EUGENIO BENNATO A CHIUSI: CANZONI CHE CI HANNO RICORDATO UN SACCO DI COSE
CHIUSI – Trentacinque-quaranta anni fa, quando le Feste de l’Unità erano le Feste de l’Unità e rappresentavano in molti casi se non l’unica, certamente la manifestazione più imponente e di maggiore qualità che si svolgesse durante tutto un anno, avere una serata con Eugenio Bennato sarebbe stato un “gran colpo”, come l’acquisto di Cristiano Ronaldo per la Juventus. Perché Eugenio Bennato, fratello meno noto, forse, ma non meno bravo, era considerato allora non solo come uno degli esponenti di quella corrente musicale che fu il nuovo sound napoletano che si inventò un blues metropolitano e mediterraneo, ma anche l’alfiere della riscoperta del folk, delle radici, della cultura meridionale e meridionalista. Era considerato un eroe gramsciano, un intellettuale organico alla sua terra, che ne cantava la miseria, le privazioni, la depredazione e insieme anche la voglia di uscire dal recinto, di rialzare la testa, anche raccontando storie che fino ad allora nessun aveva raccontato, perché scomode e imbarazzanti per il potere costituito.
A Chiusi non ce la facemmo a portare Eugenio Bennato, ma alla festa de l’Unità (o meglio a quella dei giovani comunisti) portammo Tony Esposito, altro esponente di quella “nidiata” di talenti. All’inizio fece un po’ il fighetto, non voleva suonate perché nel pomeriggio aveva piovuto forte… Lo convincemmo e alla fine convinse e commosse tutti, suonando di tutto, anche pentole, coperchi, casseruole e bidoni da spazzatura… Ritmo travolgente e odore di Napoli. Era il 1976. La capitale del sud l’avevano appena conquistata i comunisti, con il sindaco Maurizio Valenzi. Quel concerto fu una sorta di festa della vittoria e un rito “liberatorio”. Napoli non era più solo ‘na carta sporca e nisciuno se n’emporta… Napoli era di nuovo mille culure…
Più tardi, nei primi anni ’80 al Festival Internazionale di Flauto, venne più volte Tullio De Piscopo, anche lui percussionista e batterista eccelso che si cimentò pure in “traduzioni” nel nuovo sound napoletano di brani classici e addirittura di musica contemporanea di Sciarrino o Luigi Nono… Tony Esposito suonò ai giardini pubblici dello Scalo, Tullio De Piscopo in piazza Duomo e sul palco del Mascagni…
Altri tempi…
Sono passati più di 40 anni, ma alla fine è arrivato anche Eugenio Bennato. Stavolta non alla festa de l’Unità, che il problema di proporre musica di qualità gli organizzatori oggi nemmeno se lo pongono, come non se lo ponevano prima del ’68, quando cominciò la rivoluzione culturale, la ricerca, la voglia di stupire e portare il meglio che c’era sulla piazza, di portare musica che facesse anche pensare, che aiutasse la costruzione di un sentire comune… Oggi sembra sia passata una mano di banco su tutto ciò… Ed è un bianco sporco, opaco, triste come erte tovagliette dei ristorantini di quarta categoria…
Ieri sera Eugenio Bennato ha suonato e cantato, con la sua band, al Festival Orizzonti. Seconda serata della rassegna. E non ha deluso le attese. Non si è risparmiato e in quasi due ore di concerto ha riproposto una quindicina di brani tratti dall’album “Canzoni di contrabbando” del 2016… Alcune canzoni però sono precedenti. Ed è un album dedicato, come un po’ tutta la vita artistica di Bennato, al suo sud. Alla musica, ai ritmi del Sud, ma anche alla storia e alle storie del sud. Alla cultura profonda del sud e della sua gente. A me è sembrato di tornare agli anni dela gioventù, quando le Feste de l’Unità erano e feste de l’Unità…
Forse le autorità governative e militari sedute in prima fila avranno provato un filo di imbarazzo a sentire canzoni che parlavano di un sud terra di conquista, di briganti fatti ammazzare dai Piemontesi perché non parlassero (“avrebbero potuto dire cose meridionali”), di gente che sta fuori, “fuori dal coro, talvolta fuori legge, di sicuro fuori dal gregge”… Nel sentire Eugenio Bennato cantare storie di migranti, clandestini, contrabbandieri e sans papiers… Nel sentire canzoni sulla libertà di fuggire… di navigare senza trovarsi bloccati da una motovedetta o davanti ad un porto chiuso da un ministro che se la prende coi più poveri e disperati…
A Salvini, a Di Maio e a tutta la compagnia che oggi governa questo paese e che lo sta facendo tornare indietro di 50 anni ieri sera saranno fischiate forte le orecchie. Le note delle canzoni di Eugenio Bennato, hanno colpito duro, ci hanno raccontato, con un bel ritmo tra la taranta, la tammurriata e il blues napoletano che il Mediterraneo non è solo un mare, ma anche un ponte che unisce culture, da sempre. Ci ha ricordato che dai nostri porti sul Mediterraneo si partiva per andare in America come oggi a milioni partono dall’Africa… E non a caso alcune canzoni hanno parti in spagnolo, in inglese, in portoghese, in francese (che è lingua parlata in nord Africa) e anche in lingua araba da un cantante marocchino. E le lingue e il sound che si mischiano sono una ricchezza, non un problema.
Un messaggio chiaro e forte, insomma quello che ieri sera Eugenio Bennato e la sua band hanno lanciato dal palco in piazza Duomo a Chiusi. Ed è un messaggio anche la presenza di Bennato, per ciò che Eugenio Bennato rappresenta e per le cose che dice. E’ il “lascito” di Roberto Carloncelli, il direttore artistico che se ne è andato poco prima che il suo festival cominciasse. Ed è anche una scelta precisa, evidentemente condivisa dalla Fondazione e dal Comune. E non solo perché il sindaco è anche presidente della Fondazione. Qualcuno in platea mormorava a proposito di Bennato “bravo, per carità, ma un po’ troppo schierato”…
Chi oggi inneggia a Salvini e al suo pugno di ferro con le Ong e coi migranti stessi non avrà gradito di sentirsi messo alla gogna da un cantante; Bettollini dal canto suo è sembrato tutt’altro che contrariato, tanto che ha postato in diretta un video del concerto sul suo profilo facebook… “Sono stati tutti molto bravi, bellissimo concerto. Mi son piaciute anche i testi delle canzoni, io sono di sinistra e certe cose è bene che si dicano… La musica e l’arte devono essere libere di dire ciò che vogliono dire. Sempre. Onorato di aver ospitato Eugenio Bennato al festival Orizzonti di Chiusi”.
Eugenio Bennato certe cose le dice, con la sua musica, da 40 anni… e meno male che continua a farlo e che ci sono ancora musicisti come lui. Coraggiosi, irriducibili, inguaribili. Gente che dentro il recinto come le pecore proprio non ci sa stare. Chiusi ha vissuto una gran bella serata. Di quelle che fanno bene al cuore…
Oggi al festival Orizzonti, due appuntamenti. Sotto la Tensostruttura San Francesco, alle 19,00 “Sinfonie Etrusche” con la Corale Arcadelt e Gianni Poliziani e Ingrid Monacelli come voci recitanti… Alle 21,45, in piazza Duomo, “Deply”, spettacolo di teatro-canzone con Laura Catrani e Anna Gaia Marchioro e 5 violoncellisti, che affronta temi difficili, come la difficoltà di vivere dentro uno schema prefissato, l’omosessualità (in questo caso femminile), la morte violenta per suicidio o omicidio… Roba forte, utile ad una riflessione anche su certi fatti di cronaca accaduti di recente nella zona…
Marco Lorenzoni
chiusi, Festival Orizzonti, Giannetto Marchettini, Juri Bettollini
Io c’ero al concerto e ne ho apprezzato la musicalità e la bravura degli artisti. Una bella serata per cui è valsa la pena di spendere 12 euro. (ho avuto la riduzione per essere ultra sessantenne). La sala era piena per meno della metà. Il pubblico ha applaudito tutte le canzoni, ma con maggior lena le ultime, le meno “impegnate”. Qualche spettatrice, su queste, si è messa pure ad improvvisare il ballo della “pizzica”. Bravissima la cantante che con le sue movenze mi ha ricordato le danzatrici dell’antica Grecia che ornano il grande cratere bronzeo in stile orientaleggiante che già era nel museo di Chiusi ( è sempre in restauro?) Eccezionale la voce della batterista che nella sua presentazione ha strappato applausi a scena aperta, i più intensi e partecipati di tutto il concerto. In merito alle altre riflessioni sopra riportate non credo che a Salvini siano fischiate le orecchie, anche perché le canzoni riportano ad epoche nelle quale Salvini non era neanche nato vuoi fisicamente che politicamente. Epoche nelle quali c’era il Valenzi a Napoli, epoche nelle quali la sinistra era forte e governava i luoghi e la cultura. Epoche che si sono protratte tra sprofondi ed abissi fino a tre mesi fa. Queste canzoni sono state scritte per quella sinistra, per le illusioni date e disattese, per gli impegni presi e non mantenuti a partire proprio dal sindaco Valenzi. Non sono state scritte per Salvini ed il suo operato. Ma come ho scritto io c’ero e, a prescindere dal qualunquismo sinistroide di alcuni brani, mi è piaciuto. Mi è piaciuta la musicalità, il ritmo pacato dello spettacolo, la bravura degli artisti, il loro saper calcare la scena. Le considerazioni politiche o etiche che si vogliono trarre da uno spettacolo artistico sono sempre fuor di luogo, se è arte comunica di per se stessa le senzazioni e le emozioni, se no non lo è. Ho tratto piacere ed emozioni dall’opera di Dario Fo e dai film di Zeffirelli, entrambi repubblichini. Non mi sono posto il problema se erano di sinistra o di destra ma solo se la loro era arte o mistificazione. Era arte come quella di Bennato.
Io invece penso che senza la carica politica di quelle canzoni,cioè senza quella visione antagonista rispetto alla storia ufficiale,al pensiero unico e a certi stereotipi del sud, anche la musica,seppur bella e eseguita magistralmente,finirebbe per risultare meno convincente, più banele, una pizzica e una taranta come tante, invece proprio per quei testi Eugenio Bennato è molto di più…