LA LIBERAZIONE, LA BOMBA DI MOIANO… PERCHE’ E’ GIUSTO CELEBRARE IL 25 APRILE. ANCHE OGGI

martedì 23rd, aprile 2019 / 17:19
LA LIBERAZIONE, LA BOMBA DI MOIANO… PERCHE’ E’ GIUSTO CELEBRARE IL 25 APRILE. ANCHE OGGI
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Oggi è il 23 aprile. Il 23 aprile del 1974 scoprimmo che la strategia della tensione, il terrorismo, la politica delle bombe e delle stragi cominciata con la bomba di Piazza Fontana nel ’69, non riguardavano solo le grandi città, che non erano cose di cui si parlava solo nei telegiornali, ma ci riguardavano tutti, da vicino, molto vicino, anche in questo territorio. Nella notte tra il 22 e il 23 aprile  del ’74 una bomba scoppiò alla Casa del Popolo di Moiano, luogo simbolo della sinistra umbra e non solo. Quella casa del Popolo che dieci anni prima, nel ’64, era stata inaugurata da Palmiro Togliatti. E che dopo la morte di Togliatti vide parlare Luigi Longo dalla terrazza. L’ordigno esplose intorno alle 2 e mezzo del mattino, nel vano di ingresso ai piani superiori, praticamente dietro la parete che faceva da divisorio con il bar. Se fosse scoppiato a mezzanotte o all’una avrebbe potuto causare una strage. Alle 2 e mezza non c’era più nessuno, fortunatamente, né al bar, né all’interno delle sale riunioni…  Lo scoppio mandò in frantumi i vetri di molte abitazioni, perfino le vetrate della chiesa che è a 200 metri circa di distanza. Non era un ordigno giocattolo, né una bombetta dimostrativa. Era un kg e mezzo di tritolo. Il doppio della bomba che qualche settimana dopo, il 28 maggio, fece 8 morti a piazza della Loggia a Brescia.

La miccia a lenta combustione ci mise un po’ troppo a bruciare. Non si sa se la cosa fu voluta per evitare guai più seri o se fu un errore degli attentatori. Ma che si trattò di un attentato di chiara marca fascista, alla vigilia del 25 aprile non c’è alcun dubbio. Anche perché nella stessa notte altri ordigni simili esplosero a Milano, Lecco, Palmi presso altre case del popolo, sezioni di partito, sedi del sindacato.

Quello di Moiano fu un attentato fortunatamente senza conseguenze. Ma solo per caso, per fortuna. Così come un anno dopo, 31 maggio 1975,  quando un altro ordigno esplose  sulla linea Firenze-Roma all’altezza di Castiglione del Lago, facendo saltare il binario su cui passò pochi minuti più tardi un treno pendolari che per un altro caso o ancora per fortuna non deragliò, e non andò a fuoco, come invece successe all’Italicus nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, nell’agosto del ’74: 12 morti e 48 feriti.

Il 25 aprile del 1974 si celebrò ugualmente a Moiano, con una grande manifestazione indetta da Cgil-Cisl e Uil e dai partiti antifascisti. Una folla mai vista, nemmeno per Togliatti. Doveva venire il segretario nazionale del Pci Enrico Berlinguer, ma i dirigenti comunisti ritennero che a terrazza da cui avrebbe dovuto parlare era troppo esposta a rischio di nuovi attentati e Berlinguer rimase a Roma…

Il ricordo di quei giorni, per chi c’era, è ancora vivo. Come è vivo il ricordo delle “guardie armate” intorno alle sezioni e alle case del Popolo. La “notte del golpe” sempre nell’estate del ’74, quando anche a Chiusi, Città della Pieve, Moiano si avvertì un certo “tintinnio di sciabole” e molti militanti comunisti, del sindacato, dei gruppetti extraparlamentari decisero di stare all’erta e di dormire fuori casa. In montagna, come i partigiani di 30 anni prima…

Ecco abbiamo ricordato quei giorni di 45 anni fa, per segnalare che dopodomani è il 25 aprile. Che non è come dice Salvini la ricorrenza del derby tra comunisti e fascisti, ma la festa nazionale per antonomasia. La festa del riscatto. La celebrazione della Liberazione dal nazifascismo e quindi della vittoria della democrazia e della libertà sulla dittatura e sull’occupazione straniera. E i partigiani che contribuirono alla Liberazione non erano tutti comunisti. C’erano militari, monarchici, liberali, cattolici, socialisti, azionisti, insieme ai comunisti.

Sono passati 75 anni dai giorni della liberazione e 45 da quell’estate “rovente” del ’74, un tempo lungo. Ma il fascismo non è morto. Probabilmente come dice qualcuno, non se ne è mai andato. Per qualche decennio è rimasto all’angolo, bandito dalla storia e dalla coscienza collettiva, ridotto a retaggio violento e stragista, pericoloso, ma minoritario. Adesso invece rialza la testa ovunque in Italia e in Europa, ma non solo. Certi governi sovranisti e ultranazionalisti lo stanno sdoganando di nuovo, come fosse un’opzione politica al pari delle altre. Si rivedono in giro saluti romani, camicie nere e simboli che non dovrebbero avere cittadinanza neanche nei mercatini di memorabilia. E si riaffaccia la violenza fascista contro i diversi, contro i rom, contro le minoranze, contro i più deboli…  E ci sono sindaci che vietano o annullano le celebrazioni della Liberazione, politici nazionali e locali che ne chiedono la cancellazione in quanto “ricorrenza divisiva”, altri che si fanno fotografare accanto al busto di Mussolini.

Ecco, nel nostro piccolo, noi diciamo invece che il 25 Aprile non si tocca. E che è giusto celebrarlo. Ovunque. E celebrarlo andando in piazza. Non come un rituale ormai stanco e svuotato di significato, ma come segnale inequivocabile che la storia non si cancella, per dire con forza e fermezza che le due parti che 75 anni fa si combatterono, non erano equivalenti, ma c’era chi stava dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata. Diciamo ai nostri lettori che dopodomani, il 25 aprile, è giusto andare in piazza, partecipare alle celebrazioni organizzate dai Comuni, dall’Anpi, senza la puzza sotto il naso, perché magari c’è quel sindaco, quel dirigente, quell’assessore con cui si è avuto qualcosa da ridire su questioni politiche o amministrative. Non è questione di destra o sinistra. Il fascismo rialza la testa nella cultura diffusa e materiale delle persone, riemerge ovunque ci sia un seme di intolleranza verso la cultura, verso l’informazione, cioè verso i libri, verso i giornali e i giornalisti, verso gli scrittori e i poeti. E di segnali del genere sono piene le cronache purtroppo. Quindi è giusto ed è un dovere essere antifascisti. Dichiararsi antifascisti. Manifestare il proprio antifascismo. Qualcuno dirà che è retorica. Che è come agitare fantasmi inesistenti e bandiere consunte. Per noi, non è così.  E ci piace ricordare (e sottolineare) che la bandiera del 25 aprile è il tricolore, non la bandiera rossa; che la canzone del 25 aprile è Bella Ciao, non l’Internazionale. E che Bella Ciao è diventata e sta diventando in tutto il mondo, il canto della libertà, del riscatto, della democrazia…

Chi legge Primapagina lo sa, a noi piacciono pure le bandiere rosse e l’Internazionale, ma questa è un’altra storia. E ci piace anche il rock di Bruce Springsteen: “dovunque ci sarà un poliziotto che picchia qualcuno, un bambino che piange per fame, una rivolta contro il sangue e l’odio che intossicano l’aria, dovunque ci sarà qualcuno che lotta per la dignità, per un lavoro decente, che ha bisogno di una mano, dovunque ci sarà qualcuno che lotta per la libertà, cercami mamma, è lì che sarò…“. Noi il 25 aprile, da qualche parte, in qualche piazza, ci saremo.

m.l.

 

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