LE AZIENDE TOP DELLA PROVINCIA DI SIENA. ECCELLENZE NEL DESERTO
CHIUSI – Nei giorni scorsi la nazione ha pubblicato la “classifica” della aziende top della Provincia di Siena, per fatturato e utile negli anni 2021-2022. Una fotografia dello stato di salute dell’economia locale e delle “eccellenze” che il territoirio offre dal punto di vista produttivo e commerciale. Per quanto riguarda la zona Valdichiana, nelle prime 125 posizioni troviamo 6 aziende di Chiusi e 6 di Sinalunga, 3 di Torrita di Siena, 3 di Montepulciano, 1 di Sarteano, 1 di Cetona e una di Pienza.
L’azoienda che occupa la posizione migliore in classifica è la Bottega Verde, di Pienza, al 14esimo posto. Segue la Canestrelli Petroli di Chiusi alla posizione 18. Poi ancora la Cassioli di Torrita (22° posto), la cantina Barbanera di Cetona (30°).
La graduatoria vede inoltre la CML e la Readytec di Chiusi rispettivamente alle posizioni 36 e 38; la Makor e il Molino Parri di Sinalunga al 45° e 51° posto; la Corim di Santoni (Montepulciano) al 52°, la Imballaggi Alimentari (Sinalunga) al 57°.
La seconda parte della classifica trova la Bruni G&I di Sinalunga alla posizione n.70, la Tosoni Auto di Sarteano alla 72, la Plan di Chiusi alla 78.
Per trovare altre aziende della Valdichiana bisogna scendere alla posizione 109, occupata dalla Tenuta del Cerro (Montepulciano), poi ancora Morpheus Advisor di Torrita (110), CTC Sinalunga (111), Metalzinco di Chiusi (112), Noi della Notte, Torrita (119), Menconi di Montepulciano (120) Bardini Pre Metal Chiusi (123).
Cosa emerge da questa graduatoria? Intanto che nel territorio ci sono ancora aziende di sana e robusta costituzione capaci di tenere botta e crescere. Che molte di queste aziende sono “di produzione” (dalla metalmeccanica al vino) e anche questo è un dato interessante. Che anche nel settore del commercio o di servizio, magari in settori strategici o avanzati, qualcosa di rilevante nel territorio c’è. E non è di poco conto.
Questa “vitalità” e capacità di stare su mercato in posizioni top, contrasta però con il dato dell’impoverimento generale del tessuto economico del territorio: ci sono sì delle eccellenze, delle punte di managerialità e di qualità piuttosto elevate, ma non cè più il tessuto diffuso fatto delle centinaia di imprese commerciali e artigianali che per decenni hanno creato reddito, attrattività e anche professionalità, su8pplendo alla mancaza strutturale di un comparto industriale vero e proprio. E le “eccellenze” che pure ci sono, purtroppo non compensano le chiusure, i ridimemnsionamenti, la desertificazione progressiva dei centri abitati e delle stesse zone produttive sorte a margine dei centri abitati tra gli anni ’70 e ’90 del ‘900.
Insomma, qualche luce c’è, ma il quadro è e resta abbastanza buio. E siccome il quadro è questo, anche certe scelte sulle infrastrutture (vedi il dibattito sulla Stazione in linea per l’alta velocità) rischiano, se dovessero andare in porto, di accentuare la tendenza all’impoverimento, allo spostamento di interessi e flussi in aree in cui non c’è nulla, sguarnendo definitivamente i centri abitati di quel poco che c’è rimasto…
In altri paesi occidentali c’è già chi sta cominciando a pensare di tornare indietro rispetto al decentramento commerciale, attuato con i supermercati e i mega store nelle periferie e vicino ai caselli autostradali, così come si sta pensando a come ripopolare i centri storici e i centri urbani di abirtanti e di attività… Zone come la provincia di Siena, che sono territori “espansi”, poco densamente popolati, ma ricchi di storia, di arte, di bellezze paesaggistiche, ma evidentemente anche capaci di ospitare aziende innovative e avanzate, potrebbero/dovrebbero in questo senso fare da “pensatoi” e da “laboratori” in cui si progetta e si mette in pratica un modello nuovo. Il problema è che manca chi pensa o ha voglia di farlo…
Nella foto: un automezzo della Canestrelli Petroli, uuna delle aziende top della Provincia di Siena.
Non solo manca chi pensa e chi ha voglia di farlo ma quando il ragionamento alla fine non comprende le ragioni di questa situazione patta e di questa decrescita, tale decrescita può essere a seconda di come la si guardi sia felice chè infelice. A me appare dal mio piccolo angolo visuale più infelice che felice, cioè guidata e condotta da forze intrinseche delle qualli la nostra zono ed il nostro terriotorio sono soggette, tranne sicuramente le aziende e le attività che sono rimaste dei simboli permanenti grazie alla gestione ed all’inventiva ed anche agli adeguamenti. Cosa significa questo ? Significa per me una cosa sola e cioè quella che c’è un deficit nella politica che dovrebbe essere quella che muova le condizioni e che invece proprio per ”cultura” della stessa faccia diventare quanto stà intorno una condizione che subisce gli scossoni dei mercati e delle crisi forse più internazionali chè nazionali.In pratica non viene mai esaminato il fatto che lo sviluppo dovrebbe essere dato dal connubio profondo di attività ed iniziative private che si legano alle iniziative del comparto pubblico che coordinanao i piani per i quali possano veder la luce gli investimenti. Ed invece vince una cultura dell’attesa con la relativa speranza di uscire dl guado ma il letto del fiume è semprepiù profondo ed il livello dell’acqua sale sommergendo tutto e tutti. Questa è la situazione mentre vediamo che le aziende che sopravvivono lottano per non scomparire.In soldoni manca sia la capacità imprenditoriale materialmente che scaturisca dalla cultura imprenditoriale che quando c’è e si sforza per resistere all’onda d’acqua che la può sommergere in ogni momento rischia di essere travolta. Se fin’ora questo in certe aziende non è avvenuto lo si deve all’immagnazione ed alla volontà che si basa sulla conoscenza. Senza di quella non si va da nessuna parte, ed infatti la concezione dello sviluppo che si somma nel territorio è una concezione asfittica,lenta e tipica delle fasce sociali che hanno storicamente preso il ”mercato” come lugo di riferimento non curandosi che nel mercato gli alti e bassi sono fattori presenti e che possono determinare anche talvlta le cadute ed anche l’estinzione. Però se spesso si parla con gli imprenditori si scorge che la visione dalla quale sono animati e spinti sia solo quella di fare profitto premendo sul lavoro e questo denota-secondo me- una sottocultura umana che porta ad avere dei limiti nell’attività che si svolge.Spesso quello dal quale vengono ”fottuti” è la non conoscenza complessiva di dove si svolga la loro stessa attività e delle casualità chepossono derivare. E’ un mestiere difficile quello dell’imprenditore di certo, ma l’etica del mondo e del sistema nel quale sono immersi è difficile che porti ad un controllo delle risorse che vengono impiegatee spesso si trovano in mano con un pugno di mosche. E’ il sistema che funziona così, e si salvano solo le aziende che contengono alta tecnologia e lo studio per proseguire con gli investimenti per uno sviluppo certo.E’ l’eterna lotta del motore che tira lo sviluppo che decide su quale fattore della produzione pigiare affinchè vengano alla luce i profitti tenuto conto che il capitale debba essere remunerato affinchè l’investimento produca reddito che sia re-investito e dal momento che il fattore natura è un fattore che teoricamente si crede che abbia stabilità, gli altri due fattori sono il lavoro ed il capitale. Il capitale deve essere remunerato diversamente cade lo scopo e soccombono tutti gli altri fattori che non vengono ad esistere mentre l’unico ”cespite o fattore su cui pigiare per fare profitto diventa il lavoro. Ecco l’asfissia tendenziale che si produce e della quale ci lamentiamo perchè a quella siamo sottoposti ed oggi è inevitabile che non si affaccino alla nostra problematica generale quelle due mura che la maggior parte delle volte risultano insuperabili e con le quali crediamo di poter evitare il confronto e sono quelle che ho riporato molte volte: la limitatezza di risorse e la caduta tendenziale del saggio di profitto.Anche perchè la ricerca scientifica che innesca la dinamicità degli investimenti necessari non procede con la stessa velocità delle necessità umane.Difatti il mondo intorno a noi soccombe perchè proprio alla fine manca la capacità di immaginare un processo diverso ed il tutto viene sottoposto all’esistenza di una molla chiamata profitto che se manca viene a mancare lo sviluppo per tutti.E’ giusto ? E’ riformabile tale condizione ? E’ difficile dare una risposta a questi due interrogativi.Fin’ora il sistema ha scavallato tali problemi con la guerra,creando le tensioni e facendo credere che possa essere una condizione relegata dentro la conscenza umana.Molti ci credono, chi non ci crede è valutato come un visionario.Ma tale diatriba è destinata a portare in fondo alla scala ognuno di noi od almeno la maggioranza delle persone che dovrebbero essere coloro che dovrebbero reagire ed impostare il cambiamento,quello vero, che non si produce in una stagione od in una generazione, ma ciò che conta è la tendenza e la propensione ad arrivare alla realizzazione di un mondo che possa suggellare tutto questo.Ecco perchè coloro i quali odorano la non convenienza per loro tengono ad opporsi alla fine a qualsiasi forma di progressività, implementazione agendo con la leva della politica a pro loro stessi. E questi se guardiamo bene sono i primi a dire che ”la fatidica lotta di classe” sia uno strumento obsoleto perchè pensano che ai poveri quando si dia il frigorifero, la macchina e la televisione si possa placare la loro ricerca di spartizione della ricchezza prodotta.Fin ‘ora con le dovute differenze,” i poveri” nel nostro emisfero sono stati fottuti da questo e dalla politica che li ha estraniati ed allontanati dai luoghi dove si possa contare e determinare il futuro.tale conquista non si ha tutta in una volta sovvertendo le condizioni e le leggi che regolano la società ma si ha in maniera progressiva ben tenendo ferme le convinzioni che la lotta sia perenne contro un sistema dove la sua forza è quella che faccia fare un passo avanti e due all’indietro.In ogni condizione del genere guardando alla storia vediamo che questo sia avvenuto.Principalmente a causa dell’educazione a fruire del potere,qundi parliamo di conoscenza e di cultura che sono mancate pricipalmente per volontà di chi ha guidato il carro e sul predellino di guida stà seduto sempre il solito uomo che a seconda della convenienza spesso cambia faccia dietro il giubilo dei seguaci che si illudono che ogni volta possa essere la volta che si cambi direzione. La storia ci dice invece che le tre uniche volte che la direzione è stata cambiata e che tale cambiamento abbia dao i suoi frutti sono state le tre rivoluzioni: quella Americana, quella Francese, quella Russa. Queste tre hanno cambiato il mondo ed hanno fatto uscire gli uomini dalle nebbie velenose del Medio Evo e ciò che hanno prodotto ha attecchito sopratttto nella mente degli uomini oltre ogni possibilità di venire estirpato. Il cammino è lungo perchè parliamo di generazioni ma credo che occorra sentirsi partecipi ed indispensabili ad alimentare questo percorso. C’è chi lo vorrebbe rigettare indietro e rimetterlo nelle mano di coloro che l’hanno manovrato da secoli ma questo diventa semprepiù difficoltoso ed è per questo che l’anelito alla libertà vera e non falsata da detentori del potere è indispensabile per proseguire. Questo è una parte di ciò che penso.
Il suo ragionamento è un pò fumoso ma in parte coglie nel segno. Appare anacronistica la concezione dell’ imprenditore che al fine di realizzare il profitto (ovvero la remunerazione del capitale) “spreme” il lavoro, poteva valere fino a qualche tempo addietro, quando a cercare lavoro c’era la fila dietro la porta, non certo oggi che la manodopera (di ogni tipo, non necessariamente super qualificata) è diventata merce rara, e quindi va incentivata e salvaguardata. Pensi che io nel mio piccolo ho recentemente intrapreso politiche di welfare aziendale a vantaggio dei nostri dipendenti, al fine di motivarli a restare e attrarne di nuovi . Per fortuna che almeno riconosce che il capitale debba essere remunerato (come del resto lo stesso Marx), in quanto senza remunerazione, non c’è motivazione a intraprendere : se io ho 10 milioni da impiegare, e in un anno di lavoro ricavo 200.000 pidocchiosi euro o addirittura perdo, perchè l’ attività non ha marginalità, tanto vale che con quei soldi compro dei bond a basso rischio e capitale garantito, e ricavo lo stesso senza alcuno sbattimento.
Riguardo ad una più equa distribuzione della ricchezza come fattore di sviluppo, il discorso è fondato. Se la ricchezza è concentrata in pochissime mani, solo una parte viene rimessa in circolo mentra la maggior parte viene semplicemente tenuta nel forziere : per fare un esempio scemo, Jeff Bezos, Bill Gates e Giovanni Ferrero potranno comprarsi 10, 50 auto, ma non ne compreranno certo 5000, quindi sarebbe meglio che ci fossero 4999 persone in più in grado di comprare un’ auto, e quelli là tenessero in cassaforte qualche miliardo in meno. Ma più nello specifico della desertificazione, ci dovrebbe essere un principio simile anche in ambito di imprese, con una sorta di redistribuzione dei fatturati : la politica dovrebbe trovare gli strumenti per fare in modo che i piccoli operatori non vengano schiacciati da quelli grandi o costretti di fatto a passare la mano. E in una simile ottica si può inserire la compartecipazione del pubblico, ma certamente non come è stato fatto nella Cina e Urss del dopoguerra.
Per Gingiacomo Rossi. Mah, credo che le linee essenziali siano quelle che ho descritto perchè ciò che lei dice-forse si riferisce al suo settore imprenditoriale come del resto ce ne saranno certamente anche altri che abbisognino di manodopera specializzata e settoriale -ma da che mondo è mondo in generale il fattore ” lavoro ” è l’unico mezzo diventato reale per essere ridimensionato od espanso alla fine della remunerazione del capitale e sul quale il capitale preme per servirsene al fine di riprodursi. E credo che lei descriva la realtà in quanto alla preoccupazione che faccia fidelizzare le maestranze per indurre in loro la possibilità di riconoscersi come mezzi di creazione del prodotto finale e quindi per una ripartizione reddituale che venga dall’attività.Ma non si dimentichi che la tendenza, che poi è quella che conta, è quella che ho detto e che fà leva sulla quantità della domanda di lavoro che è la regola che stabilsce che alla fine la remunerazione del lavoro abbia dei paletti ed il ”giuoco” venga delineato e faccia leva sulla concorrenza dei bisogni a lavorare e quindi la remunerazione del lavoro(chiamiamola salario) diventa probabilmente il solo mezzo che riceve la compressione nell’equilibrio della ripartizione.E’ una questione di legge economica poichè il costo del prodotto di base che serve attraverso la lavorazione per arrivare al prodotto finale( La Natura),generalmente è sempre abbastanza stabile( il costo del ferro per fare i tondini che servono all’edilizia solo per fare un esempio varia di poco rispetto al lavoro che deve assumere una condizione concorrenziale all’interno delle braccia che esistono nel mercato.Chiaramente si tratta di impiego di lavoro ”diciamo grezzo” e non specializzato o con basso grado di impiego (lavoro bruto).La partecipazione però pur essendo uno scalino superiore di ”coinvolgimento partecipativo all’impresa” oggi spesso viene usata in modo eterogeneo e spesso ha una natura settoriale,che tende a negare e misconoscere le necessità globali. Mi spiego meglio : ci sono imprenditori che per fidelizzare il lavoro e trarne ulteriore profitto preferiscono misconoscere l’aspetto social-sindacale e riconoscere al lavoratore forme di incentivi e/o dei dividendi che esulano dai contratti collettivi e questo io trovo che sia contrario e divisivo del fattore lavoro in quanto stimoli tendenze individuali e faccia sorgere in contesti generali della stessa natura del lavoro delle frammentazioni e fenomeni divisivi perchè il confronto fra datore di lavoro e lavoratre non è mai di genere paritario quando si tratta di lavoro salariato e che ha come scopo finale un profitto. A quest’uopo non si dimentichi che la natura del prodotto finale che ne esce contiene un aspetto che è individuale e sociale allo stesso tempo:individuale perchè contempla il fine imprenditoriale di trarre un profitto, lavorativo perchè contempla l’essere ripagato con un salario, ma la destinazione del bene prodotto o del servizio reso è prettamente di natura sociale e secondo me per correttezza-qui non si tratta come dice lei di discorso ” fumoso” ma di discorso di ottemperanza e di riconoscimento del grado di socialità contenuto nel bene che si produce.Un esempio più scarno e spicciolo possibile: l’uomo da solo di fronte alla natura tendenzialmente soccombe perchè non ha le forze materiali e temporali di trasformarla a proprio vantaggio ma più uomini riescono a plasmare la natura e a renderla al servizio di loro stessi.Per assurdo come potrebbe un uomo da solo e con il proprio lavoro costruire una diga ? Non sarebbe possibile.Diventa possibile se più uomini si organizzano e la costruiscono insieme.Questo per dire che l’aspetto del contenuto sociale nella destinazione finale del bene prodotto conta ed è prevalente rispetto a quella individuale che è limitata alla persona ed alle sue forze. La modernità della teoria che esprime tale valore sociale ed individuale allo stesso tempo è quella validata oggi da ogni tipo di economia sia capitalista sia socialista. E se ci pensa bene l’esempio non è fumoso ma è anche morale che riguarda direttamente la socialità degli uomini. Marx stesso-come lei ha detto- riconosce l’importanza del capitale in quanto fattore della produzione ma la società che nei suoi studi aveva precognizzato era una società che riguardava il riconoscimento del fattore lavoro come mezzo di progresso sociale ed individuale, una società nella quale la fruizione del valore del ricavato venisse ripartita in misura tendenzialmente egualitaria fra i fattori della produzione e che impegnasse il capitale ad essere re-investito per creare nuovo lavoro ed espandere la produzione portando beneficio a tutti i suoi fattori.Nella società industriale e post industriale fin ad arrivare ai giorni nostri questa equazione non è mai stata applicata se non in particolari momenti ed in limitati spazi nazionali ma il concetto chiamiamolo ”di socialismo” non poteva funzionare in un paese solo perchè i socialismo è un concetto universale che si afferma espandendosi da un luogo ad un altro fino ad investire tutta l’economia ed anche perchè la rivoluzione che trasferisce priorità da una classe ad un altra non è di natura pacifica ma violenta per la richiesta e la pressione di una classe subalterna che è quella dei produttori di assurgere alla direzione che faccia funzionare le regole per le quali il valore del prodotto si trasferisca non più nelle mano di chi lo possegga e lo usi per il proprio profitto ma per il profitto di ognuno.Se parliamo appunto di ”violenza”la violenza di chi detenga la ricchezza è ugualmente violenza al pari di quela che voglia rovesciare tale stato di cose. La storia- per smentire i denigratori della rivoluzione che da sempre non aspettano un momento per dire che tutto questo sia un utopia e quindi un complesso irrealizzabile-ha dimostrato fin’ora che i sistemi creati-che poi è stato nella realtà uno solamente-corrispondente al sistema sovietico- abbia avuto i limiti e sia imploso per l’irrealizzabilità delle sue finalità-ma da parte della critica credo od almeno penso-che tale irrealizzabilità sia stata dovuta principalmente ai fattori che si è trovato a confrontare fra i ricambi generazionali dei vertici di comando, il programma militare vedi per esempio le famose ”guerre stellari” di Reagan e l’organizzazione del confronto economico est-ovest dei mercati e delle aree di influenza uscite da Yalta. Tutto questo ha rappresentato un muro enorme ad essere oltrepassato per quel sistema che fra l’altro ha dovuto fabbricare armi e diciamo per portare un esempio di carattere sociale ”e non i frigoriferi come beni di consumo privato ”.L’esempio appare scarno ma è altamente esemplificativo delle ragioni per le quali il sistema è saltato.Un sedicente socialismo primordiale (primordiale perchè si tratta di cambiare la natura umana ed i tempi non possono essere logicamente quelli di una generazione) è abbastanza chiaro che possa risultare improduttivo riguardo agli scopi che la teoria gli faccia prefiggere.Purtuttavia occorre essere chiari nel riconoscere che in 70 anni la popolazione dell’Unione Sovietica è passata da condizioni di vita medioevali a condizioni che l’hanno vista assurgere alla più alta tecnologia quando le risorse dello stato sociale sono state impiegate per la scienza, la medicina ed anche a forme di libertà individuali crescenti anche se lentamente e non ultima cosa da non dimenticare che tutto questo è successo successivamente ad una guerra mondiale che ha fatto pagare il prezzo alla nuova Unione Sovietca di be più di 20 milioni di morti ed è stata la nazione che ha avuto più vittime di ogni altra e che per reggere il fronte interno lo Stalinismo ha avuto la conseguenza di fare altri morti per i progrom con i quali si organizzava la resistenza contro l’occidente che da subito aveva inviato le sue armate pagate in prima linea da Inghilterra, Francia,Germania,Stati Uniti ed altri ancora.Quindi caro Giangacomo come vede da un discorso prettamente riguardante il sistema imprenditoriale siamo arrivati ad un altro ma in 40-50 righe si è rifatta la storia con i suoi alti e bassi, con le sue grinze e le sue prospettive. Credo comunque che il concetto di Socialismo sia sia affermato-come ho già detto- nella mente delle persone oltre ogni possibilità di venir estirpato e quello che ci vediamo all’intorno oggi è un tentativo che oserei dire delinquenziale di rigetarlo indietro e di poter dimostrare soprattutto ai poveri del mondo che si erano illusi se avessero creduto a quel concetto. io credo-al di là delle sconfitte- che ognuno di noi nel proprio intimo abbia il bisogno di partecipare ad una costruzione di un paese migliore e riconoscere che il vero nemico di tale progressione sia in primis la guerra che è sempre stato l’arnese e l’argomento che il capitalismo e la sua etica hanno messo in piedi quando si sentono minacciati ed oggi si stia facendo la stessa cosa mascherata invocando quelle che sono le libertà inalienabili compresse.Ma compresse da chi per parlar chiaro dal momento che tutto il sistema funziona sul modello del capitalismo ? E come ho sempre detto tutto questo non fà che ricondursi al riconoscimento che in un tale sistema e dentro tali rapporti di produzione il bene supremo della libertà vi sia per chi ha e possegga e non per chi non abbia e non possegga che sono la stragrande maggioranza degli uomini. Ed è per questo che il sistema stesso spinge sull’acceleratore della creazione a tutti i costi del nemico creando di conseguenza la cultura che la natura umana sia per forza di cose quella dell’ ” homo homini lupus ”.Seguendo tale visione nulla cambierà, anzi peggioreremo tutti quanti.Difatti è quanto stà succedendo ai giorni che viviamo ed ecco il motivo per il quale occorre uscire da tale visione.Sò che non è facile quando tutto intorno parla al contrario (anche per gli errori della sinistra che ha abbandonato giorno dopo giorno la propria cultura) ma occorre essere critici, applicare i distinguo e saper costruire intelligentemente un futuro perchè a tutto questo non c’è alternativa se non il ritorno al Medio Evo. La saluto.