CHIUSI, QUATTRO SPETTACOLI TEATRALI IN UN MESE. CHE BELLEZZA! NEANCHE A LIVERPOOL NEGLI ANNI ’60…

mercoledì 22nd, maggio 2019 / 17:58
CHIUSI, QUATTRO SPETTACOLI TEATRALI IN UN MESE. CHE BELLEZZA! NEANCHE A LIVERPOOL NEGLI ANNI ’60…
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CHIUSI – Ci sono paesi che hanno il rango di città, ma restano paesi. E da qualche anno a questa parte sono anche sempre più silenziosi, desertificati, in superficie. Saracinesche abbassate, negozi chiusi, capannoni dismessi, bar quasi sempre vuoti… Poi ti accorgi che in uno di questi paesi che si chiama Chiusi (e il nome è tutto un programma), in meno di un mese nascono 4 spettacoli teatrali diversi, messi su da 4 compagnie diverse. Anzi non proprio da compagnie (tranne un caso), ma da “collettivi” formati ad hoc sul momento, proprio per allestire lo spettacolo in questione.

4 spettacoli in un mese non sono proprio bruscolini. Vuol dire uno a settimana. Più o meno. E vuol dire che in loco, cioè a Chiusi, un paese col nome che non prefigura nulla di buono, il teatro è decisamente più vivo e vitale della politica e di altre cose. Vuol dire che un certo humus culturale c’è. Per carità, non sarà come Liverpool negli anni ’60, però sono segnali di vita mica da poco.

E il bello è che uno spettacolo, quello dei Semidarte 2.0 è stato fatto da ragazzi sui 20 anni. Lì c’è il futuro. Degli altri 3, due hanno visto sul palco una band che ha appena festeggiato i 50 anni di attività e due attori tra i più noti del teatro locale, e l’altro dieci donne, solo donne, alle prese con un testo “duro” e non facile da digerire, con la regia di un artista che finora ha fatto sempre e quasi esclusivamente il tecnico delle luci e delle scene… Si cresce anche a 60 anni. Il quarto deve ancora andare in scena, al Mascagni, venerdì 24 maggio. E vedrà sul palco 4 voci narranti tra i 30 e i 63 anni, una bandi di 25-30enni e un corpo di ballo con 5 dancers… Anche i questo caso una decina di persone.

Quattro spettacoli, circa 40 persone impegnate, dagli under 20 agli over 60. In qualche caso anche insieme. Sembra di essere tornati davvero al fermento anni ’70, quando si teorizzava  il teatro di strada, di quartiere, il teatro come forma espressiva del pensiero critico. Il teatro per dire e raccontare delle cose che altri hanno smesso di dire e di raccontare.

In tutti e 4 i casi, parliamo di teatro che non è solo prova d recitazione. E’ anche qualcosa di più. E’ teatro che prova a raccontare, a scavare, a riflettere e far riflettere, anche con leggerezza, o con l’aiuto della poesia o della musica. Che sia beat italiano dei tempi del “Piper” o folk-rock americano, oppure Giovanni Pascoli o Bob Dylan cambia poco. E’ il senso quello che conta.

E che sia un adattamento di testi altrui o un lavoro su testo di produzione propria, anche questo cambia poco. Produrre un testo o elaborare e adattare un lavoro già scritto da altri, soprattutto se non è un classico, presuppone comunque ricerca, lavoro, elaborazione, confronto…  Poi lo spettacolo può venir fuori bene o meno bene, non importa. Il lavoro che c’è dietro resterà nel bagaglio di ognuno.

Non so, francamente, se la popolazione di Chiusi abbia o meno la percezione di questa ricchezza. Di questo “movimento” (o giacimento)  culturale che non è un fiume carsico, sotterraneo. E’ una vitalità che emerge alla luce del sole e dei riflettori, si presenta al pubblico. E’ insomma visibile.

Anche in altri paesi, vedi Sarteano, o Montepulciano o Città della Pieve, c’è vitalità culturale, ma Chiusi sembra volersi riappropriare di un ruolo che in passato ha avuto e che sembrava aver smarrito, quello di paese guida, di paese-laboratorio, officina… I tre spettacoli già andati i scena hanno messo in vetrina buona qualità recitativa, tecnica e “di impianto”. Sul quarto, quello del 24 maggio non sta a noi giudicare, il giudizio lo darà il pubblico del Mascagni.  Ma a farlo, io personalmente mi sono molto divertito. E credo anche tutti gli altri coinvolti nel progetto, dai Dudes ai dancers ai 4 “narratori”. Con alcuni ci conoscevamo poco, adesso siamo tutti un po’ più ricchi. Non di soldi, ma in termini di speranze e di rapporti umani sicuramente sì. E ne sapiamo anche molto di più sulla storia che abbiamo deciso di raccontare.

Quaranta persone che in un mese sono salite su un palcoscenico non sono uno scherzo in un paese di 8.000 abitanti. Sono una grande bellezza. E vedere il Mascagni, o altri luoghi (come la Casa del Popolo d Moiano, utilizzata per lo spettacolo 7 Minuti) presi d’assalto da teatranti vecchi e giovani, alcuni “navigati”, altri poco avvezzi alle luci della ribalta, è un bel vedere e fa anche pensare ad un futuro meno cupo. A rapporti meno conflittuali, meno incancreniti e incattiviti. Fa pensare che si possano fare cose buone, in qualche caso molto buone, anche con le forze di casa.  Il che naturalmente non esclude spettacoli con attori e compagnie professionistiche, grandi concerti o festival con artisti di livello nazionale e internazionale. Ci vuole l’uno e l’altro. Con le giuste proporzioni. Ma con il teatro fatto in casa (o la musica prodotta dalle band locali) cresce l’abitudine ad andarci in teatro. Cresce l’humus di cui sopra. Il “giacimento” produce ricchezza.

Dico di più: il fatto che le varie compagnie o gruppi che si formano per uno spettacolo vedano insieme attori di compagnie diverse, anche di quelle dei dintorni (Sarteano, Montepulciano, Città della Pieve, Moiano, Cetona…) è un altro fattore di integrazione e di crescita. Di scambio proficuo e vitale…

Mi pare che la Fondazione Orizzonti, con questo mese piovoso, ma pieno di eventi, abbia anch’essa voluto dare un segnale di attenzione alla “produzione artigianale locale”. E a mio modestissimo parere è un buon segnale.

 

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