CHIUSI, QUEL MESSAGGIO DI BETTOLLINI AI 18ENNI E UNA CITTA’ SEMPRE PIU’ MULTIETNICA

lunedì 05th, giugno 2017 / 16:52
CHIUSI, QUEL MESSAGGIO DI BETTOLLINI AI 18ENNI E UNA CITTA’ SEMPRE PIU’ MULTIETNICA
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CHIUSI – Venerdì scorso, 2 giugno, Festa delle Repubblica, nel consegnare come ogni anno una copia della Costituzione ai diciottenni, il sindaco di Chiusi Juri Bettollini ha dedicato il primo dei ringraziamenti di rito alla bandiera dell’ANPI, ricordando la recente ricostituzione della sezione chiusina ‘Natale Tiradritti’. Non solo: ha sottolineato che in quei locali è custodita una parte importante della storia cittadina, la storia migliore. E ha invitato i giovani che hanno appena acquisito il diritto di votare, a visitare la sezione ANPI, insieme a lui e ai militanti dell’associazione partigiani. Si è tratttato di un “tributo” che non era scontato, né richiesto. Per questo motivo è ancora più significativo.

E l’invito rivolto da Bettollini ai ragazzi e alle ragazze neomaggiorenni è a conoscere e a incuriosirsi di  storie come quella di Mario Morgantini o Ezio Guazzini il primo morto in battaglia ad Alfonsine e l’altro fucilato dai partigiani di Tito in Montenegro nonostante avesse già deciso di non seguire i tedeschi e le camicie nere, ma di combattere al fianco della resistenza jugoslava, entrambi caduti con la divisa dell’esercito italiano adosso (soldati che non fecero come l’eroe chiusino della Grande Guerra Guseppe Giulietti, che nel ’44 scappò con i tedeschi e i fascistio e fu dichiarato “traditore” dal CLN). O la storia di Ermanno Baldetti caduto in combattimento sul Monte Cetona, o quella della famiglia Perugini, padre e due figli fucilati perché sospettati di essere fiancheggiatori dei partigiani, o infine la vicenda del povero Giuseppe Marino, soldato sbandato catturato a Chiusi dai tedeschi e impiccato ad un lampione a Montepulciano… Tutti ragazzi che all’epoca avevano 20 anni o poco più. Come quegli altri ragazzi che si scannarono dentro al teatro Mascagni e in 200 tra Sudafricani e Tedeschi ci lasciarono la pelle. Avevano tutti un anno, due, tre più dei diciottenni di oggi.

Giusto che i ragazzi di oggi sappiano (magari non ci avevano fatto caso) che la guerra finita da queste parti 73 anni fa la combatterono soprattutto ragazzi come loro. Ragazzi che avevano le speranze e i sogni che hanno loro adesso e che si trovarono loro malgrado in mezzo ad una bufera di proporzioni inimmaginabili che li costrince a fare una scelta di campo. A stare di qua o di là. Dalla parte giusta o da quella sbagliata.

Bene ha fatto Bettollini a fare quel richiamo. E quell’invito. Anche per un altro motivo. Quando ha letto, uno a uno, i nomi dei diciottenni cui veniva consegnata una copia della Costituzione, il sindaco ha avuto qualche tentennamento nella dizione. Almeno la metà dei diciottenni di Chiusi, che sono una sessantina, non ha nome e cognome italiano: molti di loro magari son nati qui e parlano bene l’italiano, ma si chiamano Aisha, Aziz, Ionela, Cornel o Isabel, Ricardo, Vassilj, Patriciu, Pavel… Origini marocchine, tunisine, rumene, albanesi, ucraine, russe, sudamericane, cinesi… Qualche ragazza porta il velo.

La metà dei diciottenni chiusini è di origine straniera. Fatta da figli di immigrati arrivati qui già qualche anno fa. Ci sono a Chiusi molte famiglie immigrate composte da tre generazioni: figli in età prescolastica e scolastica, padri e madri tra i 25 e i 40, genitori di padri e madri che ne hanno 50 o poco più (ma anche meno). In una città che invecchia inesorabilmente e perde popolazione, l’arrivo e la presenza consolidata di immigrati – per lo più giovani – assume i connotati di una scialuppa si salvataggio.

La cerimonia del 2 giugno, nel bel mezzo della Fiera alla Stazione (dove anche i banchi degli ambulanti erano per più della metà gestiti da “stranieri”) è stata insomma lo specchio illuminato della trasformazione sociale in atto, la dimostrazione tangibile che anche Chiusi sta diventando sempre più una cittadina multietnica.Un vero e proprio melting pot culturale.

Giusto, giustissimo, che anche questi nuovi cittadini vengano informati e sensibilizzati sulla Carta fondamentale della Repubblica Italiana. Certo non basterà consegnare loro una copia della Costituzione, servirà un lavoro di lunga lena, ma intanto è un passettino in avanti. E se gli immigrati adulti stentano a trovare – nella maggior parte dei casi almeno – forme di integrazione con la popolazione locale e tendono a fare gruppo e comunità per conto loro, i giovani e soprattutto i giovanissimi sono diversi, loro sono più ricettivi, più inclini a “mischiare le carte” (salvo che non gli venga impedito di farlo dalle loro stresse famiglie, cosa che spesso purtroppo succede) e a guardarli in faccia mentre ricevevano la Costituzione, non sembravano infastiditi o annoiati. Tutt’altro. Un segnale incoraggiante e da incoraggiare, arrivato peraltro in un periodo segnato da notizie tragiche di attacchi al cuore della democrazia occidentale, ma anche da fatti che stanno sconvolgendo tanti paesi in varie parti del mondo, dalla Siria al Venezuela, dall’Ucraina alla Grecia, agli emirati arabi…

A Chiusi, abbiamo visto, ci sono giovani che arrivano anche da quei paesi, o hanno la famiglia originaria di quei paesi (Venezuela, Ucraina, Grecia, medioriente…). La comunità deve fare in modo di riuscire a parlarci, a far sentire ognuno di quei ragazzi uno di noi…

Fargli conoscere la nostra storia può apparire noioso a prima vista, ma forse è il primo passo da fare.. Se poi quei ragazzi troveranno spazio nelle squadre di calcio, di volley, di basket, nelle scuole di danza, nelle band musicali e nelle compagnie teaatrali sarà ancora meglio. Qualcuno a dire il  vero un suo spazio lo già ha trovato. Ma l’obiettivo sarà raggiunto quando lo spazio lo troveranno tutti e nessuno ci farà più caso…

m.l.

 

 

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