SIENA AL CENTRO DESTRA. L’8 SETTEMBRE DEL PD. E ADESSO LA SINISTRA CHE FARA’?

lunedì 25th, giugno 2018 / 11:54
SIENA AL CENTRO DESTRA. L’8 SETTEMBRE DEL PD. E ADESSO LA SINISTRA CHE FARA’?
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CADONO ANCHE PISA, MASSA, TERNI, IMOLA, UMBERTIDE… LE REGIONI ROSSE NON CI SONO PIU’…

SIENA -Un’incollatura, come al Palio. Solo 378 voti. Ma, come al Palio, vince chi arriva primo.  E così Luigi De Mossi ha mandato a casa Bruno Valentini, il Pd e pure il figlio prodigo Piccini tornato ad allearsi con il sindaco uscente al ballottaggio dopo averne detto peste e corna per anni. Dopo 70 anni Siena cambia colore e da oggi ha un’amministrazione comunale di centro destra. Non è più rossa. E neanche gialla. Diciamo che adesso domina il verde, quello della Lega che tende al nero.

De Mossi ha vinto con il 50,8% contro il 49,2 di Valentini. L’affluenza è stata del 56,2%. Il 43,8% degli elettori non ha votato.

Nelle prime battute, caldo, De Mossi, con il vessillo bianconero d Siena in mano, in Piazza del Campo ha detto che il suo sarà un “governo del cambiamento, ma un cambiamento tranquillo, serio e responsabile”. Per prima cosa dovrà tenere alla larga i saluti romani che pure qua e là sono spuntati tra i suoi sostenitori. Comunque, al di là delle battute. Ciò che è successo ieri a Siena è un fatto epocale. E’ la fine di un’epoca. Il disastro compiuto dalla sinistra di governo con il Monte dei Paschi, ma anche con la sanità, i rifiuti, l’Università, negli ultimi 20 anni  è stato definitivamente completato. Ieri non è caduta solo una città simbolo, è caduto l’emblema di un sistema, che in poco tempo ha divorato la tradizione del buongoverno della sinistra attento alle classi più deboli, per dedicarsi alla gestione di un potere complicato, alla finanza, all’intreccio mortale con altri poteri prima distanti (o tenuti alla larga) dal Pci. A Siena è finito ingloriosamente il sogno renziano e non sono bastati né il patto con Piccini, né un Pd parzialmente derenzizzato all’ultimo congresso provinciale. Nè tantomeno la paura che i barbari entrassero nel Palazzo Pubblico e prendessero possesso delle sale con gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti sul buon governo nella città e nelle campagne. Se i cosacchi non entrarono in Piazza San Pietro nel ’48, i barbari nel Palazzo pubblico di Siena sì. E adesso governeranno per 5 anni.

Molti addebitano la sconfitta del Pd e de suoi alleati ai disastri compiuti in questi anni. Monte dei Paschi in primis. Ma siccome il Pd non ha perso solo a Siena, ma anche a Pisa, a Massa, a Terni, a Imola e perfino a Umbertide, il paese della lanciatissima Anna Ascani, uno dei più rossi dell’Umbria, l’impressione è che la sconfitta, proprio perché generalizzata, sia un fatto globale e non locale. Che sia più una questione di vento forte, che non di ragionamenti politici e di scelte ponderate, caso per caso. Finora l’Umbria, la Toscana e buona parte dell’Emilia avevano tenuto, erano riuscite a mantenere una guida di centro sinistra. Adesso le regioni rosse non ci sono più. Perugia e Terni sono entrambe in mano al centro destra. In Toscana Pisa, Massa e anche Siena, dopo Grosseto e Arezzo. Tutta la Toscana sud, quella che fa capo all’Ato rifiuti per esempio, adesso è sotto l’egida del centro destra. Livorno è a guida 5 Stelle…

Anche la Regione, nel 2020 rischia di passare di mano. Idem per l’Umbria. 

E non è escluso che forte del vento che tira, adesso la Lega tenti di sfiancare anche i 5 Stelle nel governo nazionale, per poi cambiare cavallo o andare al voto e fare il pieno, per poi governare con i berlusconiani e Fratelli d’Italia. Le amministrative di queste settimane (soprattutto i ballottaggi) vanno in questa direzione. Vedremo. Certo è che per il Pd non è finita solo una stagione. E’ finito tutto. Adesso il partito pensato da Veltroni 11 anni fa è un cumulo di macerie su cui è impossibile pensare di ricostruire qualcosa che possa stare in piedi. Il renzismo da elemento aggregante e innovativo è diventato motivo di divisione, sinonimo di arroganza e alla fine una pietra tombale.

E a sinistra del Pd non c’è niente che possa somigliare ad una possibile alternativa. Ascoltare i commenti di Liberi e Uguali e Potere al Popolo è come ascoltare una radio spenta. Il vuoto pneumatico. La “tabula rasa” che molti, a sinistra chiedevano per archiviare il renzismo, l’hanno fatta gli elettori.

Certo, adesso, c’è il dubbio che la cura possa essere peggiore del male nelle città, come per il governo nazionale. Solo che nelle città nella maggioranza dei casi la cura si chiama centro destra. Non c’è nemmeno il contrappeso (ammesso che lo sia) dei 5 Stelle. Il quadro politico generale vede una destra che monta come la panna e una sinistra ridotta a forza residuale e per di più divisa. Nel mezzo i 5 Stelle che non sono “né di destra, né di sinistra” e che rischiano anche loro di essere fagocitati dalla propaganda di Salvini, che come venditore ha imparato da Berlusconi ed è piuttosto bravo a solleticare la pancia e gli istinti più viscerali degli italiani.

Per il Pd queste amministrative sono una vera e propria Waterloo. Siamo a giugno, ma il clima è quello dell’8 settembre. Tutti a casa. Chiaro che i dirigenti nazionali e quelli delle “città perdute” (nel senso di perse, consegnate al nemico), come Siena, debbano farsi da parte. Dimissioni in blocco, immediate e apertura di una fase di “ricostruzione” o rifondazione.  Altrettanto chiaro è che chi è stato causa o artefice della sconfitta non possa dettare la linea. Neanche provarci. Potrebbero farlo e c’è da augurarsi che lo facciano, quei dirigenti e soprattutto quei sindaci che in qualche misura hanno preso le distanze dal renzismo, magari senza dirlo, ma nei fatti… Quei sindaci, anche renziani, che sono rimasti al pezzo cercando di tenere comunque  la barra a sinistra sui valori ideali, sull’antifascismo, ma anche su questioni concrete di gestione dei servizi, sulla cultura, sull’ambiente, sull’accoglienza… Sindaci e amministratori che hanno un proprio seguito, che hanno ancora consenso nella propria realtà. Ecco provino loro (anche loro) a prendere il toro per le corna e ad aprire la discussione sul da farsi.

E la sinistra critica e orfana, quella che ultimamente ha votato Leu, Potere al Popolo o non è andata a votare, faccia anch’essa un esamino di coscienza, provi a mettere nel cassetto i distinguo, provi a immaginare una sinistra nuova, unita, aperta, plurale. Non più “serva” del mercato, invaghita delle privatizzazioni, legata più alle banche che ai lavoratori e ai disoccupati, ma neanche avviluppata su se stessa, lontana dal sentire comune.

Sarà un lavoro duro, faticoso. Ma non c’è alternativa. Adesso che è stata fatta piazza pulita, che le rendite di posizione sono finite, che i fortini da difendere sono tutti caduti, c’è poco altro da fare se non ricominciare a pensare, abbandonando le semplificazioni. Potrebbe tornare utile rileggere Gramsci. E perché no anche Berlinguer.  E dovranno farlo – se vorranno sopravvivere – anche i 5 Stelle, perché adesso per loro comincia il viaggio vero. Adesso non hanno più il nemico numero uno. Il totem da abbattere. “Mandiamoli a casa!” hanno gridato per anni. Ora il Pd è stato mandato a casa anche a Siena dove incarnava un potere che sembrava immutabile e intoccabile. Adesso dovranno abbandonare gli slogan e cominciare a far politica. E dovranno anche cominciare a scegliere tra destra e sinistra. Per il governo nazionale hanno scelto. Nelle città un po’ meno.

E se la sinistra non vorrà rassegnarsi a farsi rappresentare dai 5 Stelle, dovrà per forza di cose inventarsi qualcosa di diverso. Anche perché tra un anno, nel 2019, si voterà in molti comuni, compresi quasi tutti quelli del nostro territorio ad eccezione di Chiusi e Sarteano che voteranno nel 2021 e nel 2022. Qualche altra casamatta potrebbe cadere, se non ci sarà un ripensamento generale sulla strategia e sull’identità della sinistra.

m.l.

 

 

 

 

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