PROGETTO ACEA: IL PARERE DEL BIOLOGO AMBIENTALISTA GIANNI TAMINO. E NON E’ UN SILURO…

martedì 26th, giugno 2018 / 11:59
PROGETTO ACEA: IL PARERE DEL BIOLOGO AMBIENTALISTA GIANNI TAMINO. E NON E’ UN SILURO…
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CHIUSI –  Un paio di giorni fa, sulla pagina facebook del “Comitato sul Carbonizzatore” di Chiusi è stata pubblicata la risposta del biologo Gianni Tamino, esponente storico e di spicco dell’ambientalismo italiano, ad dottor Giovanni Vantaggi, altro esperto di questioni ambientali, circa la tecnologia e il processo produttivo degli impianti di “carbonizzazione idrotermale”, come sarebbe quello previsto da Acea nella zona industriale dell’ex Centro Carni di Chiusi.

Per la cronaca, fu proprio Gianni Tamino, insieme a Edo Ronchi, all’epoca entrambi deputati di Democrazia Proletaria- su iniziativa di Legambiente e de l’Agorà, di Chiusi –  a portare in Parlamento la questione delle famigerate “ceneri” di Fabro, Tavernelle e Città della Pieve, ovvero le ceneri della centrale a carbone di La Spezia che alcuni comuni utilizzarono per costruire zone industriali, campi sportivi, piazzali, strade. L’Enel pagava a peso d’oro chi si offriva di smaltirle. Un mare di ceneri, un fiume di tir e di soldi…

La risposta che Tamino fornisce a Vantaggi sugli impianti di carbonizzazione si riferisce all’impianto proposto a Capannori, bocciato da Legambiente e bloccato dall’amministrazione della cittadina lucchese. Ma siccome il progetto di Capannori era simile a quello proposto per Chiusi, diciamo che può essere pertinente e interessante, anche rispetto al “progetto Acea”.

Scrive Tamino: “Di questi impianti ho trovato notizia solo di uno esistente a Valencia (in Spagna) ed un altro proposto a Capannori (Lucca), già bocciato anche da Legambiente.
Viene definito come impianto di carbonizzazione idrotermale perchè avviene in acqua a forte pressione temperatura non molto elevato.
Ecco un testo (favorevole a questa tecnica) che ho trovato in internet: La carbonizzazione idrotermale (Htc)
Il processo termochimico è ben noto da tempo, ma negli ultimi cinque anni si è impennato l’interesse da parte della comunità scientifica e tecnologica in termine di ricerche e pubblicazioni. Inserendo le biomasse umide in un ambiente stagno e a certe condizioni di temperatura e pressione (180-250 °C e 20-30 atm) la FORSU restituisce, in un tempo inferiore alle 12 ore, acqua ricca in nutrienti ed un materiale allo stato solido comunemente detto biochar, ossia un carbone che può essere considerato a tutti gli effetti rinnovabile.

Dei due prodotti generati, la soluzione acquosa può essere utilizzata come fertilizzante in agricoltura, mentre il residuo solido (biochar) ha le caratteristiche di una lignite, e può essere riutilizzato con tutte le finalità del suo alterego di origine fossile: come combustibile solido conforme alla normativa europea, come prodotto per il miglioramento del suolo o per i trattamenti idrici, grazie al grande potere adsorbente. Sono inoltre in corso studi sui post trattamenti del biochar, a seguito dei quali può essere utilizzato per realizzare prodotti ad alto contenuto tecnologico come batterie, celle a combustibile, biodiesel. Il tutto senza impattare sul bilancio della CO2 in atmosfera.

Il concetto promosso in sede di convegno è quello di creazione di piccole e locali bioraffinerie, che possano chiudere il ciclo dei rifiuti organici su scala locale dando nuova vita alla FORSU con un impatto, in termini di CO2, neutro o addirittura negativo, nel caso in cui il biochar non sia utilizzato per la combustione.

Infine, anche per quanto riguarda uno dei problemi che tipicamente accompagnano questi tipo di impianti, ossia l’impatto odorigeno, viene sottolineato come alle condizioni di temperatura e pressione citate, la soluzione all’interno del reattore HTC è liquida e in condizioni stagne, quindi in sede di processo l’impatto odorigeno è annullato. La sola zona di emissione è quella di stoccaggio, ma rispetto ai metodi tradizionali di trattamento anche questo impatto risulta inferiore in quanto il processo HTC si completa in un tempo circa cento volte inferiore rispetto alla digestione anaerobica (40 giorni contro circa 8 ore). Di conseguenza, anche il tempo di residenza del materiale in attesa di trattamento è circa cento volte inferiore.

In realtà si tratta di impianti sperimentali, quindi non si sa quanto funzionanti, ma soprattutto l’obiettivo è produrre un biochar simile alla lignite: se questo carbone viene bruciato è sicuramente molto inquinante, ben più del biogas!”

In sostanza il biologo padovano si limita a riportare e riferire un testo “favorevole” alla tecnologia Ingelia (quella proposta anche da Acea), nel quale si traccia un quadro tutt’altro che preoccupante per ciò che riguarda il processo produttivo, i due prodotti finali (la soluzione liquida e il biochar, ovvero la biolignite) e le eventuali emissioni o impatto odorigeno, che viene definito praticamente nullo o molto limitato.

Le uniche perplessità Tamino le esprime sul fatto che “trattasi di impianti sperimentali, quindi non si sa quanto funzionino”  e sulla biolignite, se usata come combustibile. “Se questo carbone viene bruciato è sicuramente molto inquinante, ben più del biogas”, scrive all’amico Vantaggi. Se invece viene usato come filtro per trattamenti idrici o come ammendante per il miglioramento del suolo, o addirittura come componente per prodotti ad alta tecnologia, come batterie, biodiesel ecc, non è pericoloso, anzi…

Ma chi brucerebbe il biochar prodotto dall’impianto Acea a Chiusi Scalo? Non l’impianto stesso, se mai gli eventuali acquirenti che potrebbero acquistarlo in sacchi appositamente confezionati, come il pellet per le stufe di casa o la carbonella per il barbecue… Ma anche a carbonella e il pellet qualche problemino di inquinamento lo danno. Eppure nessuno pensa di vietare il barbecue o le stufe e i caminetti…

Insomma la nota di Tamino non sembra esattamente un “siluro” sparato verso la tecnologia Ingelia e  il progetto Acea. E quel riferimento all’uso della biolignite come componente per produzioni tecnologiche, sembra fatto apposta per avvalorare uno dei punti cardine del recente “atto di governo” approvato dal Consiglio Comunale con il voto favorevole della maggioranza e dei 5 Stelle, nel quale si accenna alla possibilità di insediare nell’area centri di studio e ricerca universitari su questo tipo di prodotti.

Gianni Tamino, sulle questioni ambientali non è solo un esperto, è una figura al di sopra di ogni sospetto, un’autorità assoluta, una delle voci più credibili che ci siano in Italia.

m.l.

 

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