PARTIGIANA DI ORIGINI CHIUSINE MUORE A PONTREMOLI A 95 ANNI.
Aveva origini chiusine Laura Seghettini, morta oggi a Pontremoli all’età di 95 anni. Con il nome di battaglia “Mercedes” fu Vicecomandante della XXII Brigata Garibaldi “Fermo Ognibene” di Parma. Nel Maggio 1944 in Lunigiana le formazioni partigiane combatterono contro i nazi-fascisti una guerra senza quartiere.
Laura SegehttiniI nata il 21 Gennaio del 1922, da padre chiusino, è una giovane maestra proveniente da una famiglia di idee socialiste. Era da poco tornata profuga dalla Libia perché oppositrice irriducibile del fascismo, quando, per sfuggire all’ennesimo arresto, fugge in montagna e si aggrega ai “ribelli” del Distaccamento “Picelli” operante nell’appennino Tosco-Emiliano.
Durante i venti mesi della Lotta di Liberazione, diviene Vice-comandante della XII Brigata Garibaldi “Fermo Ognibene” di Parma, cosa non comune per una donna, e vive l’esperienza drammatica e dolorosa della condanna a morte e della fucilazione del suo compagno Dante Castellucci detto Facio (il calabrese della Banda dei sette Fratelli Cervi) ad opera di altri partigiani.
Laura per anni, dopo quell’episodio, studiò la sentenza e cercò le testimonianze e le prove che potessero scagionare “Facio” e le trovò. Denunciò il comandante che ne ordinò la fucilazione Antonio Cabrelli, il quale però se la cavò grazie all’amnistia voluta da Togliatti dopo la Liberazione. Ma quella storia ha segnato tutta la sua vita.
Laura Seghettini aderì al PCI e fino all’ultimo è stata dirigente dell’ANPI. Nel Maggio del 2005 è stata insignita del titolo di Commendatore dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
La storia di Dante Castellucci ricorda abbastanza da vicino quella del partigiano Joseph Kluczinj detto “Beppe il Polacco” fatto fucilare i primi di giugno del ’44, dal comandate della brigata Simar Silvio Marenco, operante tra il Monte Cetona e la Valdorcia, per divergenze sul tipo di guerriglia da attuare e forse anche per motivi personali. Una pagina oscura della Resistenza, a differenza del caso Castellucci, mai chiarita fino in fondo.
ANPI, chiusi, Pontremoli
A proposito della “brutta storia” del polacco Kluczinji ricordo che una decina di anni fa nello scrivere un romanzetto giallo che prendeva spunto da alcune vicende chiusine dei giorni della battaglia per la libereazione di Chiusi, ebbi modo di parlare a più riprese con alcuni partigiani che erano nella sua banda. In particolare con Alberto Laurini. Ma nessuno di loro (tantomeno Laurini) aveva voglia di tornare su quella dolorosa vicenda. L’avevano quasi “rimossa” dalla memoria e messa in un angolo. Come se avesser pudore a parlarne. Loro che avevano rischiato seriamente di fare la stessa fine del polacco…
I suoi compagni non ne volevano più parlare forse per non svegliare certi “fantasmi”, che potevano infangare la “bella storia” della Resistenza in Valdorcia e sul Cetona. Da quel poco che riuscii a capire (captare) si trattò di un regolamento di conti per questioni personali – molto personali – e in seconda battuta di una diversa visione della guerra partigiana tra la linea attendista e monarchica del comandante Marenco e quella più “guerrigliera” e meno paludata del povero Kluczinji che fu sacrificato, senza troppi complimenti per affermare una leadership. La Resistenza è una bella storia collettiva, che però si porta dietro anche storie brutte, delle quali sarebbe bene cominciara a parlare, senza troppe reticenze e pudori…
I riferimento che ho io la dicono chiara di cosa si trattò. Leggile nel mio libro “Perché gli altri non dimentichino”. Lì c’è il racconto dei partigiani come Laurini e gli altri del nucleo di Chiusi che Marenco spaccia come un gruppo che aveva la stessa opinione sul Polacco.