SINDACO FALSO, BUGIARDO E MALVAGIO. MA NON È DIFFAMAZIONE. È QUESTIONE DI CONFINI

Epiteti al sindaco di una cittadina sicula riconosciuti pertinenti alla critica politica dalla Corte Suprema
Un brutto giorno del 2011 il primo cittadino di Furci Siculo, in provincia di Messina, vede il suo nome sbattuto su manifesti che lo definiscono falso,bugiardo,ipocrita e malvagio. A scriverli, come da firma apposta sui manifesti, sono sei consiglieri dell’opposizione che lo accusano di aver tradito una delle promesse fatte in campagna elettorale (ma la notizia non è questa).
Nel marzo del 2014 , nel processo di primo grado, «viste le connotazioni personali delle ingiurie contenute nel testo dei manifesti», il tribunale di Messina condanna i sei autori i quali però fanno ricorso alla Corte di Appello e, nel 2016, lo vincono. L’ormai ex sindaco fa ricorso anche lui, forse certo di ottenere il risarcimento dei danni per diffamazione. Ma, e questa è la notizia, la Corte Suprema respinge il ricorso. Contro ogni previsione, diffamazione non è.
Cioè, la Corte di Appello riconosce la connotazione offensiva degli insulti ma afferma che dal contenuto dei manifesti è chiaro che si tratta di critiche “pertinenti, sebbene espressione di un costume politico deteriore ma ampiamente diffuso” .
Se questo significa che a partire da domani potremo dare del cretino a ogni sindaco che non rispetta le promesse fatte in campagna elettorale (e, dati i climi caldi, temo che non basterebbero i muri) è tutto da vedere. O se, fermo restando la pertinenza, potremo usare espressioni del costume politico deteriore – ma ampiamente diffuso- e mandarci anche qualche dirigente politico a rischio di scatenare Casamicciola, lo scopriremo solo vivendo.
Senza dubbio la sentenza crea un precedente, insinuando un’ulteriore componente di ambiguità in quel fragile confine tra diffamazione e analisi critica che deve continuamente passare al vaglio della Legge per far valere il diritto di critica sull’intento di vilipendio. Ne sa qualcosa primapagina che recentemente si è visto catapultare una querela per aver espresso un’opinione critica nei confronti dell’operato del sindaco di Montevarchi.
Diciamolo, un po’ troppo spesso è il diritto di querela a prevalere su quello di analisi critica, nonostante la legge italiana preveda l’obbligo di pubblicazione del contraddittorio. Una legge che di fatto tutela la parte che si sente lesa in quanto garantisce l’opportunità di ribattere, spiegare e giustificare la propria posizione con le proprie argomentazioni. Che però bisogna avere. E forse la querela, in questo senso, è la strada più facile. È la scelta di chi preferisce affidarsi alle argomentazioni di un altro piuttosto che impegnarsi in prima persona, analizzando e affrontando la linea sottile tra libertà di espressione e tutela dell’individuo.
Ma la fragilità è la caratteristica, se non la natura stessa, delle aree di confine. Geografiche o concettuali che siano, le zone di frontiera sono le più vulnerabili, le più esposte a venti opposti e contrari che spingono ora da una parte ora dall’altra. Aree ibride, difficili da demarcare, ostiche da regolamentare
Elda Cannarsa
Corte di Cassazione, Giustizia, Sicilia
Ho ricevuto da un caro amico che stimo questo messaggio ”
Personalmente credo che la sindaca non si sia offesa per le accuse di fascismo o per la questione in se stessa, quanto per le considerazioni sulla sua acconciatura e il suo modo di essere donna. Dato che il “giornalista” non è nuovo ad uscite di questo tipo, la Cippitelli per esempio venne definita la bionda appariscente che gira col suv, credo che gli appartenga una certa misoginia e un certo sessismo, in tempi di femminicidio quotidiano trovo questa cosa grave, così come trovo grave che una donna al di là dei suoi comportamenti quotidiani debba essere giudicata per il suo aspetto esteriore, il suo abbigliamento o l’acconciatura.”
Questo nella querela non c’è scritto. Se è così vinceremo più facilmente la causa, ammesso che il Gip decida di mandarla avanti. Quanto al sessismo e alla misoginia, lascerei perdere, invitando a leggere meglio l’articolo incriminato… Cara Bonella il tuo carissimo amico mi sa che ci ha capito poco o niente…
‘La misura è scattata lunedì scorso e a detta della sindaca, bionda e un po’ vamp”…
“bionda e un po’ vamp”. Dov’è il problema? Mica è un’accusa o un’offesa. Non conoscendo la persona, mi sono limitato a inquadrare il soggetto sulla base di una foto del suo profilo in cui la sindaca appare “bionda e un po’ vamp”. Stop…Se Bionda e un po’ vamp si può consderare frase diffamatoria allora altro che alla frutta siamo…
Forse si e’ risentita della valutazione personale piu’ che del contenuto politico.
Quella valutazione è una “descrizione”. Corrisponde o meno all’immagine pubblicata? Ma soprattutto può dirsi diffamatoria? Sul look di Maria Elena Boschi quante ne abbiamo lette e sentite di “valutazioni” del genere?
Rivolte ad un sindaco non hanno rilevanza penale…ma che pensava quando ha querelato di essere un magistrato?