LA LIBERAZIONE, LA BOMBA DI MOIANO… PERCHE’ E’ GIUSTO CELEBRARE IL 25 APRILE. ANCHE OGGI
Oggi è il 23 aprile. Il 23 aprile del 1974 scoprimmo che la strategia della tensione, il terrorismo, la politica delle bombe e delle stragi cominciata con la bomba di Piazza Fontana nel ’69, non riguardavano solo le grandi città, che non erano cose di cui si parlava solo nei telegiornali, ma ci riguardavano tutti, da vicino, molto vicino, anche in questo territorio. Nella notte tra il 22 e il 23 aprile del ’74 una bomba scoppiò alla Casa del Popolo di Moiano, luogo simbolo della sinistra umbra e non solo. Quella casa del Popolo che dieci anni prima, nel ’64, era stata inaugurata da Palmiro Togliatti. E che dopo la morte di Togliatti vide parlare Luigi Longo dalla terrazza. L’ordigno esplose intorno alle 2 e mezzo del mattino, nel vano di ingresso ai piani superiori, praticamente dietro la parete che faceva da divisorio con il bar. Se fosse scoppiato a mezzanotte o all’una avrebbe potuto causare una strage. Alle 2 e mezza non c’era più nessuno, fortunatamente, né al bar, né all’interno delle sale riunioni… Lo scoppio mandò in frantumi i vetri di molte abitazioni, perfino le vetrate della chiesa che è a 200 metri circa di distanza. Non era un ordigno giocattolo, né una bombetta dimostrativa. Era un kg e mezzo di tritolo. Il doppio della bomba che qualche settimana dopo, il 28 maggio, fece 8 morti a piazza della Loggia a Brescia.
La miccia a lenta combustione ci mise un po’ troppo a bruciare. Non si sa se la cosa fu voluta per evitare guai più seri o se fu un errore degli attentatori. Ma che si trattò di un attentato di chiara marca fascista, alla vigilia del 25 aprile non c’è alcun dubbio. Anche perché nella stessa notte altri ordigni simili esplosero a Milano, Lecco, Palmi presso altre case del popolo, sezioni di partito, sedi del sindacato.
Quello di Moiano fu un attentato fortunatamente senza conseguenze. Ma solo per caso, per fortuna. Così come un anno dopo, 31 maggio 1975, quando un altro ordigno esplose sulla linea Firenze-Roma all’altezza di Castiglione del Lago, facendo saltare il binario su cui passò pochi minuti più tardi un treno pendolari che per un altro caso o ancora per fortuna non deragliò, e non andò a fuoco, come invece successe all’Italicus nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, nell’agosto del ’74: 12 morti e 48 feriti.
Il 25 aprile del 1974 si celebrò ugualmente a Moiano, con una grande manifestazione indetta da Cgil-Cisl e Uil e dai partiti antifascisti. Una folla mai vista, nemmeno per Togliatti. Doveva venire il segretario nazionale del Pci Enrico Berlinguer, ma i dirigenti comunisti ritennero che a terrazza da cui avrebbe dovuto parlare era troppo esposta a rischio di nuovi attentati e Berlinguer rimase a Roma…
Il ricordo di quei giorni, per chi c’era, è ancora vivo. Come è vivo il ricordo delle “guardie armate” intorno alle sezioni e alle case del Popolo. La “notte del golpe” sempre nell’estate del ’74, quando anche a Chiusi, Città della Pieve, Moiano si avvertì un certo “tintinnio di sciabole” e molti militanti comunisti, del sindacato, dei gruppetti extraparlamentari decisero di stare all’erta e di dormire fuori casa. In montagna, come i partigiani di 30 anni prima…
Ecco abbiamo ricordato quei giorni di 45 anni fa, per segnalare che dopodomani è il 25 aprile. Che non è come dice Salvini la ricorrenza del derby tra comunisti e fascisti, ma la festa nazionale per antonomasia. La festa del riscatto. La celebrazione della Liberazione dal nazifascismo e quindi della vittoria della democrazia e della libertà sulla dittatura e sull’occupazione straniera. E i partigiani che contribuirono alla Liberazione non erano tutti comunisti. C’erano militari, monarchici, liberali, cattolici, socialisti, azionisti, insieme ai comunisti.
Sono passati 75 anni dai giorni della liberazione e 45 da quell’estate “rovente” del ’74, un tempo lungo. Ma il fascismo non è morto. Probabilmente come dice qualcuno, non se ne è mai andato. Per qualche decennio è rimasto all’angolo, bandito dalla storia e dalla coscienza collettiva, ridotto a retaggio violento e stragista, pericoloso, ma minoritario. Adesso invece rialza la testa ovunque in Italia e in Europa, ma non solo. Certi governi sovranisti e ultranazionalisti lo stanno sdoganando di nuovo, come fosse un’opzione politica al pari delle altre. Si rivedono in giro saluti romani, camicie nere e simboli che non dovrebbero avere cittadinanza neanche nei mercatini di memorabilia. E si riaffaccia la violenza fascista contro i diversi, contro i rom, contro le minoranze, contro i più deboli… E ci sono sindaci che vietano o annullano le celebrazioni della Liberazione, politici nazionali e locali che ne chiedono la cancellazione in quanto “ricorrenza divisiva”, altri che si fanno fotografare accanto al busto di Mussolini.
Ecco, nel nostro piccolo, noi diciamo invece che il 25 Aprile non si tocca. E che è giusto celebrarlo. Ovunque. E celebrarlo andando in piazza. Non come un rituale ormai stanco e svuotato di significato, ma come segnale inequivocabile che la storia non si cancella, per dire con forza e fermezza che le due parti che 75 anni fa si combatterono, non erano equivalenti, ma c’era chi stava dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata. Diciamo ai nostri lettori che dopodomani, il 25 aprile, è giusto andare in piazza, partecipare alle celebrazioni organizzate dai Comuni, dall’Anpi, senza la puzza sotto il naso, perché magari c’è quel sindaco, quel dirigente, quell’assessore con cui si è avuto qualcosa da ridire su questioni politiche o amministrative. Non è questione di destra o sinistra. Il fascismo rialza la testa nella cultura diffusa e materiale delle persone, riemerge ovunque ci sia un seme di intolleranza verso la cultura, verso l’informazione, cioè verso i libri, verso i giornali e i giornalisti, verso gli scrittori e i poeti. E di segnali del genere sono piene le cronache purtroppo. Quindi è giusto ed è un dovere essere antifascisti. Dichiararsi antifascisti. Manifestare il proprio antifascismo. Qualcuno dirà che è retorica. Che è come agitare fantasmi inesistenti e bandiere consunte. Per noi, non è così. E ci piace ricordare (e sottolineare) che la bandiera del 25 aprile è il tricolore, non la bandiera rossa; che la canzone del 25 aprile è Bella Ciao, non l’Internazionale. E che Bella Ciao è diventata e sta diventando in tutto il mondo, il canto della libertà, del riscatto, della democrazia…
Chi legge Primapagina lo sa, a noi piacciono pure le bandiere rosse e l’Internazionale, ma questa è un’altra storia. E ci piace anche il rock di Bruce Springsteen: “dovunque ci sarà un poliziotto che picchia qualcuno, un bambino che piange per fame, una rivolta contro il sangue e l’odio che intossicano l’aria, dovunque ci sarà qualcuno che lotta per la dignità, per un lavoro decente, che ha bisogno di una mano, dovunque ci sarà qualcuno che lotta per la libertà, cercami mamma, è lì che sarò…“. Noi il 25 aprile, da qualche parte, in qualche piazza, ci saremo.
m.l.
Sottopongo alla riflessione dell’autore questo breve commento estrapolato da un intervento di Marco Della Luna che condivido pienamente:
Celebrazioni come il 25 Aprile hanno la funzione di creare l’illusione che la tendenza al dispotismo e al totalitarismo sia non insita in ogni sistema di potere in quanto strumento di un interesse elitario, ma circoscritta a un determinato regime, legata a caratteristiche (im)morali del medesimo, e che possa essere vinta definitivamente abbattendo quel regime e, dopo, continuando ad attaccare i suoi apologeti reali o inventati.
Siffatte celebrazioni servono quindi ad accreditare come esenti da quella tendenza autocratica i regimi di volta in volta in sella e le forze che in essi si collocano ed operano. Servono a far credere nella democrazia, quindi nella responsabilità del popolo per le scelte prese sopra la sua testa. Servono a identificare-separare i noi, i buoni, dagli altri, i malvagi (quindi sono necessariamente divisive, perché ogni identità sociale consiste nel distinguere l’ingroup dall’outgroup). Svolgono insomma funzioni rassicuranti, identificanti, legittimanti, che sono indispensabili per tenere insieme un vasto corpo sociale di persone ordinarie che non sosterrebbero la consapevolezza della realtà.
X Carla.Può anche esistere secondo me codesta constatazione,apparire di una certa profondità riflessiva e di critica e non ne contesto le considerazioni sugli aspetti valoriali della ”democrazia” che alla fine seguendo il suo discorso si possa addivenire ad un punto di arrivo e che possa essere questo una pura illusione.Tutto questo-ed è il mio preciso pensiero- però prescinde dalla realtà poichè seguendo codesto discorso si va fuori dal campo delle idee che alla fine lo si voglia o no hanno sempre guidato gli uomini.Dico così per il fatto che mi sembra che alla fine dal suo discorso non nasca nulla, nasce solo una presa di coscenza basata esclusivamente sulla propria visione ed interpretazione, un fatto quasi personalistico,reputato quasi inviolabile in nome di una sacralità individuale del sentire,ed anche se confrontato con i fatti nel divenire della storia mi sembra che ne risulti in tutti i casi una considerazione superficiale,una specie- come dire- della montagna che partorisca il topolino.Nel suo discorso non si considera nè il cosiddetto ”materialismo storico” che contrassegna la diversità di pensiero a seconda dei modi in cui uno si procuri da vivere, nè le spinte evoluzionistiche umane nel tempo.Una specie di immobilità consapevole sì, ma ripiegata su se stessa, senza avere una speranza alla fine di riuscire a smuovere qualcosa perchè tutto alla fine ritorna al punto di partenza,con un negazionismo evolutivo che qualsiasi idea e qualsiasi percorso negativo o positivo possa essere una pura illusione.E dico questo perchè forse io parto da una considerazione che l’elemento umano sia un connubio di individualità ma anche di socialità, che plasma anche l’individuo e lo faccia variare nel tempo.Un sistema dinamico, evolutivo ed anche involutivo, ma un sistema dinamico però,che tiene conto delle esperienze e degli errori,ma pur sempre dinamico che si confronta con le aspettative: cioè in poche parole con la vita e con la speranza di cambiamento.Nelle considerazioni che lei fà, mi sembra che ammettendo che ogni regime autocratico abbisogni del potere di convincimento verso le masse servendosi della democrazia instillata e dividendo i buoni dai cattivi,si veda da tale impostazione il rovesciamento da quella che viene ritenuta essere ”democrazia”.
L’evoluzione forte o debole che sia ed i suoi ritorni indietro creano un vissuto, una memoria, creano la conoscenza del perchè i fatti avvengano,creano una coscenza e questa costituisce la base del cambiamento. Dire come dice lei che comunque vada l’esercizio del potere contenga il dato che la gente consapevolmente ne soggiaccia, rassicurata e rinunciataria a pensare a comportamenti politico, sociali, umani diversi e dinamici, a me dà l’impressione proprio dell’impotenza della singola persona a concepire ed a voler spingere con pensieri ed atti nella vita che incontra con gli altri,ad essere ripiegata su se stessa e quindi come a non avere più speranza di cambiamento.La democrazia anche se imperfetta come quella che viviamo ogni giorno, credo che per chiamarsi tale debba contenere l’estrinsecazione della libertà di lottare,quasi come un sentimento individuale di noi persone,che crediamo che la nostra azione di lotta individuale insiema ad altri possa pesare per spostare gli equilibri.La sua concezione in definitiva mi sembra antistorica perchè se prendiamo il passato- ed in fondo sono solo 2000 anni che esiste la storia conosciuta evolutiva dell’uomo-esso
non vive più come viveva prima ed usava la forza bruta verso i propri simili e verso la natura. Oggi se esiste un problema qualsiasi si cerca di affrontarlo col metodo della ragione e tale metodo NON E’UN ILLUSIONE perchè alla fine nulla produca,ma invece produce differenza, scontro-incontro, dinamica e nessuno e nulla resta come era un momento prima.Ecco perchè secondo me codesta è una falsa visione procurata facilmente o da arroccamenti in torri eburnee che nulla producono se non isolamento, oppure sono il parto di come uno abbia vissuto la propria vita per il motivo che non siamo riusciti a far tesoro dell’esperienza e del vissuto.Molti anni fa personalmente feci parte di un gruppo di discussione pubblica chiamato GAB (genitore, adulto, bambino ) dove ognuno raccontava le proprie esperienze di vita,nella vita vissuta individualmente ma anche socialmente nella famiglia.Queste discussioni erano fatte senza veli e l’una si alternava all’altra ed ognuno discuteva corampopulo su quella propria e su quella degli altri.Si verificavano fatti inaspettati che uscivano fuori da persone fino allora reputate ”normali” e che erano ”normali” in effetti poichè tutti abbiamo dentro una quantità di adulto, bambino e di genitore.Sarebbe bene secondo me talvolta mettere sotto critica certi nostri pensieri ed esaminarli e cercare di capire il perchè uno li pensa in quel dato modo.
Credo che tutti ne usciremmo forse non migliori ma di sicuro più propensi ad accettare quanto avviene intorno a noi ed a guardare gli avvenimenti non con umiltà religiosa ma a ” sentire” che ci servono per il nostro vivere. Forse in quel modo anche il concetto di ”democrazia” conterrà un qualcosa che ci farà vedere che quelli che reputavamo cattivi quell’etichetta che gli avevamo applicato non era poi molto pertinente.E tutto questo è il contrario dell’arroccamento e porta a credere che non sia vero che tutti una volta raggiunto il potere diventino
autocratici, autoprotettivi ed anche automanigoldi.Perchè ci sono state manifestazioni nella storia che non sia stato sempre così.E’ una lotta lo sò, ma se si lotta ci si libera anche dal lato oscuro di noi stessi.Se non si lotta siamo portati a credere a nulla e si crede solo alla nostra individualità e si finisce per perorare solo quella e quella dei pochi che ci stanno vicino, ma sarebbe la fine del mondo.
Rileggendo dopo un giorno ciò che ho scritto sul tema del quale lei ha preso spunto, ho sentito il bisogno di aggiungere che seguendo il suo ragionamento si è inevitabilmente portati qualsiasi cosa succeda intornoa noi e non voluta da noi. ad essere spetatori inermi del divenire. E’ inevitabile che a questo punto possa scattare il ragionamento che tutto questo percorso che lei esamina non possa assolutamente prescindere dalle condizioni materiali in cui si sviluppa e quindi lì’ dentro alle condizioni temporali-materiali esiste già una entità prodotta nel tempo,che possa piacere o non piacere tale entità questo non è molto importante ai fini del suo discorso, ma la reazione individuale di porsi della quale lei ha fatto la fotografia rispetto al sentire del problema politico pesa comunque sia che lei voglia o non lo voglia,se non altro perchè lei è uno, un singolo elemento umano in un altro mare sterminato di elementi umani.E pensare che tale peso non esista anche se è quello di un granello di sabbia è erroneo se paragonato allo sviluppo storico-temporale delle cose.Naturalmente il rispetto del suo pensiero è d’obbligo anche in una discussione di questo tipo,ma contrasta credo con la spiegazione che lei voglia dare che ”sia l’illusione che guidi gli uomini” sotto qualunque forma politica, sotto qualunque governo essi scelgano di stare.Secondo il mio sentire non è illusione ma condizione materiale di esistenza reale dalla quale provengono i nostri atti ed anche i nostri pensieri,e quindi le nostre azioni.Dire che ci sia bisogno di una illusione per vivere credo che si sconfini nella religione,che aiuta gli uomini a vivere,corrobora le loro speranze, ma non sposta di una virgola la realtà materiale del mondo dove sono immersi dal punto di vista fisico.Lo sposta dal punto di vista emotivo di nutrire il bisogno che sia presente tale stato dentro la persona, ma quella è una illusione per il semplice fatto che agisce solo dentro di noi.La veridicità che siamo esseri sociali dimostra che tante persone credenti nutrendo tale pensiero che ho detto prima, pesano nei confronti della materialità del mondo e dei fatti.E’ la dimostrazione che
anche l’illusione produce materia.Sembra brutto? Sembra un concetto meschino e limitato questo ? Non scambiamo i nostri bisogni individuali fra i quali c’è anche il bisogno dell’illusione sparsa a larghe mano da ogni regime politico-economico con la realtà materiale del mondo dove poggiamo i piedi.Il mondo dove poggiamo i piedi dipende soprattutto
dalla conferma di quell’idea che noi abbiamo che possa essere sia in un modo ( la lotta e l’incidere sui fatti ) sia il fatto della non possibilità di farlo comunque e far prevalere ì” l’illusione”. Per quanto mi riguarda -e poi la finisco- penso che nutrire” l’illusione” faccia comunque l’interesse di qualcuno e tale qualcuno( spesso il potere costituito,stratificato,
ed inattaccabile perchè schermato dalla ”democrazia”) ha bisogno per esistere propagandando ” l’illusione”. Sembrerebbe che alla fine io e lei diciamo la stessa cosa, lo stesso concetto convenendo entrambi che la fotografia della situazione sia questa,ma tutto questo chilometrico discorso che poteva benissimo essere più corto,vuole ribadire il fatto che ” l’illusione” della democrazia agisce in un campo pre -esistente dove sono stratificati interessi centenari, e chi si oppone alla loro rimozione è colui che col ragionamento che crede superiore perchè tutti i regimi siano alla fine ” euguali e quindi non democratici” non contempla l’errore di paragonare il fatto evolutivo dell’uomo.Nel nostro emisfero due-tre secoli fa senza andare mpolto all’indietro masse umane enormi vivevano sotto il limite biologico, oggi non è così, quindi
è indubbio che ci sia stata una evoluzione di un processo che ha reso la vita migliore per una quantità di uominie donne maggiore.Si scopre l’acqua calda dicendo così, ma questo nella propensione del tempo spesso non lo consideriamo.Se poi si dice che morire a 45 anni dopo aver vissuto una vita di stenti e di privazioni come era in passato nulla cambia rispetto alla continuità ed al tempo dell’umanità allora si sconfina in altre considerazioni dove pesano altri concetti che sono quelli in genere che alle cose per farle vere basta crederci. Se questo può essere liberatorio per l’individuo è bene che lo si metta in atto, ma coloro che credono non lo fanno per gli altri o per l’umanità in generale , gliel’hanno detto che sia così, ma lo fanno per loro stessi e perchè di quel senso liberatorio ne hanno il bisogno per vivere: quella è una illusione che è consapevole a molti che credono,ma la la inseguono fino a che faccia parte della loro vita. Personalmente di quella non ne ho bisogno,ma non perchè mi reputi superiore od inferiore ad altri,sono come tutti gli altri,ma i miei bisogni non sono quelli di vivere con quell’illusione che poi si trasforma in necessità,e che…..detto fra noi, fa leva sul recondito egoismo umano di sopravvivere alla morte fisica…è lì la molla caricata da altri uomini come noi che ti promettono che così sia ma che nello stesso tempo sanno bene che vivi e produci su questa terra.Io credo che in un futuro lontanissimo ci si potrà discostare da questo considerato come condizionamento del pensiero umano, saremo tutti più liberi ed anche più corretti nei rapporti inter-umani, e l’umanità non potrà altro che migliorare.Naturalmente questo è un pensiero tutto mio individuale e non pretendo di dare lezioni di vita verso nessuno,ma quando c’è occasione di parlare di queste cose ne parlo volentieri,lo si capisce dalla lunghezza……