PERUGIA COME CHIUSI E CHIANCIANO, SENZA ABITANTI E SENZA NEGOZI… SI CERCANO SOLUZIONI PER INVERTIRE UNA TENDENZA COMUNE A TANTE CITTA’

martedì 25th, febbraio 2020 / 13:40
PERUGIA COME CHIUSI E CHIANCIANO, SENZA ABITANTI E SENZA NEGOZI… SI CERCANO SOLUZIONI PER INVERTIRE UNA TENDENZA COMUNE A TANTE CITTA’
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Sono almeno 20 anni che sulle colonne di primapagina compaiono titoli del tipo “Chiusi voce del verbo chiudere” e articoli sull’impoverimento progressivo del tessuto commerciale, artigianale e abitativo del centro storico e anche di Chiusi Scalo. Stesso discorso lo abbiamo fatto tante volte per Chianciano che un tempo era una sorta di Las Vegas e adesso (da 20 anni almeno), è una ghost town piena di alberghi e negozi chiusi. Il problema è reale e nessuno ha trovato finora la medicina. Ma quello dello svuotamento, dell’abbandono e della chiusura delle attività nei centri storici e negli agglomerati urbani non è un problema che riguarda solo Chiusi e Chianciano. Né soltanto cittadine delle dimensioni di Chiusi e Chianciano, cioè tra i 5 e i 10 mila abitanti. Il problema non è neanche solo italiano e riguarda anche città importanti, molto più grandi, comprese alcune città con centri storici rilevantissimi e celebrati, sede di università prestigiose, magari anche di Regione, di grandi ospedali… Perugia per esempio.

Dal 2008, anno di inizio della grande crisi economica, il capoluogo umbro che supera i 150 mila abitanti, registra sotto l’aspetto dell’offerta commerciale e della vivibilità dell’Acropoli, un vero e proprio tracollo.

Qualcuno, anche tra i nostri lettori, ricorderà la sparatoria in piazza nel maggio del 2012 tra polizia e spacciatori, come in una scena della serie “Narcos” ambientata in Messico e a Medellin, segnale inequivocabile del degrado di alcuni quartieri, anche nelle zone “nobili” e non solo nelle periferie.

Uno studio di Confcommercio sulla Demografia d’impresa nelle città italiane, conferma per Perugia un declino inarrestato e al momento inarrestabile, con trend in discesa anche negli ultimi anni.  Le imprese del commercio al dettaglio sono diminuite del 5% dal 2016 al 2019 nel centro storico di Perugia (298 nel 2016 contro le 284 del 2019); con un calo dell’1% anche per gli alberghi, bar e ristoranti. Ma se si guarda alla situazione pre 2008, il confronto è impietoso:

Nel nel centro storico le attività commerciali sono diminuite del 32,4% (erano 420 nel 2008); forte diminuzione anche per alberghi, bar e ristoranti che nel 2019 hanno segnato un -14,6% rispetto al dato di dieci anni prima. Qualche attività di questa categoria si è spostata in altre aree del territorio comunale, dove si registra una crescita del 15% nel periodo 2008 – 2019. Dato questo che segnala una sorta di “paura” ad operare nel centro storico, con conseguente abbandono del campo.  Non solo. Molte attività tradizionali (negozi di quartiere, pizzerie, bar, tabaccherie ecc…) sono state via via sostituite da attività “etniche” gestire da nordafricani, indo-pakistani e cinesi.

Il presidente di Confcommercio Umbria Giorgio Mencaroni sottolinea la necessità di far rinascere le aree urbane, “è una delle cinque priorità che abbiamo sottoposto lo scorso ottobre ai candidati degli opposti schieramenti in lizza per le elezioni regionali, in un’ottica di sviluppo dell’intera economia regionale, dice Mencaroni, aggiungendo che “in questo momento gli uffici Confcommercio stanno lavorando ad una ipotesi di legge regionale speciale per la rigenerazione urbana, e al bando collegato. E che su questi contenuti, Confcommercio Umbria chiederà presto un confronto con la presidente della Giunta regionale Donatella Tesei.”

“Bisogna riportare vita, consumi, residenti e funzioni nei centri storici e nelle aree urbane, luoghi dove operano tante nostre imprese, che svolgono un ruolo essenziale di presidio e di servizio al territorio. Occorre adottare modelli di progettazione integrata e sistemica delle città con incentivi e servizi per ripopolare i centri storici di residenti e funzioni, per la riqualificazione delle periferie e per la rigenerazione sociale dei borghi”.

In sostanza ciò che afferma il presidente di Confcommercio Umbria è molto simile a ciò che abbiamo scritto qualche giorno da su queste colonne, a proposito  di un incontro sul bilancio comunale di Chiusi in cui si parlava specificatamente del centro storico. Chiusi non è Perugia, ma le dinamiche sembrano essere le stesse. Come sembrano essere gli stessi gli effetti della crisi, delle politiche commerciali adottate, e anche quelli del cambiamento in atto nel modo di acquistare e consumare. “Rigenerazione urbana” attraverso incentivi al ripopolamento sia residenziale che commerciale e produttivo, questa la parola d’ordine per sperare in una inversione di tendenza.

In Italia, anche nelle zone periferiche e di provincia si è affermato negli ultimi 15 anni un sistema commerciale che negli Usa e nei paesi turbocapitalisti non solo occidentali è in atto da più tempo ancora: prima i mega centri commerciali decentrati diventati le nuove cattedrali, poi la tecnologia, l’e-commerce spinto al massimo da colossi come Amazon… ma adesso anche negli Usa, in Australia, in Canada, in Inghilterra, in Francia, in Giappone… si delinea un ripensamento. E si torna a guardare e a “reimpiantare” i negozi e i mercati di quartiere, si riscopre la necessità di mangiare più sano, quindi cibi e prodotti a km zero da aziende del territorio o comunque ad origine controllata e tracciata. Questa filosofia che poi è la filosofia di organizzazioni come Slow Food, per esempio, può contribuire alla rinascita di attività agricole, ma anche alla rinascita del piccolo commercio e dei centri storici sia nelle città che nei piccoli comuni e nei borghi. E potrebbe anche favorire il turismo, almeno quello più lento, attento consapevole e sostenibile. Che per i centri storici è il migliore.

C’è un’altra strada percorribile per evitare declino, decadenza e abbandono, quindi per evitare la progressiva desertificazione sociale? Al momento altre ricette non se ne vedono. Allora i sindaci, magari insieme alla organizzazioni di categoria (ma non in mod subalterno) potrebbero cominciare a pensare a piani commerciali ad hoc per i centri urbani, a possibili incentivi a chi insedia nuova attività o rivitalizza quelle esistenti, ma facendo attenzione alla tipologia delle attività, in modo che l’offerta sia ampia e variegata e possa rispondere  a tutte le esigenze sia dei residenti che dei visitatori.

E’ vero che le attività chiudono perché mancano i residenti, cioè non c’è gente che possa comprare, ma è anche vero che i residenti calano proprio perché nei centri storici mancano i servizi essenziali, intesi anche come il salumiere, l’edicola, o il negozio di scarpe, o il fruttivendolo. Il serpente che si morde la coda. Ma la spirale perversa si può forse interrompere, in alcune città italiane soprattutto di mare e a forte flusso turistico estivo, sono state sperimentate forme di impresa collettive, che offrono una filiera completa dal produttore al consumatore (pesce, farina, frutta ortaggi, pasta, pane…) locali che sono al tempo stesso mercato rionale di prodotti a km zero, ma anche “boutique di gastronomia tipica” e infine pure ristorante o risto-pub…

Pare che funzionino, anche abbastanza bene. Qualcosa del genere potrebbe essere sperimentato anche laddove non c’è il mare, ma c’è un lago, anzi ce ne sono 3, uno attaccato all’altro (Trasimeno, Chiusi, Montepulciano) oppure dove non c’è il mare ma ci sono le colline del Vino Nobile e del Brunello di Montalcino, dove si produce il pecorino di Pienza o il grano della Valdorcia, la cinta senese e la Chianina…

Tentativi del genere sono stati fatti anche in settori diversi da quello alimentare, mettendo insieme e a sistema rivenditori, riparatori di mobili o elettrodomestici e arredatori, elettricisti, idraulici, imprese di pulizia con servizi anche di pronto intervento..

Una cosa è certa. il declino dei centri storici è arrivato in molti casi al punto di non ritorno. La necessità di una svolta deve far aguzzare l’ingegno… Tornare al passato (come idea di fondo), ma con la tecnologia e la conoscenza di oggi a supporto potrebbe essere un’idea mica tanto sballata…

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