UNO SPIRAGLIO DI BELLEZZA. A CHIUSI SCALO UN ASSAGGIO DELL’ ARTE DI MARTA MANGIABENE

lunedì 03rd, dicembre 2018 / 12:14
UNO SPIRAGLIO DI BELLEZZA. A CHIUSI SCALO UN ASSAGGIO DELL’ ARTE DI MARTA MANGIABENE
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Da ieri il laboratorio orafo Stiloro di Chiusi Scalo ospita la piccola mostra di alcuni dei lavori di Marta Mangiabene, pittrice di successo, sulla scena artistica da molti anni con importanti mostre e rassegne di arte, tra cui una personale a Palazzo della Corgna di Città della Pieve nel 2006.

Marta nasce ad Ascoli Piceno, vive molti anni a Firenze dove frequenta l’Accademia di Belle Arti e successivamente si specializza in Grafica d’Arte presso la scuola Internazionale il “Bisonte”. Trascorre un periodo della sua vita a Montevarchi. Oggi vive e lavora a Città della Pieve.

L’esposizione offre uno spaccato dell’opera di Marta. Sono lavori che appartengono a periodi diversi, che spaziano da raffigurazioni monocromatiche, più tecniche, incentrate principalmente sullo studio accademico, a figure più eteree, dai tratti esistenziali, in cui compare il colore.

È proprio sul colore, mi spiega Marta (foto a sinistra), che si concentra il suo lavoro sperimentale. La preparazione dello sfondo, la base su cui nasceranno le sue eleganti figure, è la parte più impegnativa del processo di realizzazione, quella che richiede più tempo: la scelta dei colori, la combinazione, l’analisi degli effetti, l’integrazione delle tonalità del blu che Marta usa spesso in quanto rappresentazione dell’elemento acqua, a lei molto caro; le sfumature che sembrano frutto di acquerello e che nascono invece dalla fusione di acrilico, olio e pastello.  “Un colore che si isola rispetto alla leggiadria delle figure”, scrive il critico d’arte Giovanni Faccenda.

Le leggiadre figure della mostra in corso sono tutte femminili. Corpi e volti delicati, eleganti, a tratti eterei, dallo sguardo intenso, di una profondità ogni volta diversa, ora seria e riflessiva, ora abbagliante esplosione di benessere interiore (in copertina). Nessun volto è uguale all’ altro. Sempre Giovanni Faccenda scrive: “Così a poco a poco, si entra in quella sfera della sua pittura abitata da incantevoli donne perse in pensieri che sottintendono il maggior impegno con la vita”.

Una vita che non è sempre stata generosa con la pittrice. Nel 2010, vittima di un tragico incidente, trascorre due anni in ospedale tra un’operazione e l’altra. In quei due anni lavora su quelle figure monocromatiche prima citate, lo studio del corpo, la tecnica.

Penso a Frida Kahlo, al tema del dolore così predominante nella sua pittura e lo cerco nei volti disegnati da Marta. Ma non lo trovo. Quelle figure che l’hanno accompagnata nel periodo più arduo, buio e faticoso della sua vita non esprimono sofferenza. Perché per me che attraversavo un momento molto difficile sia dal punto di vista fisico che psicologico, mi spiega, il mio lavoro era una forma di evasione, un’estraniazione da tutto quello che stavo vivendo. Uno spiraglio sulla bellezza, penso.

Il senso di estraniazione unito alla profondità del pensiero è esattamente la sensazione che quelle figure regalano. Sguardi che trapassano lo spettatore e vanno oltre, verso una riflessione intima ma allo stesso tempo universale, in cui ognuno può specchiarsi, riconoscersi o riconoscere.

Una pittura profondamente femminile che nasce dall’uso sapiente della tecnica, la ricerca del colore che mai esula dal “particolare stato d’animo dell’artista nel momento in cui lo ha scelto e poi voluto”, per usare le parole di Giovanni Faccenda, ma anche e soprattutto dalla ricerca interiore, dai tratti esistenzialisti di cui ogni artista si fa carico secondo la propria, personalissima sensibilità.

Elda Cannarsa

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