“QUI NON SERVIAMO I NERI”, A CHIUSI COME IN ALABAMA AI TEMPI DI ROSA PARKS

giovedì 11th, maggio 2023 / 14:47
“QUI NON SERVIAMO I NERI”, A CHIUSI COME IN ALABAMA AI TEMPI DI ROSA PARKS
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CHIUSI – Nel film Oscar “La vita è bella” di Roberto Benigni c’è una scena in cui il bambino protagonista si ferma davanti ad un negozio che sulla vetrina espone il cartello “vietato l’ingresso agli ebrei e ai cani“. Quella era l’Italia dopo le Leggi razziali del 1938. 

Nel 1956, l’anno della tragedia di Marcinelle, in Belgio non era infrequente trovare sulle vetrine dei caffè e dei bistrot cartelli con su scritto “interdit aux chiens ed aux italiens“, vietato l’ingresso ai cani e agli italiani. In Belgio gli immigrati brutti sporchi e cattivi eravamo noi. 

Nel 1955, negli Stati Uniti, Rosa Parks, una attivista per i diritti civili dei neri, lei stessa di colore, si rifiutò di cedere il posto su un autobus ad un bianco (foto in alto) e quel gesto di disobbedienza fu la scintilla che accese il boicottaggio dei bus a Montgomery, in Alabama, una delle “azioni di disobbedienza civile di massa” che poi sfociarono nella marcia di Martin Luther King del 1963…

Ne è passato di tempo da allora. Certe cose sembravano ormai consegnata alla storia. Superate.

Sembravano. Perché proprio ieri, in un locale di Chiusi Scalo, non nel profondo sud degli Stati Uniti, una signora leggermente scura di pelle e con accento sudamericano si è vista rifiutare il posto a sedere, per mangiare un boccone. Il locale in questione vende prodotti freschi e preparati ed ha alcuni tavoli per fare servizio mensa o servire pasti veloci, di buona qualità, a chi magari ha fretta.  La signora, peraltro ben vestita e con un trolley appresso era probabilmente scesa da un treno e voleva semplicemente mangiare, come altri avventori. Ma nonostante ci fossero tavoli liberi e senza prenotazioni, la titolare ha detto di no. Le ha fatto intendere, senza spiegazioni plausibili che per lei il posto non c’era.

Il motivo lo ha spiegato ad un’altra cliente, del posto, che era rimasta visibilmente sorpresa e interdetta da quel rifiuto: “scusi, sa, ma io sono razzista”. Questo il motivo del diniego. Il razzismo, nei confronti di una persona straniera e con la pelle un po’ più scura.

L’episodio è grave. e non può passare sotto silenzio.

La titolare del locale in questione evidentemente è rimasta ai tempi in cui le persone come Rosa Parks dovevano lasciare il posto sull’autobus ai bianchi. O forse anche ai tempi in cui, in Italia, i caffè vietavano l’ingresso ai cani e agli ebrei. Di neri in giro all’epoca ce ne erano pochi. Arrivarono qualche anno dopo, a liberarci da nazisti e fascisti. 

L’anno scorso, il 26 giugno, data della liberazione di Chiusi, ci fu una cerimonia al Mascagni cui partecipò l’ambasciatrice del Sudafrica, perché a liberare Chiusi furono i soldati sudafricani aggregati all’esercito britannico. Gli Highlanders di Capetown erano tutti bianchi, e biondi, quasi tutti ventenni, di origini scozzesi. L’ambasciatrice invece è nera. Per fortuna il sindaco la portò a mangiare da un’altra parte, avesse scelto quel localino di Chiusi Scalo che fa “mensa” ci sarebbe stato probabilmente da discutere…

Pare che l’episodio increscioso (la signora sudamericana che ha subito il diniego ne parlava con disappunto e pure in buon italiano con altre persone in altro ristorante dove nessuno ha fatto storie), non sia il primo. Né il locale in questione l’unico in cui il gestore abbia tenuto atteggiamenti razzisti verso persone di colore o comunque straniere. Per esempio verso qualcuno dei tanti ragazzi, per lo più africani, alloggiati nei centri di accoglienza che di giorno girano per il paese.

C’è anche chi, al contrario, lascia la pizza invenduta sulla porta dopo la chiusura, per chi ha fame. Ed è un bel gesto. Ma purtroppo c’è anche il resto. C’è anche il razzismo neanche troppo strisciante.

Chiusi e Chiusi Scalo già soffrono una situazione di declino e di progressivo impoverimento anche del tessuto commerciale, hanno difficoltà a tenere il passo degli altri comuni sul piano turistico, se poi alle chiusure dei bar, al degrado dell’arredo urbano, alle fermate dei treni cancellate, ci aggiungiamo pure i rigurgiti di razzismo, altro che frittata bruciata… qui tocca buttar via anche la padella. 

m.l.

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