura o di unirmi alle forze dell’Esercito di Liberazione Simbionese per la mia libertà e la libertà di tutti i popoli oppressi. Ho scelto di restare e di lottare.»

E dopo 591 giorni di prigionia divenne una guerrigliera, unendosi ai suoi rapitori…

Anche Fabrizio De André, rapito insieme alla moglie Dori Ghezzi nel ’79, intervistato dopo la liberazione sottolineò il lato umano dei rapitori (“ci consentivano, a volte, di rimanere a lungo slegati e senza bende”) esprimendo in qualche modo pietà per il loro crimine (“Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai”).  “Ho perdonato loro (i sequestratori, non il mandante) perché, potendoci fare del male, hanno scelto di trattarci bene. Vorrei che certi catoni, certa gente che mi dice ‘Dovevi prima impiccare e poi perdonare’, vivessero l’esperienza che abbiamo vissuto noi e provassero quanto è importante, in quelle condizioni, essere trattati con umanità”. Ci scrisse pure una canzone su quel rapimento: Hotel Supramonte.

E Aldo Moro, durante la prigionia, nel covo delle Br, scrisse lettere di fuoco contro il suo partito e contro la politica italiana. Quasi dando ragione ai brigatisti… Fu ucciso lo stesso, ma quelle lettere sono agli atti. In certe condizioni insomma si possono dire, scrivere o sostenere un sacco di cose, anche inusitate.

Questo per dire che anche la conversione all’Islam di Silvia Romano può essere frutto di una coercizione, può far parte di un patto per aver salva la vita. O può essere stata anche l’unica strada per resistere. Questo magari lo sapremo più avanti. E se anche fosse una scelta ponderata e maturata coscientemente, non può essere motivo per augurarle di essere stuprata o impiccata, come hanno urlato alcuni beceri esponenti di una certa politica e di certo giornalismo

Ma non è la prima volta che contro queste conversioni si scatena la rabbia fascistoide insita in una buona parte di italiani che non sempre sono brava gente. Era già successo con le due Simone, ve le ricordate? Simona Torretta e Simona Pari rapite nel 2004, anche loro cooperanti in Iraq e tornate in Italia con abiti islamici. Anche all’epoca si scatenò il fuoco di fila della destra e dei bempensanti contro “queste ragazzette che vogliono fare le eroine”.

Idem quando l’estate scorsa la capitana della Sea Watch Karola Rackete sfidò le autorità facendo attraccare la sua imbarcazione piena di migranti salvati in mare. La definirono “lurida zecca” per i capelli rasta e una criminale, per aver speronato una nave della marina italiana… La Cassazione però ha confermato che la comandante Karola aveva agito nell’adempimento di un dovere, quello cioè di salvare vite umane, stabilendo il primato del diritto rispetto a quello della forza.

Tornando a Silvia Romano due cose vanno dette: 1) la ragazza quando è stata rapita stava facendo quello che certa destra urla da anni: stava aiutando gli africani a casa loro. 2) Un governo serio e democratico ha il dovere di intervenire per salvare ogni vita in pericolo: quelle in mare,  quelle negli ospedali, quelle dei rapiti, quelle dei cittadini sotto custodia. Perfino quelle dei coglioni che vanno a fare il fuori pista in montagna e poi finiscono in un crepaccio o sotto una slavina… E l’odio che si è scatenato contro Silvia Romano (così come 16 anni fa successe alle due Simone), ma non solo l’odio, anche le perplessità e i dubbi su quei soldi spesi male, sull’utilità delle Ong ecc. nasconde al fondo, anche un altro sentimento, che è più forte se la persona in questione è di sesso femminile..

Viene in mente un romanzo di Stieg Larsson che poi è parte di una trilogia, dalla quale sono stai tratti film e pure la serie televisiva “Millennium”. Il titolo del romanzo è “Uomini che odiano le donne“. Perché in nessun caso, quando il rapito-liberato è uomo si registra un identico accanimento. Anche se qua e là, qualcuno ha storto il naso nel vedere foto di qualche giornalista ammazzato come Vittorio Arrigoni o il perugino Baldoni con la kefiah palestinese al collo.

Sono stati tanti i rapimenti, per lo più in Africa, di cittadini italiani dal 2004 in poi. Dopo le due Simone, toccò a Giuliano Paganini e Jolanda Occhipinti due cooperanti della Ong Cins, rapiti nel 2008 a Mogadiscio e tenuti prigionieri per 2 mesi e mezzo; poi a a Francesco Azzarà  di Emergency, rapito nel Darfur nel 2011 (4 mesi); e ancora Rossella Urru, del Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli, rapita in Algeria e tenuta in ostaggio per 9 mesi tra 2011 e 2012; poi ancora Paolo Bosusco e Claudio Colangelo, operatore turistico il primo e medico cooperante il secondo rapiti in India da un gruppo armato maoista, sempre nel 2012; infine Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, della Ong Horryati rapite in Siria nel 2014 e liberate nel 2015.

Tre invece sono gli italiani ancora nelle mani dei jihadisti in due zone del mondo. Nel nord del Mali, prigionieri nello stesso campo jihadista, ci sono padre Pierluigi Maccalli, missionario della Società delle missioni africane (Sma), e il turista Nicola Chiacchio, ingegnere aaerospaziale. Rapiti nel 2018 e 2019. Poi c’è padre Paolo Dall’Oglio, gesuita di origini romane e fondatore della Comunità di Mar Musa, del quale non si hanno invece più notizie dal 29 luglio 2013: è stato rapito a Raqqa, in Siria, dove era rientrato clandestinamente, dopo un’espulsione ordinata dal governo siriano, per tentare una difficile mediazione con delle milizie che si opponevano al regime.

Anche nel caso si Silvia Romano la vicenda è stata avvolta per un anno e mezzo nel silenzio. La cosa ha fatto temere il peggio, sembrava che la ragazza fosse finita nel dimenticatoio. Evidentemente, invece il silenzio era una strategia. E la liberazione avvenuta qualche giorno fa è una vittoria anche dell’intelligence italiana. “La vita dei nostri connazionali” ha detto ieri il premier Giuseppe Conte accogliendo Silvia Romano a Ciampino, “è sempre considerata una priorità assoluta”. E il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, ha parlato dei cittadini italiani che sono ancora in stato di prigionia all’estero: “Lavoreremo per riportarli a casa, il lavoro continuerà e andrà avanti”. C’è da augurarsi che finisca bene anche per loro. Se poi torneranno convertiti all’Islam o a qualcos’altro pazienza. L’importante è che tornino vivi. Anche perché i missionari o questi ragazzi delle Ong non vanno a fare gli eroi. O a provare il brivido dell’avventura. Vanno a dare una mano dove c’è bisogno.

Marco Lorenzoni

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