COVID E NON COVID, L’EMERGENZA STA DECIMANDO UNA GENERAZIONE: LA GUERRA SILENZIOSA DEGLI ANZIANI

lunedì 29th, marzo 2021 / 10:37
COVID E NON COVID, L’EMERGENZA STA DECIMANDO UNA GENERAZIONE: LA GUERRA SILENZIOSA DEGLI ANZIANI
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Qualche giorno fa è morta mia madre. Non di covid, ma nello stesso modo dei malati di covid. Crisi respiratoria, che a 90 anni passati e con un cuore malandato e affaticato ci può stare. E’ morta all’ospedale di Nottola, un ospedale non covid, ma blindato come gli ospedali covid. Quando si muore si muore soli, cantava De Andrè. Adesso in era covid, questa cosa è ancora più vera. Mia madre è morta da sola. E pensare al senso di solitudine di chi se ne va, senza avere neanche i familiari intorno, è devastante. Ma le norme di sicurezza e i protocolli vanno rispettati, anche se possono apparire disumani. Forse un po’ più di elasticità negli operatori non guasterebbe, ma è comprensibile anche la loro rigidità.

E’ una generazione intera che ne sta facendo le spese. Covid o non covid. I novantenni e gli ottantenni se ne vanno a causa del virus, ma anche dell’età, degli acciacchi e patologie pregresse che col virus non c’entrano niente. Il fine corsa è identico per tutti. Ed è un capolinea drammatico, reso più amaro appunto dal fatto di non poter avere il conforto di nessuno, se non dei sanitari, i quali fanno tutto il possibile, e anche di più, ma per i quali alla fine sei solo il numero del letto: il 35, il 44, il 51… E non può essere altrimenti.

Dovremmo tutti riflettere un attimo su questo, sulla decimazione che gli anziani stanno subendo anche perché l’emergenza covid ha abbassato, diradato e ridotto tutto il resto, comprese le visite, le cure, le analisi.

Dovremmo avere memoria e rispetto per ciò che quella generazione ha dato, quando era nei suoi giorni migliori.

Mia madre per esempio era nata nel 1930 e a Chiusi ha fatto parte di un gruppo di donne che negli anni ’60-70 fu decisivo per cambiare una certa mentalità diffusa e radicata. E anche per la crescita, allora esponenziale, della sinistra e della sua egemonia culturale.

Le chiamavano, allora, “le donne dell’Udi”, cioè del’Unione Donne Italiane, una di quelle che all’epoca venivano definite le “cinghie d trasmissione” della sinistra. Del Pci in particolare, ma non solo del Pci. Il femminismo vero e più “arrabbiato” doveva ancora venire, e venne fuori in maniera dirompente durante la campagna referendaria per il Divorzio, nel ’74. Ma prima di quella grande battaglia di civiltà, le”donne dell’Udi” erano già in campo, da un pezzo… Distribuivano casa per casa, porta a porta, il giornale Noi Donne, facevano iniziative sulla condizione femminile, ma anche sul lavoro, sulla scuola. Nel ’72 accolsero a Chiusi, al casello dell’A1, Nguyen Thi Binh, una compagna della loro generazione che però stava facendo in quel momento diplomazia internazionale per il suo paese, il Viet Nam in guerra, Viet Nam di cui diventerà ministro e vice presidente… Un entusiasmo e una partecipazione del genere l’ho vista solo quando arrivò Socrates della Fiorentina che era un gran personaggio, ma per la Viola fece poco…

Le ricordo ancora le donne dell’Udi di quegli anni, alcune delle quali sperimentarono il lavoro in fabbrica, alla Bianchi poi Duebierre, quando ormai avevano più di 40 anni, ma vissero quel momento come il coronamento di un percorso di emancipazione. Volevano bene alla fabbrica come la Vicenzina di Jannacci e la difesero, quando cominciò a vacillare,  la occuparono pure, tra lo scetticismo o l’ostracismo dei mariti, compresi quelli comunisti militanti. Era il ’77. Cominciava un periodaccio…

Ricordo anche i nomi delle donne dell’Udi: Ada Galli Spadea che ne era la punta di diamante, il capo riconosciuto e infaticabile, poi Graziella Rosati Fiorini, Antonia  Lorenzoni Bacchetta, Rina Margheriti Mazzieri, Livia Marchi Micheletti, Amelia Culicchi, Laura Giulietti (moglie dell’onorevole socialista Loris Sricciolo), Nicla Capitini, un’intellettuale che da Firenze mandava i suoi contributi alla causa… poi mia madre Liliana Capperucci, Vela Fei, Primetta Duchini Bagiana, Leontina Marchi Fei, Rina Tosi… Abitavano quasi tutte nelle zone più popolari: Via Piave e Montegrappa, via Oslavia, via Nazario Sauro e Rione Carducci. Qualcuna veniva dal mondo contadino, altre no: proletariato e piccola borghesia urbana, famiglie di operai, artigiani, commercianti, ferrovieri, un blocco sociale che allora era solido e solidale.

Le ritrovavi sempre alle Feste de l’Unità, ma anche a quelle dell’Avanti, talvolta anche a tutte e due perché a sinistra bisognava essere uniti e tra compagni ci si aiuta,  a tirare i pici a mano, a fare dei sughi che oggi te li sogni, e ai comizi, alle assemblee, alle riunioni di caseggiato che allora si facevano per portare la politica anche nelle periferie, e dove le donne erano sempre più degli uomini…

Qualcuno oggi, anche tra parenti, concittadini e conoscenti le ricorderà solo come madri, zie, nonne…  ma quelle donne dell’Udi sono state anche qualcosa in più, qualcosa che probabilmente ormai sfugge anche alla memoria. E invece sarebbe giusto ricordare, proprio adesso che una dopo l’altra se ne stanno andando e che hanno passato gli 85 se non i 90. La guerra al virus e la vaccinazione agli over 80 da fare prima possibile e nella maniera più semplice possibile è un tributo dovuto alla generazione più esposta e che si trova in guerra anche su altri fronti, chiusa in casa, con gli ospedali, gli ambulatori e i medici “sequestrati” dall’emergenza, e neanche la possibilità di incontrare figli e nipoti per il pranzo di Pasqua se questi sono più di due…  L’isolamento e la solitudine fanno male a tutti, ma agli anziani molto di più.

Marco Lorenzoni

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