COVID E NON COVID, L’EMERGENZA STA DECIMANDO UNA GENERAZIONE: LA GUERRA SILENZIOSA DEGLI ANZIANI
Qualche giorno fa è morta mia madre. Non di covid, ma nello stesso modo dei malati di covid. Crisi respiratoria, che a 90 anni passati e con un cuore malandato e affaticato ci può stare. E’ morta all’ospedale di Nottola, un ospedale non covid, ma blindato come gli ospedali covid. Quando si muore si muore soli, cantava De Andrè. Adesso in era covid, questa cosa è ancora più vera. Mia madre è morta da sola. E pensare al senso di solitudine di chi se ne va, senza avere neanche i familiari intorno, è devastante. Ma le norme di sicurezza e i protocolli vanno rispettati, anche se possono apparire disumani. Forse un po’ più di elasticità negli operatori non guasterebbe, ma è comprensibile anche la loro rigidità.
E’ una generazione intera che ne sta facendo le spese. Covid o non covid. I novantenni e gli ottantenni se ne vanno a causa del virus, ma anche dell’età, degli acciacchi e patologie pregresse che col virus non c’entrano niente. Il fine corsa è identico per tutti. Ed è un capolinea drammatico, reso più amaro appunto dal fatto di non poter avere il conforto di nessuno, se non dei sanitari, i quali fanno tutto il possibile, e anche di più, ma per i quali alla fine sei solo il numero del letto: il 35, il 44, il 51… E non può essere altrimenti.
Dovremmo tutti riflettere un attimo su questo, sulla decimazione che gli anziani stanno subendo anche perché l’emergenza covid ha abbassato, diradato e ridotto tutto il resto, comprese le visite, le cure, le analisi.
Dovremmo avere memoria e rispetto per ciò che quella generazione ha dato, quando era nei suoi giorni migliori.
Mia madre per esempio era nata nel 1930 e a Chiusi ha fatto parte di un gruppo di donne che negli anni ’60-70 fu decisivo per cambiare una certa mentalità diffusa e radicata. E anche per la crescita, allora esponenziale, della sinistra e della sua egemonia culturale.
Le chiamavano, allora, “le donne dell’Udi”, cioè del’Unione Donne Italiane, una di quelle che all’epoca venivano definite le “cinghie d trasmissione” della sinistra. Del Pci in particolare, ma non solo del Pci. Il femminismo vero e più “arrabbiato” doveva ancora venire, e venne fuori in maniera dirompente durante la campagna referendaria per il Divorzio, nel ’74. Ma prima di quella grande battaglia di civiltà, le”donne dell’Udi” erano già in campo, da un pezzo… Distribuivano casa per casa, porta a porta, il giornale Noi Donne, facevano iniziative sulla condizione femminile, ma anche sul lavoro, sulla scuola. Nel ’72 accolsero a Chiusi, al casello dell’A1, Nguyen Thi Binh, una compagna della loro generazione che però stava facendo in quel momento diplomazia internazionale per il suo paese, il Viet Nam in guerra, Viet Nam di cui diventerà ministro e vice presidente… Un entusiasmo e una partecipazione del genere l’ho vista solo quando arrivò Socrates della Fiorentina che era un gran personaggio, ma per la Viola fece poco…
Le ricordo ancora le donne dell’Udi di quegli anni, alcune delle quali sperimentarono il lavoro in fabbrica, alla Bianchi poi Duebierre, quando ormai avevano più di 40 anni, ma vissero quel momento come il coronamento di un percorso di emancipazione. Volevano bene alla fabbrica come la Vicenzina di Jannacci e la difesero, quando cominciò a vacillare, la occuparono pure, tra lo scetticismo o l’ostracismo dei mariti, compresi quelli comunisti militanti. Era il ’77. Cominciava un periodaccio…
Ricordo anche i nomi delle donne dell’Udi: Ada Galli Spadea che ne era la punta di diamante, il capo riconosciuto e infaticabile, poi Graziella Rosati Fiorini, Antonia Lorenzoni Bacchetta, Rina Margheriti Mazzieri, Livia Marchi Micheletti, Amelia Culicchi, Laura Giulietti (moglie dell’onorevole socialista Loris Sricciolo), Nicla Capitini, un’intellettuale che da Firenze mandava i suoi contributi alla causa… poi mia madre Liliana Capperucci, Vela Fei, Primetta Duchini Bagiana, Leontina Marchi Fei, Rina Tosi… Abitavano quasi tutte nelle zone più popolari: Via Piave e Montegrappa, via Oslavia, via Nazario Sauro e Rione Carducci. Qualcuna veniva dal mondo contadino, altre no: proletariato e piccola borghesia urbana, famiglie di operai, artigiani, commercianti, ferrovieri, un blocco sociale che allora era solido e solidale.
Le ritrovavi sempre alle Feste de l’Unità, ma anche a quelle dell’Avanti, talvolta anche a tutte e due perché a sinistra bisognava essere uniti e tra compagni ci si aiuta, a tirare i pici a mano, a fare dei sughi che oggi te li sogni, e ai comizi, alle assemblee, alle riunioni di caseggiato che allora si facevano per portare la politica anche nelle periferie, e dove le donne erano sempre più degli uomini…
Qualcuno oggi, anche tra parenti, concittadini e conoscenti le ricorderà solo come madri, zie, nonne… ma quelle donne dell’Udi sono state anche qualcosa in più, qualcosa che probabilmente ormai sfugge anche alla memoria. E invece sarebbe giusto ricordare, proprio adesso che una dopo l’altra se ne stanno andando e che hanno passato gli 85 se non i 90. La guerra al virus e la vaccinazione agli over 80 da fare prima possibile e nella maniera più semplice possibile è un tributo dovuto alla generazione più esposta e che si trova in guerra anche su altri fronti, chiusa in casa, con gli ospedali, gli ambulatori e i medici “sequestrati” dall’emergenza, e neanche la possibilità di incontrare figli e nipoti per il pranzo di Pasqua se questi sono più di due… L’isolamento e la solitudine fanno male a tutti, ma agli anziani molto di più.
Marco Lorenzoni
Condoglianze Marco.
Proprio così carissimo amico. quelle generazioni come tua madre, non va dimenticato, hanno ricostruito l’Italia dalle macerie della guerra e quando se ne vanno, sono pezzi di storia che si chiudono. Mio padre mi raccontava dell’otto settembre, lui si trovava in Greciia, capì immediatamente che i tedeschi non erano più alleati. Fuggi per le montagne e fu aiutato da alcune famiglie greche, che lo rivestirono e lo aiutarono a tornare in Italia. Un abbraccio
Marco, ho appreso della scomparsa solo adesso e leggendo il tuo scritto in questo momento.Sono rimasto colpito e mi dispiace moltissimo.Io l’ho conosciuta come una donna pacata e forte,e dietro alla sua pacatezza c’era il vissuto e l’equilibrio di persona che hai ben descritto tu e se penso a lei leggendo le tue parole mi vengono in mente anche la mia di mamma ed anche le mie zie che anche tu hai conosciuto.Non ci sono parole che possano confortare il dispiacere di quando si perde un genitore, ma per la madre credo che tale dolore possa essere anche una emozione superiore a quelle della perdita di un padre e credo che le motivazioni ci siano anche in questo caso proprio perchè è la persona che più di ogni altra ci abbia seguito in tutto.Era abbastanza tempo che non la incontravo e forse non usciva più da casa.La vedevo che mi salutava sempre dalla macchina di tua sorella e mi guardava sempre con un fare molto dolce e forse gli ricordavo i momenti che aveva passato insieme con tuo babbo Nello,mio zio ed anche mia zia Palmira e mia madre, e credo che potesse in sè gioire di quei ricordi. Si, hai detto bene, con la scomparsa progressiva di questa generazione si conclude un epoca, un epoca che non ritorna più e che ha visto la generazione dei nostri genitori essere presenti nelle vite nostre e nonostante le vicissitudini e spesso anche la crudezza della vita di quell’epoca che ci ha visto ragazzini, quelle vite che ci sono state accanto alla nostra erano e sono state essenziali per farci crescere.Andiamone fieri di loro.E’ tutto quello che adesso posso dirti e credimi con grande rammarico.Ti porgo le mie condoglianze insieme a quelle di Elisabetta.
E un’altra se n’è andata. La Liliana faceva parte di quel paesaggio interiore che ha popolato la mia infanzia, vissuta tra via Oslavia, la Fornace, la Cava, la Piazzetta e via Mazzini. Ancora non faceva parte della Contrada della Fornace, perché ancora le contrade non esistevano, ma il territorio era quello. La Liliana, e Nello, li ho conosciuti prima come genitori dell’amico Marco, poi come compagni di Sezione e delle Feste dell’Unità. Erano dei punti di riferimento su cui poter contare. Con loro se sta andando un mondo che trapassa dai ricordi ai libri di storia. Di Liliana, grande “appiciatrice”, ricordo il sorriso ed la disponibilità, ma anche il carattere e la sua forte partecipazione emotiva alle vicende della Giraffa (se non sbaglio) nei giorni del Palio. E ora che ha terminato la sua “corsa” terrena, avrà tutto il tempo per ricordare alle donne più giovani che la lotta per l’emancipazione femminile è passata anche dalla diffusione di “Noi Donne”. Un saluto affettuoso a Marco e Lucia.
Al Direttore le mie più sentite condoglianze.