CHIUSI, OPERE PUBBLICHE COME VOLANO DI RIPRESA… MA BASTERANNO? IL BETTOLLINI STYLE ALLA PROVA DEI FATTI
CHIUSI – Si è tenuto ieri sera il primo incontro pubblico sul bilancio di previsione 2020 del Comune. Nella sala San Francesco si è parlato però del centro storico. Delle opere pubbliche in corso, di qualche idea per il futuro, di alcuni dati incoraggianti.
Il sindaco Bettollini che ha fatto in pratica il one man band, conducendo la serata aiutato dall’assessore Micheletti alla consolle ha presentato e spiegato i lavori al Parco dei Forti, ai Lavatoi e al Prato, che in totale ammontano a circa 1.300 mila euro. Ha fornito i dati, ancora ufficiosi, sui flussi turistici che vedrebbero Chiusi come l’unico paese con il segno più sia per quanto riguarda gli arrivi che le presenze, con un aumento della presenza media (1,9 giorni) e come il paese con la crescita più alta nelle presenze (+5,8%) rispetto all’anno precedente. Ha spiegato che già dalla prossima primavera-estate l’ex forestieria di Via Arunte, assegnata in gestione con bando ad un operatore privato, sarà a tutti gli effetti una struttura ricettiva da 40 posti letto, quindi una prima risposta alla cronica carenza di ricettività, che è stata ed è un dei motivi della difficoltà di Chiusi a fare numeri migliori sul turismo. Ha annunciato che ripartirà anche il progetto dell’albergo diffuso, attraverso l’utilizzo a tale scopo degli immobili non occupati e non utilizzati. In più c’è l’idea di chiudere al traffico Piazza XX Settembre (Pizza del Comune) per farne una sorta di salotto e luogo di movida con eventi e musica durante l’state…
Bettollini ha anche indicato nel successo del Frecciarosa (16 mila biglietti dal 9 giugno al 6 gennaio) un altro fattore che ha inciso sull’aumento di arrivi e presenze, così come a parere del sindaco anche il lavoro di promozione fatto sia in relazione al frecciarossa, sia ad altre iniziative come il rapporto con Slow Food sta cominciando a dare dei frutti.
Riguardo ai singoli lavori ha spiegato che oltre al restyling e al rifacimento di servizi, sono previsti anche interventi per migliorare la fruibilità e la sicurezza dei luoghi oggetto delle opere: un percorso pedonale protetto per esempio, dalle scuole elementari al Prato, per consentire agli alunni di andare a fare ricreazione nel giardino pubblico; l’abbattimento di barriere architettoniche al Parco dei Forti; la sistemazione di una parte dei lavatoi per consentire eventi all’interno.
A proposito dei Lavatoi, Bettollini, con l’ausilio del giovane archeologo Mattia Bischeri, ha anche annunciato uno scoop. Una notizia che entrambi hanno definito sensazionale. Ovvero la scoperta, sotto alla struttura dei Lavatoi – che è suggestiva, ma ottocentesca e di valore architettonico pari a zero – di una stratigrafia di testimonianze che consente di ridefinire la storia della città, intesa come insediamento urbano, dall’VIII Secolo a.C. Ovvero fino a 300 anni rima di Porsenna. Tutto ciò con l’idea – concordata con la Soprintendenza – di lasciarla visibile attraverso una copertura leggera e un cristallo, posto proprio in una delle vasche dei lavatoi…
Così come, su sollecitazione di alcuni interventi della platea, Bettollini ha assicurato un interessamento per rendere accessibile e fruibile il sito della Domus Romana in via dei Longobardi, attualmente lasciato in abbandono, dopo che qualche anno fa (sindaco Scaramelli) furono inaugurati in pompa magna il percorso e la struttura di copertura.
Sempre in tema di archeologia e valorizzazione del patrimonio storico-artistico, l’Amministrazione, ha spiegato ancora il sindaco – sta definendo una “mappa dei sentieri” che dal centro storico portano ai vari siti archeologici sparsi nel territorio, dalle tombe etrusche alle catacombe paleocristiane ecc. Ciò per favorire la fruizione del patrimonio secondo una logica “slow”: passeggiate, visite a piedi, o in bici, per godere anche del paesaggio.
Come abbiamo scritto in altro articolo, i lavori in corso sono una bella iniezione di denaro e il restyiling di comparti degradati, non è solo una questione di doverosa manutenzione, ma anche di recupero e valorizzazione di aree e monumenti che possono essere validi biglietti da visita e al tempo stesso polmoni di vivibilità, anche per i residenti.
Ma, anche dagli interventi del pubblico all’incontro di ieri sera, è proprio quella dei residenti la nota dolente. Senza una iniezione di nuovi abitanti, senza la ripresa di piccole attività artigianali e commerciali che sono la vita di un centro abitato, anche le opere pubbliche per quanto importanti, rischiano di rimanere ininfluenti. I turisti, da soli, che adesso cono circa 30 mila l’anno, anche se diventassero 50 mila (e non sarebbe neanche una utopia), non risolverebbero il problema. Perché la città deve vivere di vita propria, il turismo è un di più, è la ciliegina, anche la panna forse sulla torta, ma la torta sono i residenti. E la torta deve essere fatta con ingredienti buoni, genuini, di qualità. Per cui, serve anche uno sforzo per aumentare e migliorare non solo la quantità delle strutture ricettive e di servizio, ma anche la qualità dell’offerta. Dei bar, dei ristoranti, dei negozi, degli uffici e punti di “accoglienza”.
Senza residenti, però è difficile per gli operatori scommettere e investire, spesso è difficile anche tirare avanti. E’ il classico serpente che si morde la coda.
Da qui la necessità – insieme alla valorizzazione del patrimonio, ad iniziative che ne favoriscano la fruizione (vedi il biglietto unico per i musei, che in un anno ha raddoppiato il numero) – di una politica di “rimboschimento”, ovvero di ripopolamento del centro storico. E contemporaneamente di una battaglia culturale per riabituare la gente ad uscire di casa, non solo quando c’è un evento di massa. Chiusi, come molti altri centri storici (ma il discorso si può fare anche per lo Scalo) ha prima di tutto bisogno di gente e di “riabilitazione”, come un malato che deve reimparare a camminare, a parlare speditamente, a stare in compagnia…
Lo abbiamo scritto tante volte: dal punto di vista architettonico, Chiusi non è Montepulciano o Città della Pieve. Non ha una piazza in cui hanno lavorato in contemporanea le 4 archistar del Rinascimento (neanche Firenze ce l’ha); non ha un figlio illustre come il Perugino; non ha un “prodotto trainante” come può essere il Vino Nobile o in una certa misura lo zafferano pievese; ha fatto da set per qualche film, ma non filmoni o produzioni internazionali (come I Medici)… Non ha avuto un Papa importante come Pienza. Non è una “città ideale” da studiare nei libri di storia dell’arte.
Ma è una cittadina ben tenuta, con un panorama piacevole e una posizione invidiabile. Ha un museo nazionale importante e altri due significativi. Ha una cattedrale tra le più rilevanti della Toscana, ha catacombe paleocristiane che, dopo Roma, ne fanno uno dei siti di maggiore importanze per la cristianità dei primordi… Ha un bel teatro in stile razionalista, quindi insolito, e anche piuttosto attivo; ha un lago e una cucina lacustre particolare. E’ centrale e ben servita da autostrada e ferrovia, ora anche dall’alta velocità; ha una decina di ristoranti, alcuni dei quali stellati o con la chiocciola di Slow Food.
Diciamo che ha insomma le sue carte da giocare. Chi arriva da fuori può avere e di solito ha una buona impressione, molti visitatori rimangono addirittura sorpresi, quasi folgorati dalla bellezza di certi luoghi e dall’importanza di certi altri.
Ma spesso chi arriva da fuori rimane anche tramortito dal… deserto. Dalla poca gente in giro. C’è un libricino di Giovanni Ferrara, intitolato “La Sosta”, editore Sellerio, che descrive bene questa sensazione. Ed è di 30 anni fa… Adesso è peggio.
La città è in crisi, da anni. Sia dal punto di vista demografico che da quello economico. Chiusi non sta peggio di altri paesi, ma neanche meglio. Langue, come molti altri.
Qualcuno, in polemica con l’amministrazione, sostiene che la situazione sia ormai irrecuperabile, che cercare soluzioni plausibili sia solo “accanimento terapeutico”.
L’amministrazione comunale non avrà una gran visione strategica, ma anche questa è storia antica, non l’hanno avuta neanche Poggioni, Ciarini, Ceccobao e Scaramelli. L’ultimo tentativo di “visione strategica” è stato il Piano Regolatore del 1974 – sindaco Laurini – che però quanto a previsioni si è dimostrato ottimistico, sovradimensionato e sbagliato, perché presupponeva uno sviluppo che non si è verificato. E forse non poteva verificarsi.
Sembrava averci azzeccato fino al 1985-90, quando Chiusi sfiorò i 10 mila abitanti e visse una sorta di rinascimento commerciale-produttivo e scolastico. Poi, negli anni successivi tutta discesa. A tratti rovinosa. Fino alla “decadence” attuale, che non è colpa di Bettollini & C. intendiamoci. Tropo facile sarebbe attribuirne la responsabilità ai govern locali. E’ colpa di una crisi feroce che dal 2008 in poi non ha fatto prigionieri, ha massacrato imprese e centri abitati senza pietà. E anche di un tessuto imprenditoriale, di una classe dirigente politica ed economica e in definitiva di una cittadinanza che si è adagiata e non ha saputo rigenerarsi e dare risposte convincenti.
Certo, alcune scelte come quella di “decentrare gli insediamenti abitativi”, di creare nuovi agglomerati a Vigna Grande, sulle colline intorno a Chiusi Scalo (Porto, Poggio Gallina, Santa Caterina, Pozzarelli), o a Poggio Olivo e Toppo Basso se da una parte ha dato risposte a certe esigenze, dall’altro ha contribuito allo “spopolamento” dei centri abitati e alla cultura individualista della villetta a schiera, che è il contrario della vita di paese e di quartiere…
Ha portato la gente a rinchiudersi in giardino e a smettere di frequentare le piazze, i bar, i circoli, le sezioni di partito e perfino le parrocchie…
L’esplosione dei centri commerciali (anche quelli sempre più decentrati e fuori dai centri abitati) e poi dei social media e del commercio on line ha fatto il resto dando il colpo di grazia ad un tessuto commerciale già duramente provato e falcidiato…
Queste sono tendenze mondiali, planetarie, non solo locali, e anche da questa consapevolezza deriva una certa assuefazione, una certa rassegnazione. Come può rialzarsi una cittadina duramente colpita, se è così che gira il mondo?
Beh, Chiusi si è rialzata tante volte da situazioni anche peggiori, nei secoli passati, l’ultima volta nel secondo dopoguerra, quando la città liberata dai nazifascisti si ritrovò con il 92% di case e locali diversi inagibili o lesionati, con la stazione rasa al suolo e con una popolazione stremata e affamata, senza più alcuna certezza.
Allora, nel lanciare la ricostruzione, l’amministrazione locale, espressione prima del CLN poi dei partiti antifascisti ricostituiti nella Resistenza, favorì un patto tra proprietari di immobili, artigiani, commercianti e cittadini, per “ripopolare” il centro storico e Chiusi Scalo, incentivando la ripresa delle attività produttive e artigianali, il piccolo commercio e la residenza con affitti a basso costo e agevolazioni varie, alcune sul filo del rasoio della legalità formale…
Una sorta di New Deal de noantri, che portò Chiusi a rifiorire e ad anticipare il boom economico di 10 anni, forse più…
Oggi, fatte le debite proporzioni (la situazione non è drammatica come nel ’45) servirebbe qualcosa del genere, ovviamente aggiornata e corretta secondo le necessità attuali…
Le opere pubbliche oltre che necessarie per manutenzione, tutela e valorizzazione del territorio, sono sempre state un “volano” della ripresa economica e anche del welfare state, sono uno dei cardini della politica socialdemocratica. E sono il contrario della politica iperliberista che ci ha ubriacati negli ultimi 30 anni. Quindi le opere messe a cantiere da Bettollini e Micheletti sono interventi significativi: utili, necessari, politicamente opportuni e giusti. Ma senza il giusto contorno, non basteranno né a rivitalizzare il centro storico, né a garantire di vincere le elezioni nel 2021.
Perché in una città senza identità, senza più alcuno spirito unitario, solidale, di comunità, anche le opere pubbliche diventano un semplice atto dovuto, il minimo sindacale. E anche terreno di scontro tra chi la vuole bianca e chi la vuole nera, ma per divisioni ancestrali, per punto preso, non sulla base di valutazioni oggettive di opportunità. In una città disorientata e smarrita è più facile che prevalga la logica dei Guelfi e Ghibellini che magari sfocia nella diatriba fascisti-comunisti, che non una logica di confronto serio sul che fare per uscire dal pantano e dalle nebbie del’incertezza.
Nei prossimi giorni ci saranno altri incontri sul bilancio comunale di previsione, promossi dall’Amministrazione Bettollini. Alcuni presso associazioni (Auser, Ada, Volto Amico..) altri in sedi neutre.
sul periodico Chiusiinforma, anche in questo tipo di assemblee c’è indubbiamente un po’ di propaganda. E’ inevitabile. Ma c’è anche la possibilità di dire la propria, di ascoltare e annotare posizioni, integrazioni, contributi di operatori economici, sodalizi sociali, sindacati, comitati e singoli cittadini. Oltre alle forze di opposizione, se parteciperanno.
L’impressione è che il clima sia già molto diverso da quello che era due mesi fa, nel mezzo e dopo la vicenda Acea. Sembra che tanto la giunta quanto la gente abbiano tratto lezione da quella dura contrapposizione e adesso si cerchi di ragionare almeno pacatamente e in maniera civile. Ieri sera alla sala San Francesco così è stato e la platea non era fatta solo dalla claque degli amministratori.
m.l.
È vero che sia saltato il turno di intervento di un partecipante che poteva essere critico?
Non lo so, personalmente non me ne sono accorto. Io sono intervenuto perché il sindaco mi ha chiamato in causa per l’articolo che avevo scritto prima della serata sul tema in discussione… Credo di aver fatto un intervento abbastanza critico, non sui lavori presentati, che mi sembrano necessari, utili, e doverosi, quanto sullo “stato dell’Unione”, cioè sulla desertificazione commerciale e artigianale, sul calo demografico, su certe scelte urbanistiche risultate negative ecc… Cose che ho ribadito anche in questo articolo. Forse Fiorani, che ad un certo punto si è alzato ed è uscito… Ma non so se aveva chiesto di intervenire. Dopo di me sono intervenuti altri (Marco Fè e brevemente Bonella Martinozzi per esempio…) ed è stato chiesto se c’era qualcuno che voleva parlare…
Fiorani si era prenotato prima di Marco Fè a quanto ne so. È probabile che sia uscito per proesta. Come al solito in queste occasioni il sindaco fa dei lunghi pipponi. Poi come è successo chiama ad intervenire come nel tuo caso e il dibattito si riduce a quasi niente.
Lunedì sera qualche intervento c’è stato, alcuni anche abbastanza critici o “problematici”, magari su aspetti particolari e di interesse personale o di quartiere… Ma nel complesso non è stato un coro di bene bravi bis… La platea sembrava anche abbastanza partecipe e informata. Credo sian emersi anche aspetti di criticità della situazione e alcune necessità…
Io credo, banalmente, che la gente tornerà ad abitare a Chiusi quando avrà un buon motivo per farlo. In altre parole quando troverà più interessante abitare qui invece che altrove. Poichè a Chiusi non ci sono grandi attività economiche e industriali che possano attirare abitanti, nè Università o Ministeri o altro di simile, occorre esplorare altre vie. Nell’articolo si parla della ricostruzione nel dopoguerra e un buon modo di procedere sarebbe proprio di stipulare anche ora un patto tra proprietari di immobili, commercianti, titolari di attività economiche, Comune, affinchè i proprietari siano incoraggiati ad affittare e i potenziali inquilini a prendere in affitto; penso a una forte riduzione dell’Imu e tasse comunali e/o ad agevolazioni o sconti di altro genere; non è facile anche perchè impatterebbe sul bilancio comunale, ma qualcosa si potrebbe tentare. Ci sono molti appartamenti e negozi chiusi anche da anni e riuscire a farne abitare o riaprire qualcuno sarebbe già un buon inizio. E’ necessario, però, anche essere mentalmente “accoglienti” e questo a Chiusi un pò difetta. Al momento, in tutta onestà, non vedo quale buon motivo ci sia di venire a risiedere a Chiusi, se non per un breve periodo di vacanza o per specifiche ragioni famigliari.