LA PUBBLICITA’ DI UNA BOUTIQUE, IL CHINOTTO E I PUGNI ALZATI…
CHIUSI – Tra le tante saracinesche abbassate i tanti cartelli “Vendesi” o “Affittasi” che sembra sia passato da poco l’uragano Katrina, a Chiusi Scalo c’è anche qualche negozio che ogni tanto si inventa un colpo a sorpresa. Sì, la pubblicità è l’anima del commercio, e se la fai in maniera intelligente e strana può anche funzionare di più. Tra questi negozi c’è sicuramente il Cantiere 75 (da non confondersi con quello – Internazionale d’Arte – di Montepulciano che è del ’76…). Il nome evoca luoghi di lavoro e di fatica. In realtà è una boutique. Abbigliamento da uomo. Capi griffati per lo più, non proprio a buon mercato, ma è roba bella e di qualità. E la roba bella e di qualità costa. Un paio di anni fa utilizzò come modello il noto attore locale Gianni Poliziani, la cui gigantografia campeggiò per mesi in una delle vetrine. Bella mossa, quel richiamo al teatro e alle eccellenze della piazza. Da ieri, su quella stessa vetrina campeggia un grande manifesto pubblicitario. Ma non di una marca di jeans & jackets. Del Chinotto San Pellegrino.
Non ho idea del perché la titolare del Cantiere 75 o chi le cura il marketing aziendale abbia scelto una pubblicità della storica bevanda italica. Lo slogan di quella pubblicità è una traccia: “Per l’esigente il meglio”… Azzardo che possa essere un richiamo al made in Italy, all’Italian style. Al fatto che il Chinotto è una bevanda non banale. E piuttosto particolare. Fu inventato nell’Italia dell’autarchia mussoliniana come risposta casereccia alla Coca Cola americana messa al bando.
Di sicuro però non sarà quest’ultimo il motivo della scelta promozionale del negozio chiusino. Più probabile il riferimento al prodotto non banale, di nicchia forse, ma buono… Quasi da intenditori.
Ma – quando si dice le coincidenze – proprio ieri, mentre il Cantiere 75 accendeva la vetrina con il manifesto vintage del Chinotto, alla redazione di Primapagina (che dista 10 metri lineari, non di più) arrivava via mail una fotografia, un po’ vintage anche quella. L’ha inviata una amica fiorentina che l’ha trovata esposta nella mostra “Gli anni militanti” del fotografo Mimmo Jodice a Bologna. La foto mostra un gruppo di giovani a pugno alzato… La didascalia dice “Napoli ’73”. Piccola imprecisione. La data è sbagliata. E’ “Napoli ’76”. Tre anni più tardi.
Quei ragazzi sono tutti chiusini ed erano a Napoli alla festa Nazionale de l’Unità. Nel ’76, appunto. Probabilmente la foto fu scattata al comizio finale di Enrico Berlinguer, davanti – dissero – a un milione di persone… C’è infatti un indizio che fa pensare che lo scatto sia stato effettuato proprio l’ultimo giorno della festa. Qualcuno ha il maglione. A collo alto addirittura, nonostante quel giorno facesse caldo a Napoli. Quel maglione non era un “tratto distintivo”, un vezzo modaiolo. E’ che dopo 3 o 4 notti passate a dormire nel sacco a pelo alla stazione Campi Flegrei o in qualche campeggio di fortuna, le magliette pulite erano finite e l’unica cosa indossabile era rimasta quel maglione. Caldo o non caldo…
Nell’immagine si riconoscono bene, da sinistra, Roberto Pacchieri, Maurizio Macchietti detto “Chiappasonno”, Gusmano Bacchetta, Susy Lucattini, Stefano Ciufegni, Lucia Lorenzoni e (seminascosto) il sottoscritto… Non figurano, ma del gruppo facevano parte anche Pino Guccione, Raffaello “Lele” Battilana e Silvana Giulivi (che è l’amica che l’ha inviata a Primapagina). Un altro chiusino, Carlo Sacco, era sul palco, dietro a Berlinguer, ad armeggiare con la sua Nikon e un teleobiettivo che ci voleva lo sherpa per portarlo appresso…
Ma quale sarebbe la coincidenza tra quella foto e la pubblicità del chinotto?
E’ che a quel tempo anche noi, spesso bevevamo il Chinotto. La birra non era di moda come adesso e poi c’era solo la Peroni, che diciamolo, non è che facesse impazzire. E non si poteva campare di gazzosa, che era la bibita più gettonata, ma solo perché costava meno. E quindi chinotto. Ma c’era una ragione di più. Chiedere un chinotto al barista (o un “chinsedici” se eravamo in due e all’epoca si era sempre più di uno, da soli non si andava neanche a pisciare) era come dire: “Vede, io vorrei una Coca Cola, ma sa com’è… io la Coca Cola non la bevo!” Che poi voleva dire ancora di più: “Io la Coca Cola non la bevo e non la compro perché non voglio finanziare una multinazionale che finanzia i colpi di stato e i regimi sanguinari come quello di Pinochet in Cile!” Erano quegli anni lì. Se non fosse per quel particolare del maglione, la foto potrebbe essere stata scattata anche al concerto degli Inti Illimani. E quei pugni alzati la sottolineatura a “El pueblo unido jamas serà vencido!”
Il chinotto quindi come scelta di campo. Come azione di resistenza contro l’imperialismo militare e commerciale americano. Ordinare un chinotto era un programma politico. Un segno distintivo. Come andare in giro con l’eskimo o con l’Unità o Lotta Continua piegato nella tasca della giacca, stando bene attenti che si vedesse la testata. Era un modo per fare gruppo, per riconoscersi. E a quel tempo era consigliabile riconoscersi al volo. Erano anni in cui si stava o di qua o di là.
A noi, ventenni (qualcuno anche meno) del’76, piaceva tutto dell’America. Ci piacevano i paesaggi dell’Arizona che erano quelli di Tex Willer e di Zabriskie Point, ci piaceva la letteratura, il teatro, il cinema. Ci piaceva il coraggio di certi atleti come Tommy Smith e John Carlos o di certi giornalisti come Woodward e Bernstein che fecero scoppiare il Watergate. Di sicuro Jimi Hendrix, Janis Joplin e i Creedence ci piacevano più del Coro dell’Armata Rossa e anche degli Inti Illimani, di cui pure sapevamo a memoria tutte le canzoni…
Ci piaceva tutto degli Usa, meno i presidenti e la politica estera. La Coca Cola ci piaceva, ma nessuno la beveva perché era il simbolo dell’imperialismo. Quindi meglio un italico e autarchico chinotto. Non so da quanti anni non assaggio un chinotto… So che da quella foto sono passati più di 40 anni. Quei pugni al vento e quei maglioni non ci sono più. Nostalgia? Per i vent’anni sì. Per il resto no, più delusione e rabbia per come è andata a finire.
Certo rivedersi dopo così tanto tempo e ritrovarsi oggetto di una mostra sul tempo che fu è brutto segno. Segno che stai invecchiando (ma se ci si riconosce vuol dire che tutto sommato non siamo invecchiati così tanto).
Il Chinotto per fortuna c’è ancora.
Grazie a Silvana Gulivi per aver scovato quella foto e per averla voluta condividere, grazie a Paola Fatichenti del Cantiere 75 per averci fatto ricordare, con una semplice pubblicità, che c’è stato un tempo in cui anche ordinare un chinotto era un gesto di disobbedienza civile e di resistenza umana. Di ribellione al pensiero unico. Una precisa scelta politica che fatta a 20 anni aveva anche più valore…
Marco Lorenzoni
Cantiere 75, chinotto, Mimmo Jodice, Napoli '76
Grazie Marco. Se passi ti offro un chinotto! Esiste sempre anche l’eskimo e per giunta è anche di moda tra i ragazzi, magari tra gli universitari, sei un ragazzo fuori corso ma se vuoi puoi misurarlo, magari bevendo un chinotto. 🙂
Grazie per il chinotto. Per l’eskimo, magari dopo i saldi…
Ricordo bene quel giorno perchè io ed i miei amici napoletani lo avevamo preparato da tempo.Loro essendo di Napoli erano del luogo, io andai giù per lavorare con loro prendendo ferie e per lavorare alla sezione dell’Orto Botanico che aveva una esposizione all’interno della Mostra d’Oltremare,dove si teneva la festa.E ricordo anche che vi incontrai a tutti voi( quelli della foto) ma poi vi persi nella grande marea di folla il giorno del comizio finale.E’ vera la cifra di 1 milione di persone ed ho delle bellissime immagini riprese alle spalle di Berlinguer con la sua figura che si staglia davanti a questa folla immensa ripresa dall’alto e che non ha quasi confine guardando all’infinito fotografico ,fra l’altro ne ho adoperata una alla mostra di due anni or sono alla saletta del Teatro a Chiusi titolata Napoli, Mostra d’Oltremare Settembe 1976. Bei tempi…. e non solo perchè eravamo giovani ma perchè in Italia tirava un altra aria. Aria che per ragioni di entrambi gli schieramenti e per cecità politica soprattutto della sinistra o quello che resta di essa, adesso è un aria più ”mortaccina”il sistema l’ha rifagocitata tutta e forse anche riflettendoci bene i grandi cambiamenti necessitano di tempi molto lunghi, ma l’Italia e la cultura della sua gente forma un fardello molto pesante ed una zavorra che appesantisce la spinta tesa a rimuovere le cose, le incrostazion, ed in questo mettiamo in evidenza il nostro carattere forse anche intriso di provincialismo e risentimento,anche di natura politica.Per l’Eskimo che dire ? Un vero e proprio Eskimo non l’ho mai avuto ma” mezzi eskimo” invece a decine, intendendo come ”mezzi eskimo” i giubbotti preferibilmente di colore verde con molte tasche.Quando appunto lavoravo a Napoli andavo a cercarli al mercatino di Resina o Forcella,appena sbarcati dalle navi ed erano comodi poichè li usavo nei miei viaggi e per mettere nelle tasche gli obiettivi che non entravano nelle borse, pensa un po’… Ritornando al palco dove in lontanaza mi vedevate, ancora ne conservo il permesso stampa per l’ingresso e fotografai fila per fila tutte le delegazioni invitate ed i membri dei vari partiti comunisti e socialisti dell’Europa e di oltre Oceano.Era presente Nemer Hammad rappresentatnte dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) le delegazioni del Vietnam e del Laos appena uscite dalla guerra, la delegazione Cinese, quelle del Mozambico con alcuni membri del Governo di Samora Machel, della Guinea Bissau,quelle della Tanzania di Nyerere, dello Zambia di Kenneth Kaunda dello Sri Lanka della Sig.ra Bandaranaike, qualche membro del Governo in esilio dell’Iran,della Cambogia di Khieu Samphan che poi sarebbe stato noto molti anni più tardi col nome di ”Fratello n.4” per distinguerlo dal sanguinario ”Brother number one” noto col nome di Pol Pot,alias Salot Sar.Naturalmente fotografai tutte queste delegazioni ma più che altro gli Italiani membri del Comitato Centrale come Valenzi che era divenuto Sindaco di Napoli,Bassolino,Pajetta,Ingrao e tantissimi altri,le cui immagini conservo nel mio archivio fotografico della Onlus The Face of Asia.Di tutti questi reperti del”archeologia politica”-chiamiamola così- se ne potrebbe anche fare una mostra, soprattutto dei manifesti che venivano venduti negli Stands relativi alla pubblicità, ai volti dei leaders, dei cantanti,dei movimenti di liberazione come il Frelimo, Il Funk, l’MPLA dell’Angola , ma anche di coloro che tutt’ora vivi e vegeti si sono riciclati nemmeno tanto abilmente con la politica di oggi, come Geremicca, Bassolino,i cui discorsi a sentirli dalle interviste fanno accapponare la pelle e pensarli che invece militavano in un partito di quel genere come era il PCI e che oggi molti sono dentro al PD, non è questione di avere o non avere l’Eskimo in soffitta o di bere il Chinotto- che fra l’altro personalmente ho sempre bevuto come ancor oggi al gelato nella calde sere d’estate preferisca il ghiacciolo- ma la pelle diventa pollina a sentire tali personaggi che ti vogliono fare anche la morale adducendo il fatto che sia crollato il Muro di Berlino.Sono questi i maggiori responsabili del dissolvimento della sinistra, non senz’altro i vari Pajetta, Longo, Berlinguer, Amendola.Lì dentro c’era di tutto come nel supermercato, gente reputata di altissimo valore come Napolitano guida della corrente migliorista, primo membro del PCI ad essere invitato negli USA dal governo americano quasi ministro degli esteri-si diceva allora- del Governo Ombra.Poi abbiamo visto cosa abbia prodotto….ma ce ne sarebero anche altri,tanti,tantissimi.E’ un segno dei tempi? Forse si, ma mentre il Chinotto( a proposito della sua pubblicità vi ricordate di quella del Chinotto Neri che diceva ” …se bevi NERI, NERIBEVI?”.guardando agli anni trascorsi oggi nella mente delle persone restano impresse più le frasi della pubblicità martellante che le cose della politica che hanno trasformato il modo di pensare degli italiani. E’ l’onnipresenza mediatica,veicolo del consumo.E’ questo fatto, così oggi presente nel nostro vivere quotidiano, insinuato oltre ogni misura nella testa degli uomini che mangia loro la coscenza, per la quale ci si ricordi del Chinotto Neri e non ci si ricordi magari di cose come quelle dello Statuto dei Lavoratori come strumento con il quale milioni di persone hanno avuto a forza di lotte accesso ai beni ed ai servizi di una democrazia come la nostra,- che semprechè primordiale e mai realizzata completamente-mostra oggi segni di regresso e di imbarbarimento della vita sociale e di scivolamento verso la miseria generale.A poco valgono gli interventi del tipo ”gli 80 Euro” ai quali -questo si populisticamente- si reagisca psicologicamente col dire ” meglio quelli che nulla”.E’ la misura della pochezza culturale attraverso cui passa la sottomissione.Il contrario della dignità.Ed allora forse, anche il chinotto serve a ricordare il detto che ” si stava meglio quando si stava peggio….”
Quegli anni erano esaltanti e cupi allo stesso tempo, erano gli anni del terrorismo e delle stragi, non solo dell’avanzata del Pci. Ma quegli anni, proprio sotto la spinta della sinistra, produssero cose non marginali (altro gli gli 80 euro e il jobs act), come lo Statuto dei Lavoratori, appunto, il nuovo diritti d famiglia, la maggiore età e il voto ai 18enni, la riforma sanitaria, i decreti delegati nella scuola che per la prima volta portarono studenti e genitori a incidere nella politica scolastica, la legge sul divorzio e quella sull’aborto (che non era un invito ad abortire, ma solo la possibilità di farlo consapevolmente e in sicurezza e non più in maniera clandestina e pericolosa…), fu in quegli anni che per la prima volta la cultura e la musica diventavano “eventi di massa” fruibili da tutti i cittadini e non solo dalle élites, l’Estate Romana, Umbria Jazz, i festival di poesia…E in quegli anni, nonostante la paura e “i sacchi di sabbia alla finestra” (per dirla con Lucio Dalla), votava il 90% degli aventi diritto. Ieri in Sicilia ha votato meno del 50%, per dire…
Questo che dici e che condivido, bisognerebbe farlo arrivare alle orecchie di qualche politico del PD, qualche ”compagno tipo” , magari dell’età di una trentacinquina-quaranta anni ,soprattutto della corrente Renziana, che gli possa stimolare un ragionamento. Ma forse i media in tutti questi anni che è cresciuto alla scuola della sagrestia gli hanno fatto il ”brain washing” e lo hanno reso irascibile ed insensibile a considerare questi aspetti come aspetti importanti, anzi vorrei dire risolutivi. Al sedicente ”compagno tipo” come ce ne sono tanti suggerirei di cambiare shampoo. Non è mai troppo tardi.
Caro Marco hai splendidamente descritto il clima e le pulsioni di quegli anni. Quei valori (la condivisione, la solidarietà, la possibilità di cambiare i destini programmati, la fiducia incondizionata in un futuro migliore), che erano humus di quegli anni e che oggi sono quotidianamente calpestati, hanno lasciato radici non solo nei ventenni d’ allora. Ti devo altresì ringraziare per il bellissimo regalo che mi hai fatto pubblicando quella foto (grazie Silvana!!!) che non avevo;
Proprio in questi giorni festeggio il mio 60° compleanno e mai presente è stato più gradito.
Ciao Marco
mi sono imbattuto per caso su questo articolo e su quella foto e come Roberto ritengo che tu e Carlo abbiate rappresentato bene quegli anni, i nostri sogni, le nostre utopie e se vogliamo le nostre delusioni.
Ma arrivati alla nostra età, giustamente, si fanno i primi bilanci e io sono tra coloro che ritengono che in fondo il bilancio positivo, lo vedo soprattutto nei ragazzi che hanno fatto propri i nostri valori, sulla solidarietà, sulla condivisione sullo spendersi sia per gli altri e per una società migliore. Certo non si trovano con il pugno alzato in un giorno di euforia, ma nelle organizzazioni di volontariato in mezzo agli ultimi. Forse se ne parla troppo poco, basta pensare a questi giorni dove non si fa altro che parlare dei foreign fighters e non si parla mai dei giovani medici e paramedici che decidono di spendere la loro vita in Palestina o in Iraq.
Avere la fortuna di aver aiutato a crescere ragazzi così è sicuramente un punto di arrivo partito allora.
Io ritengo che ancora abbiamo un “grande futuro dietro le spalle” e continuare a credere ancora nelle utopie sia un dovere oltre che un diritto, che nessun Renzi, Salvini o Di Maio ci può togliere.
Un grazie a Silvana che ci ha fatto rivivere quei giorni…….