SIENA, COMINCIATO IL PROCESSO PER L’INQUINAMENTO DA NICHEL NELLA ZONA INDUSTRIALE DI CHIUSI SCOPERTO NEL 2014. FU UN DISASTRO AMBIENTALE
CHIUSI – E’ cominciato qualche giorno fa, al Tribunale di Siena, il Processo penale per il caso di inquinamento da nichel della falda di Fondovalle a Chiusi Scalo. Il caso fu scoperto e portato alla luce da Primapagina nel 2013. Il processo invece prende le mosse da una denuncia spiccata dal Comune di Chiusi nel settembre 2014, nei confronti di un’azienda privata (Nigi Agricoltura Srl) e di una agenzia governativa (Agea, Ministero Agricoltura). Denuncia arrivata dopo un esposto presentato da centinaia di cittadini e una forte campagna di stampa sostenuta da interrogazioni consiliari e iniziative pubbliche.
Secondo l’amministrazione chiusina fu proprio uno “sversamento” di materiale inquinante stivato da un paio di anni nel capannone della ditta Nigi per conto di Agea, avvenuto durante la rimozione di migliaia di contenitori nel 2008 a causare l’inquinamento da nichel e altri metalli pesanti del terreno circostante e della falda superficiale (fino a 4 metri di profondità).
La presenza di nichel nella falda fu scoperta in seguito a rilievi di routine fatti da Arpat nei “pozzetti” e “piezometri” di ispezione posti nell’area del Depuratore di Bioecologia, ovvero nell’area dell’ex Centro Carni, adiacente al capannone ex Nigi e oggi interessata dal famoso Progetto Acea per un impianto di trattamento e trasformazione dei fanghi di depurazione. Tra i capi di imputazione a carico dell’azienda Nigi e dei dirigenti dell’agenzia governativa Agea, figurano la mancata segnalazione dello sversamento e la mancata bonifica dell’area. Anche se una bonifica, evidentemente molto parziale e insufficiente, fu fatta nel 2008, subito dopo il “fattaccio”. Che come i nostri lettori ricorderanno fu la rottura, in fase di rimozione, di centinaia di contenitori (grosse taniche di pvc da un metro cubo) ammassate e stoccate dentro e fuori il capannone ex Nigi, con conseguente sversamento sul terreno del materiale in essi contenuto che era materiale organico di risulta dalla macellazione di bovini all’epoca della mucca pazza, in attesa di smaltimento… Lo sversamento causò una puzza tremenda per giorni e giorni e l’infiltrazione nel terreno di quel materiale che era già “trattato” con nichel e altri composti.
Il processo è nella fase preliminare e la prima seduta è servita solo per prendere atto di una serie di “eccezioni” presentate dagli avvocati difensori degli imputati (tra cui l’avv. Daniele Chiezzi di Montepulciano, a difesa della ditta Nigi). Il giudice ha rinviato tutto al prossimo 18 settembre. In quella data sapremo se le eccezioni saranno state accolte oppure no.
Sul banco degli imputati oltre a Nigi c’è anche l’agenzia ministeriale Agea, ovvero il Governo, che nel frattempo è cambiato. Ma questo è un particolare ininfluente.
Se le ipotesi accusatorie dovessero essere confermate, verrebbe confermata anche la tesi del Comune. Ovvero che l’inquinamento da nichel della falda di Fondovalle (che peraltro, sia pure in misura diversa pare sia ancora presente) sia dipeso da quello sversamento e non da altri fattori. E quello sversamento c’è stato ed è stato di qualche centinaio di tonnellate di materiale inquinante. Se non migliaia. Su questo non ci piove. Se ciò si avvenuto per errori di manovra nella fase di rimozione o per cattiva o mancata “manutenzione” e protezione di quei contenitori durante lo stoccaggio lo stabilirà il Tribunale. Ma che sia avvenuto e si sia trattato di un vero e proprio disastro ambientale (come denunciato a suo tempo da questo giornale) è indubbio.
Come è indubbio l’inquinamento del terreno intorno al capannone ex Nigi e della falda acquifera superficiale. Cosa questa che – in base alle piogge per esempio e all’innalzamento o abbassamento della falda stessa – può causare problemi seri agli orti, alle coltivazioni più estensive e alla fauna selvatica di tutto il Fondovalle.
E questo confermerebbe anche la necessità di una bonifica profonda di tutta la zona, così come del resto sostiene da tempo la stessa Amministrazione Comunale, anche in relazione al discusso “progetto Acea”. Il sindaco Bettollini in più occasioni ha indicato la bonifica dell’area come una condizione essenziale e irrinunciabile per dare l’ok al progetto Acea. Bonifica che Acea dovrebbe accollarsi, se vuole andare avanti con il proprio piano industriale.
Quindi dal processo appena iniziato può venire una spinta in tal senso. O possono venire risposte diverse. Tipo quella che lo sversamento, che pure c’è stato, non è sufficiente a spiegare un inquinamento del genere. E allora si dovrebbero cercare altre cause. Dal depuratore ai presunti “interramenti abusivi” di rifiuti speciali e pericolosi nella cava a monte o addirittura alla “sepoltura tombale” di rifiuti nelle gallerie della Direttissima, sempre a monte della zona interessata. Tutte ipotesi più volte affiorate, che però non hanno trovato riscontri certi.
La questione è complessa ed è complesso anche l’iter processuale perché gli imputati (Nigi e Agea) hanno ognuno le proprie difese. Gli imputati lato Agea sono ben 7, ognuno con un diverso profilo di responsabilità, secondo la ricostruzione del Pm. In taluni casi le varie posizioni possono apparire addirittura in conflitto l’una con l’altra. Non solo: la ditta Nigi non poteva disporre lo smaltimento, era un mero custode/depositario del materiale stoccato e fu Agea a ritardare di anni i tempi di rimozione rispetto a quanto previsto nel contratto. Ci fu anche un’ordinanza dell’allora sindaco Ceccobao in tal senso e varie diffide da parte della Nigi Srl ad Agea… E su questo ultimo aspetto c’è già stata una sentenza civile che ha dato ragione a Nigi, condannando Agea, che ha presentato ricorso in appello…
Una matassa ingarbugliata. Ma alla fine anche una conferma del fatto che la zona ex Centro Carni e dintorni è oggi fortemente compromessa e sicuramente da bonificare. Anche se il costo dovesse essere di qualche milione di euro.
In questo quadro, la possibilità che il progetto Acea preveda come atto preliminare e propedeutico, ovvero o come conditio sine qua non, la bonifica di quel comparto crediamo sia da tenere in considerazione. Senza con questo dire che quell’impianto si deve fare a prescindere. Però tra i pro e i contro questa storia della bonifica non è una cosa da poco.
M.L.
E’ vero che il caso fu portato alla luce da Primapagina, che lo aveva scoperto in una relazione di Arpat, a cui nessuno aveva dato la giusta importanza.
Per la precisione, però, bisogna dire che la denuncia spiccata dal Comune non fu un atto volontario ma un’azione tardiva e obbligata, decisa solo dopo una denuncia inviata alla procura e firmata da qualche centinaio di cittadini.
All’inizio del caso, l’Amministrazione Comunale, l’Arpat e tutti gli altri enti filogovernativi cercarono di minimizzare la portata dell’inquinamento, sostenendo addirittura che i valori anomali del nichel erano dovuti a cause naturali e accusando, come al solito, anche in malomodo, di allarmismo chi, invece, chiedeva accertamenti più approfonditi.
Fu l’insistente battaglia in consiglio comunale delle opposizioni, a colpi di interrogazioni e mozioni, a mantenere vivo l’interesse sull’argomento che altrimenti sarebbe stato accantonato e passato nel dimenticatoio.
I valori del nichel, nel frattempo, credo siano rimasti fuori dai limiti, se non addirittura cresciuti, perlomeno fino a quando ne chiedevamo periodicamente conto in Consiglio Comunale.
Vero. Giusta precisazione. Articolo aggiornato. Ed è vero che Arpat ha anche smesso di pubblicare sul proprio sito i dati dei rilievi periodici. All’epoca il nichel superava ampiamente la soglia di rischio prevista dalle normative, ma erano presenti anche altri componenti e metalli (ferro, manganese cromo) in concentrazioni sotto i limiti, ma non irrisorie.
Presenze rilevabili non solo nella falda, ma anche nelle acque superficiali (fossi, canali ecc), come risultò anche da analisi commissionate da primapagina.
Va anche detto che il Comitato che inviò l’esposto chiedeva di essere informato dei passaggi formali o giudiziari successivi. Non mi pare che questo sia avvenuto.
Quanto al Comune di Chiusi, la vicenda fu seguita dopo una prima fase in cui l’Amministrazione tendeva a minimizzare, in modo più stringente dall’allora vicesindaco e assessore all’ambiente Gianluca Sonnini il quale, venne a riferire della denuncia presentata e di altri aspetti all’assemblea pubblica organizzata da Primapagina nella saletta Cgil il 15 gennaio 2015. Il caso esplose nel’autunno del 2013, l’esposto dei cittadini è del febbraio 2014; la denuncia del Comune è, come scritto nell’articolo, del settembre 2014. Anche i tempi del tribunale sono stati abbastanza lunghi: 5 anni.